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 2008  febbraio 14 Giovedì calendario

Chi ha paura della pillola proibita. L’espresso 14 febbraio 2008. Ci siamo, almeno in teoria. A 20 anni dalla sua adozione in Francia, dopo essere stata registrata in 15 paesi dell’Unione europea, essere stata somministrata a circa un milione e mezzo di donne in Europa e almeno 650 mila negli Stati Uniti, dopo che nel 2005 l’Organizzazione mondiale della sanità l’ha inserita nella lista dei farmaci essenziali, sbarca in Italia la RU486, la pillola grazie alla quale è possibile interrompere la gravidanza senza sottoporsi all’intervento chirurgico

Chi ha paura della pillola proibita. L’espresso 14 febbraio 2008. Ci siamo, almeno in teoria. A 20 anni dalla sua adozione in Francia, dopo essere stata registrata in 15 paesi dell’Unione europea, essere stata somministrata a circa un milione e mezzo di donne in Europa e almeno 650 mila negli Stati Uniti, dopo che nel 2005 l’Organizzazione mondiale della sanità l’ha inserita nella lista dei farmaci essenziali, sbarca in Italia la RU486, la pillola grazie alla quale è possibile interrompere la gravidanza senza sottoporsi all’intervento chirurgico. In ritardo, dunque, ma arriva. Più che per scelta delle autorità sanitarie del nostro Paese, per forza: sulla base della sua approvazione da parte della quasi totalità dei paesi membri dell’Unione, Exelgyn Laboratoires, che la produce, ha infatti avviato una procedura di mutuo riconoscimento i cui termini scadono a metà febbraio. A quel punto gli ospedali che la vorranno potranno richiederla all’azienda. E le donne che decidono di interrompere la gravidanza potranno scegliere fra due procedure: quella tradizionale, che prevede ricovero, anestesia, intervento da effettuare entro le prime 12 settimane di gestazione; e quella medica, che consiste nella somministrazione in ospedale di due pillole. La procedura europea è avviata e sia l’Europa che l’Organizzazione mondiale della sanità danno certezze assolute sulla sicurezza e la maneggiabilità del farmaco. Eppure. "Con un accanimento raro, mai visto per altri farmaci, la sicurezza e l’efficacia del mifepristone sono messe in discussione ciclicamente", racconta Silvio Viale, ginecologo e padre della sperimentazione al S. Anna di Torino. A fare scalpore sono stati sei decessi riportati in Usa e Canada in donne che avevano assunto RU486. A causare il decesso è stata un’infezione da Clostridium sordelii, un batterio poco diffuso che un rapporto Usa del 2006 collegava alla morte di 15 persone ricoverate in reparti di ostetricia: otto casi di infezione post-partum, due di interruzione di gravidanza spontanea e cinque di interruzione di gravidanza medica. Tuttavia, sia i Centers for Disease Control di Atlanta che l’Agenzia europea del farmaco (Emea), escludono che i decessi siano da collegarsi alla Ru e ne hanno confermato i dati di sicurezza ed efficacia. E già nel dicembre 2005, poi, un editoriale apparso sul ’New England Journal of Medicine’ a firma Michael Green, della Harvard Medical School di Boston, concludeva: "Gli esiti fatali segnalati vengono valutati come un numero limitato di eventi rari senza un chiaro legame fisiopatologico con il metodo utilizzato, rispetto ai quali è comunque importante informare le donne che richiedono tale procedura". Le rassicurazione dei due maggiori enti internazionali per il controllo dei farmaci e di eminenti esperti non sono bastate però al gruppo di studio Promed-Galileo, una società medico-scientifica senza scopo di lucro italiana, che lo scorso dicembre ha presentato una ricerca, ripresa con molta enfasi da ’Famiglia cristiana’ e dai detrattori nostrani della Ru, che arriva a conclusioni opposte: l’interruzione di gravidanza farmacologica è accusata di avere un profilo di sicurezza inferiore rispetto al metodo chirurgico e di essere meno tollerata. In particolare, sanguinamento e dolore vengono indicati come effetti collaterali di più lunga durata e di maggior entità nel caso dell’interruzione di gravidanza medica. "Contrariamente a quanto si crede, anche nell’interruzione di gravidanza chirurgica i sintomi possono essere importanti e durare a lungo, sebbene il dolore sia mediato dall’anestesia", spiega Viale. Eventi di cui poco si sa dal momento che le schede di segnalazione sono compilate poco dopo