Corriere della Sera 13 febbraio 2008, Valerio Cappelli, 13 febbraio 2008
Il film dell’orrore. Corriere della Sera 13 febbraio 2008. Sono passati 63 anni dalla fine della guerra, ma fa un certo effetto vedere, in Germania, il senso di colpa degli americani sulle torture inflitte dalle loro truppe ai prigionieri in Iraq
Il film dell’orrore. Corriere della Sera 13 febbraio 2008. Sono passati 63 anni dalla fine della guerra, ma fa un certo effetto vedere, in Germania, il senso di colpa degli americani sulle torture inflitte dalle loro truppe ai prigionieri in Iraq. Qui infatti inconscio e nervi sono sempre allerta sull’argomento, tanto che, all’incontro sul documentario di Errol Morris, i giornalisti più giovani sono andati all’attacco: perché hai mischiato la verità delle foto con le scene di fiction, lo show macabro del cane che azzanna l’iracheno? E lui: « una domanda senza senso, la verità è il cuore del film, che per me è un "non fiction horror movie"». Ci sono soldati che dicono ciò che hanno fatto e niente di più. E lui: «Non mi interessava la confessione. Mai pensato che il mio Paese sia un giglio senza peccato. Io ho reso un servizio sociale». Voleva la condanna esplicita, l’opinione pubblica tedesca: invece il regista ci spinge a pensare, mettetevi nei panni di quei soldati ordinari, chiunque sotto quella pressione avrebbe potuto comportarsi così. Si è fatta crescere i capelli ma è proprio lei, Lynndie England, la soldatessa che puntava la mano verso i genitali degli iracheni con i sacchi in testa, che teneva un prigioniero nudo al guinzaglio, come un cane: «Ma non lo trascinavo, com’è stato detto ». Parla per la prima volta, assieme agli altri commilitoni nel carcere iracheno di Abu Ghraib, in Standard Operating Procedure di Morris: con lui per la prima volta in 58 anni un documentario in gara alla Berlinale. Nato a Long Island, premio Oscar per The Fog of War, mette in pratica la scuola anglosassone, lasciando parlare i nudi fatti, senza giudicare. «Senza le foto non ci sarebbe stato il film, e nessuno avrebbe parlato. Ci ho messo 2 anni a convincere i soldati ». Finora erano circolate solo immagini, che hanno fatto il giro del mondo. I soldati che parlano nel filmato non si fecero troppe domande. Morris ha assemblato l’«album-ricordo» della missione con rudimentali video, tipo quelli di You Tube, riproducendo ciò che accadde nel 2003 in quelle celle. Ecco l’ex segretario alla Difesa Donald Rumsfeld in visita a Abu Ghraib, che divenne il centro degli interrogatori, dà un’occhiata, dice che non vuol vedere altro: tutti sanno che la tortura in America è proibita. Ma, dice uno dei soldati colpevoli, «l’imperativo era di trovare Saddam: a ogni costo». Cresciuta in una roulotte, lungo uno stradone con un solo semaforo, Lynndie si prese tre anni, ricorda con apparente sprezzante indifferenza, è la faccia stravolta dell’America: «Una donna soldato deve mostrare uguale forza, devi comportarti come un maschio se vuoi rispetto». Ma le reazioni dei suoi compari sono le più diverse: «Noi siamo americani e non sappiamo distinguere tra bene e male»; «Sono figlio di reduci del Vietnam, gettano il mio nome nel fango»; «Se ce ne andiamo dall’Iraq, si uccideranno tra loro; se restiamo, si uccideranno tra loro e uccideranno noi»; chi è confuso, chi dice d’aver fatto il suo dovere, chi si giustifica suscitando ilarità: «La foto in cui sollevo il pollice in segno di vittoria, accanto a un cadavere? stato un gesto istintivo, quando ti fanno una foto è naturale sorridere». «Si chiama Sabrina – interviene il regista – non ha commesso crimini, fu processata per un’immagine che ha messo in imbarazzo l’establishment militare ». «In cella mettevo la musica a tutto volume, col country andavano fuori di testa». Un altro rivela dei bollettini medici alterati: infarto anziché torture. Ma una mano da sola non applaude, ché prevale la testimonianza ingenua, questi sì veri bamboccioni. «Ognuno ha una sua dimensione morale, ognuno sa cosa è giusto e cosa non lo è». I prigionieri, «privati di identità umana», ha scelto di non farli parlare. Riecco l’incappucciato coi fili elettrici o il musulmano con gli slip femminili sul capo a mo’ di benda, o quelli costretti a masturbarsi, quello che sembra Cristo in croce, mentre è incatenato alle sbarre, o la piramide di prigionieri nudi. C’è una lunga striscia di sangue fuori da una cella, come un pneumatico che inchioda sull’asfalto. Criminal Acts, furono definiti. Il linguaggio militare ha poi inventato la Standard Operating Procedure, e Morris elenca i «casi» in questione: la differenza è un filo sottile, un cavillo ridicolo. Valerio Cappelli