Affari & Finanza 11 febbraio 2008, ARTURO ZAMPAGLIONE, 11 febbraio 2008
McCain, il repubblicano di cui Wall Street si fida a denti stretti. Affari & Finanza 11 febbraio 2008
McCain, il repubblicano di cui Wall Street si fida a denti stretti. Affari & Finanza 11 febbraio 2008. Wall Street ha accolto le vittorie elettorali di John McCain con un misto di entusiasmo e di preoccupazione. Tradizionalmente il mondo della finanza e della economia si è sempre schierato a favore dei repubblicani. Ci sono state eccezioni, è vero. Bill Clinton, ad esempio, riuscì a creare un rapporto costruttivo con la city newyorkese, soprattutto grazie al ruolo del suo consigliere economico e poi ministro del tesoro, Robert Rubin, che arrivava a Washington dopo essere stato copresidente della Goldman Sachs. Anche Barack Obama si è conquistato l’appoggio di alcuni settori progressisti del capitalismo americano. Il quale, però, resta nel complesso agganciato agli ideali repubblicani: perché allora i timori sulla candidatura ormai certa di McCain? Non è un vantaggio per la destra avere già un leader, mentre infuria il duello ObamaClinton? E perché il settimanale "Business Week" si chiede, senza tanti complimenti, se il senatore dell’Arizona sarà "good for business", cioè se avrà un ruolo positivo per il mondo delle imprese? Sono le contraddizioni del percorso politico di McCain a sollevare qualche inquietudine. Nel 2001 e nel 2003 il candidato in pectore dei repubblicani votò contro i tagli fiscali voluti da George W. Bush, denunciandone la "irresponsabilità" per i riflessi sul deficit; adesso invece propone di renderli permanenti. Nel 20042005 McCain guidò l’inchiesta parlamentare su Jack Abramoff, il lobbystacorruttore, scagliandosi contro l’eccessiva influenza del denaro nei palazzi washingtoniani; adesso però si serve di un esercito di lobbysti (in tutto 59) per raccogliere fondi elettorali. E più volte, durante la sua nella lunga carriera parlamentare, il senatore ha attaccato gli interessi petroliferi e delle multinazionali del tabacco. Di fronte a queste ambiguità, il mondo della imprese aveva scelto Mitt Romney come paladino nella gara elettorale. Exchief executive di un fondo di private equity ed exgovernatore del Massachusetts, Romney si presentava come un politicomanager capace di salvare l’economia americana dalla recessione. Aveva raccolto molti più soldi di McCain e sembrava avere il vento in poppa. Ma poi la sua stella politica si è offuscata, a dispetto dei 90 milioni di dollari spesi nella campagna elettorale, di cui 35 di tasca sua. La settimana scorsa ha gettato la spugna, spianando la strada a McCain. E al mondo del business non è restato che tapparsi il naso e cambiare cavallo. McCain sta facendo di tutto per riconquistare le simpatie del mondo del business. Può contare su tre "sponsors" illustri: John Chambers, chief executive della Cisco; John Thain, neocapo della Merrill Lynch; e Carly Fiorina, exstar della Hewlett Packard. E non perde occasione per dimostrare una familiarità con i temi economici, che invece gli sono sempre stati ostici. Mercoledì scorso, porgendo un ramoscello d’olivo agli ultraconservatori, ha ricordato di essere agli antipodi dei democratici su tre questionichiave: la sfera di influenza del governo federale (che lui intende ridurre), le tasse (che vuole tagliare) e la riforma sanitaria (che affiderebbe a soluzioni di mercato). Ma al di là di nuove promesse e vecchi rancori, McCain offre ai repubblicani la speranza di poter contrastare l’ascesa di Barack Obama o Hillary Clinton. Sarà un rivale insidioso per i democratici. Ed è per questo che riceverà l’appoggio (e decine di milioni di dollari) di Wall Street. ARTURO ZAMPAGLIONE