l’intervento. All’arco dei detrattori della RU486 resta però ancora una freccia: il possibile aumento del numero di interruzioni di gravidanza. La donna che vuole interrompere la gravidanza farmacologicamente deve andare in ospedale per la somministrazione delle due pillole e poi una terza volta dopo circa dieci giorni per un’ecografia. Un iter semplificato e più rapido: le donne non dovrebbero più attendere quelle due, tre settimane che in media aspettano prima dell’intervento. E proprio questa semplificazione, secondo alcuni, potrebbe indurre a sottovalutare la gravità del gesto. A smentire questa ipotesi, però, ci sono prima di tutto i numeri. Come riporta il ’Bollettino’ dell’Agenzia italiana del farmaco: "La sorveglianza nel tempo della frequenza complessiva di aborti, misurata come numero di aborti per mille donne di età compresa fra 15 e 44 anni, non sembra suggerire variazioni di rilievo successive all’introduzione del mifepristone, ma la tendenza diffusa a ottenere l’aborto a epoche gestazionali più precoci". In particolare in Francia, Inghilterra e Galles le interruzioni di gravidanza sono state le stesse prima e dopo l’introduzione dell Ru. In Svezia, addirittura, si registra una diminuzione. Se non bastano i numeri c’è l’esperienza diretta. "Dal momento che la Regione Toscana negli anni scorsi ha iniziato una sperimentazione con RU486, mi è capitato di consigliare qualche donna di prendere in considerazione questa opzione; ma più di una volta la risposta è stata negativa", spiega Valeria Dubini, ginecologa all’Ospedale Nuovo S. Giovanni di Dio di Firenze: "Le donne preferivano l’intervento chirurgico, lo consideravano meno coinvolgente". Poste davanti alle due opzioni, non è quindi detto che la scelta cada sulla RU486. E poi, "l’interruzione di gravidanza farmacologica non è adatta a tutte le donne, ma soltanto a coloro che hanno una piena consapevolezza di ciò che hanno deciso di fare", spiega Sara Randaccio, psicologa al S. Anna di Torino: "Contrariamente a quanto accade con l’intervento chirurgico, quando bisogna prendere le pillole non si demanda ad altri l’atto. importante quindi che le donne siano informate su tutti gli aspetti dell’interruzione di gravidanza medica per poter scegliere cosa è meglio per loro". Per questo, in alcune nazioni dove la RU486 è già una realtà, è obbligatorio che alla donna si offra anche un counseling psicologico. E, dove questo accade, la soddisfazione delle donne al termine della procedura è di gran lunga superiore, come dimostra uno studio condotto da Eva Gerino, laureata in psicologia all’Università di Torino. Ma in Italia, dal 2005 a oggi, hanno potuto ricorrere alla Ru solo le circa 2 mila donne che si sono rivolte alle strutture in cui si sono svolti studi clinici (a Torino, Milano, Trento, in Toscana, Emilia Romagna e Marche). Sperimentazioni che avevano fatto gridare allo scandalo e che sono state nel tempo oggetto di ispezioni e sospensioni da parte del ministero della Salute. "Nel nostro caso il punto centrale delle contestazioni ministeriali è stato quello del presunto obbligo per la donne di rimanere in ospedale fino all’interruzione avvenuta", spiega Viale. Il protocollo dell’Emea, però, non lo prevede: la donna, dice l’autorità europea, può tornare a casa e rimanere a riposo. Ma in Italia il ricorso al ricovero coatto potrebbe essere l’ultima mossa di chi vuole mettere i bastoni tra le ruote della RU486. E proprio in nome della legge 194, che all’articolo 8 dice: "L’interruzione di gravidanza è praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale". Ricovero per forza, allora? No, come annota Viale: "Nel caso dell’interruzione di gravidanza medica, l’azione che secondo la legge si deve eseguire in ospedale è la somministrazione delle pillole, e non l’espulsione, che è soltanto una conseguenza dell’atto medico". La questione sembra di lana caprina, ma rischia di insabbiare tutto perché, per ragioni che scientificamente nessun esperto comprende, l’allora ministro Livia Turco ha chiesto un parere al Consiglio superiore di sanità. Che potrebbe metterci molto tempo a darlo. E l’Aifa, l’Agenzia italiana per il farmaco, che dovrebbe ratificare la procedura europea, potrebbe tirar tardi, in attesa del pronunciamento del Css. E il ritardo, rispetto, all’Europa potrebbe così aumentare. Letizia Gabaglio