L’espresso 14 febbraio 2008, Lucio Caracciolo, 14 febbraio 2008
Perché vincono i talebani. L’espresso 14 febbraio 2008. Ogni frittata comincia dalle uova. Noi occidentali stiamo fallendo in Afghanistan perché abbiamo immaginato di cucinare la nostra omelette ideale - un Paese relativamente sicuro e vagamente assimilabile agli standard democratici - con uova marce
Perché vincono i talebani. L’espresso 14 febbraio 2008. Ogni frittata comincia dalle uova. Noi occidentali stiamo fallendo in Afghanistan perché abbiamo immaginato di cucinare la nostra omelette ideale - un Paese relativamente sicuro e vagamente assimilabile agli standard democratici - con uova marce. Perché tale è la produzione locale, anche se ci riesce difficile ammetterlo. Quali sono infatti gli attori afgani che dovrebbero produrre il miracolo? Sul campo non troviamo Jefferson né Mill, ma quattro categorie di potenti locali, o aspiranti tali. Signori della guerra e della droga; capimafia vestiti da capiclan e viceversa; talebani e altri insorti; residui qaedisti, ossia cellule dell’internazionale jihadista a suo tempo allestita da Osama Bin Laden e associati. In un contesto di caos relativamente calmo nelle province occidentali, di guerriglia intensa in quelle sud-orientali, con la violenza jihadista che colpisce ormai dentro Kabul. Dove è asserragliato, custodito dai suoi sempre più scettici protettori atlantici, il presidente pro forma Hamid Karzai, noto come ’sindaco di Kabul’. Il quale continua a decantare i progressi della pacificazione ai suoi visitatori occidentali, salvo preoccuparsi soprattutto di salvare la pelle. L’insurrezione di matrice talebana associa sotto l’ombrello jihadista gruppi e individui disparati, compresi ladri di strada e altri banditi. Negli ultimi mesi, grazie alle rivolte che incendiano le aree tribali del Pakistan, i corridoi transfrontalieri che connettono i combattenti afgani ai fratelli pakistani sono persino più liberi del solito, perché le truppe di Islamabad devono curare anzitutto il fronte interno. Mentre i convogli logistici che dal Pakistan riforniscono americani e alleati in Afghanistan finiscono spesso sotto il tiro dei ribelli. Oggi i talebani hanno l’iniziativa, Stati Uniti e Nato reagiscono. Senza disporre nemmeno lontanamente delle truppe e dei mezzi necessari all’occupazione di un territorio tanto vasto e impervio. E in totale carenza di un obiettivo strategico chiaro e realistico. La forza dei talebani non è solo militare. Deriva soprattutto dal fallimento del regime di Kabul e dei suoi sostenitori occidentali. In molte aree, gli insorti possono garantire sicurezza e relativo ’buongoverno’ - secondo gli standard locali - assai più dei funzionari teoricamente afferenti a Karzai. La cui polizia ultracorrotta, perfino più delle raffazzonate Forze armate afgane, non contribuisce a migliorare la fama del ’governo centrale’. La mano forte talebana sembra produrre più consenso di quanto non ne suscitino le truppe della coalizione. Anche perché queste, soprattutto i soldati americani, ma non solo, continuano a sparare a casaccio, a danno dei civili più che dei jihadisti. Malgrado gli sforzi delle strutture civili e militari internazionali che si sono installate in Afghanistan dal 2002 in avanti, la condizione economica e sociale del Paese resta tragica. Non basta allestire una scuola o un ospedale se non si può garantirne la sicurezza. Ma in questo contesto, con questi attori in campo, non può darsi sicurezza. E dunque nemmeno consenso. Il nostro fallimento si riflette sui nostri protetti locali, a cominciare da Karzai. Il quale da tempo sonda il campo nemico, cercando di cooptare qualche ’talebano buono’ nel suo gabinetto di fantasmi (è arrivato a proporre di entrarvi persino al mullah Omar). Naturalmente possiamo tirare avanti ancora per qualche anno in questo vuoto strategico. Sacrificando i nostri soldi e soprattutto i nostri soldati. Ai quali qualcuno un giorno vorrà forse comunicare - se esiste - il senso della missione. E la ricetta della frittata. Lucio Caracciolo