Il Giornale 11 febbraio 2008, Fabrizio Ravoni, 11 febbraio 2008
Conti, buco di sette miliardi. Il Giornale 11 febbraio 2008. Roma - Al ministero dell’Economia è in atto una sorta di «rimozione freudiana»
Conti, buco di sette miliardi. Il Giornale 11 febbraio 2008. Roma - Al ministero dell’Economia è in atto una sorta di «rimozione freudiana». Sottovoce si accenna a un deficit 2008 a ridosso del 3% del Pil. Ma nessuno ne vuol sentire parlare: come se bastasse non affrontare l’argomento per non farlo materializzare. Il fenomeno, in parte, è alimentato dalla circostanza che oggi a Bruxelles l’Eurogruppo affronta i conti «ufficiali» del 2007 e 2008. E, quindi, non si vuole dare adito alla Commissione europea per non rimuovere la procedura di deficit eccessivo. In parte, è proprio il tentativo di esorcizzare un rischio reale per i conti pubblici: l’incubo del deficit al 3%. La legge finanziaria ha stabilito per quest’anno un deficit al 2,2%. Sulla carta, lo stesso doveva segnare un miglioramento, rispetto al livello raggiunto nel 2007. Il disavanzo previsto per lo scorso anno doveva essere pari al 2,4% del Pil. In realtà, il presidente del Consiglio ha anticipato che i conti si chiuderanno con un deficit 2007 intorno al 2%. Secondo uno studio del Sole 24 Ore, però, sui conti di quest’anno peseranno 7 miliardi di spese non definite nel Bilancio. Si tratta delle risorse necessarie al rinnovo dei contratti pubblici (fra i 2 ed i 6 miliardi); a quelle destinate alle Fs (2 miliardi); al miliardo ed 800 milioni di rinvio di spese al 2008; ai 600 milioni per l’emergenza rifiuti in Campania, ai 300 milioni di costo delle elezioni anticipate. Nel complesso, appunto, 7 miliardi: lo 0,4-0,5% del Pil. Ne consegue che il deficit di quest’anno, inizialmente previsto al 2,2%, è destinato a salire solo per finanziare queste spese non comprese nel Bilancio, ma obbligatorie nei fatti, fino al 2,6-2,7% del Pil. L’intera costruzione di finanza pubblica di quest’anno, poi, si fonda su una crescita del Pil dell’1,5%. Al ministero dell’Economia sono ormai certi che nel 2008 l’economia italiana potrà crescere al massimo dello 0,8%: vale a dire, lo 0,7% in meno rispetto alle stime su cui si è costruita la legge finanziaria. Questa mancata crescita si traduce in un appesantimento del deficit dello 0,35% (l’elasticità del deficit al Pil è del 50%). Ne consegue che il deficit del 2008, già arrivato dal 2,2 al 2,6-2,7% del Pil per le spese non previste, dev’essere caricato di un altro 0,35%. Con il risultato che corre così a passi veloci verso il tetto del 3%; se non oltre. Vista la situazione della finanza pubblica, è assai difficile poter rispettare la norma contenuta al primo articolo della legge finanziaria: cioè, restituire parte dell’extragettito ai lavoratori dipendenti. E per due motivi. Nel 2007, il 65% dell’extragettito (nel complesso, 21 miliardi) è stato determinato proprio dall’andamento del Pil. In caso di rallentamento della crescita, il bilancio pubblico non «produrrà» maggiori entrate. Anzi. atteso un ridimensionamento del gettito. Qualora il gettito derivante dalla lotta all’evasione dovesse comunque far emergere livelli superiori al previsto, il governo è chiamato a destinare queste maggiori entrate a contenimento del deficit; quantomeno per finanziare le spese obbligatorie non comprese in bilancio. Con buona pace della norma che ne prevede la restituzione ai lavoratori dipendenti. Ma anche degli emendamenti che la Sinistra arcobaleno sta presentando al decreto legge milleproroghe. Prima di aprire la borsa, Padoa-Schioppa vuole la Trimestrale di cassa. Ma questa sarà pronta a fine marzo. Ed il mille proroghe viene discusso il 19 febbraio prossimo. Fabrizio Ravoni