Angela Napoletano, Avvenire 10/2/2008, 10 febbraio 2008
ANGELA NAPOLETANO
Margherite Peeters, direttrice dell’Istituto per le dinamiche del dialogo interculturale di Bruxelles, rilegge a voce bassa le parole pronunciate da Benedetto XVI nell’udienza che ha concluso i lavori del convegno organizzato dal Pontificio Consiglio dei laici per il 20° anniversario della Mulieris Dignitatem. «Ecco, ecco - esclama - il Papa è chiaro, anche se nel suo discorso quel termine non compare ». La parola a cui allude Peeter è ’gender’: «quel processo di decostruzione antropologica e culturale contro Cristo e contro la Trinità - spiega - sempre più diffuso nelle nostre società».
Come definirebbe l’ideologia del ’gender’?
Di ’gender’ si è cominciato a parlare nel 1995 durante la Conferenza internazione sulla donna, a Pechino. E non lo chiamerei ideologia perché, in genere, le ideologie presuppongono l’esistenza di un maestro. Come tutti i concetti post-moderni non ha una definizione chiara. Del resto, caratteristica principale della post modernità è proprio l’ambivalenza.
Come lo descriverebbe, allora?
Il ’gender’ è la punta dell’iceberg della rivoluzione culturale femminista occidentale. Sotto questa punta c’è l’intera post modernità. Tutto è nato negli anni 70 quando il femminismo ha voluto distinguere il sesso dal ’gender’, la diffe- renza biologica dai ruoli sociali. Era una rivolta contro la natura e l’identità sessuale. Il concetto di ’gender’, oggi, indica infatti la possibilità di scegliere la propria identità sociale liberata da tutte le norme religiose, morali e naturali. Quindi anche sessuali.
Cosa provoca il concetto di ’gender’ sull’uomo?
La distruzione della struttura antropologica che ci è stata data dal Creatore. Struttura trinitaria, fatta per la comunione nella differenza.
Essendo, come lei dice, il frutto di una rivoluzione occidentale, ’il gender’ riguarda solo alcuni Paesi o ha portata globale? Risparmia, per esempio, l’Africa?
Diciamo che è un frutto della rivoluzione culturale occidentale, quella del maggio 1968, che però stiamo imponendo ad altre culture, e in Africa in particolare. una sorta di neocolonialismo molto aggressivo, che minaccia di cambiare rapidamente anche le culture non occidentali delle quali abbiamo bisogno per riscoprire la nostra anima, se pensiamo, per esempio, che in Africa hanno mantenuto un senso della vita, della maternità, della complementarietà uomodonna e della comunità umana che l’individualismo e l’edonismo radicale occidentale hanno cancellato.
Chi, nella società, è particolarmente esposto a questa ideologia?
I giovani, prima di tutto. Perché è un concetto che si inserisce nelle politiche, nelle leggi ma anche nei manuali scolastici. nelle scuole, come per esempio avviene in Belgio, che si insegna ai bambini la possibilità di scegliere il proprio orientamento sessuale. Poi ci sono le donne. Il ’gender’ esprime una rivolta contro la maternità, attacca lo stato di sposa di ogni donna.
Quanta consapevolezza c’è del fenomeno e dei suoi effetti?
C’è un’ignoranza abissale. Dopo la conferenza di Pechino, il concetto è stato adottato a livello sovranazionale ma nei singoli Paesi è mancato il dibattito. Le cose si sono fatte in modo sottile, nascosto, senza cercare il consenso. Siamo tutti influenzati da questa ideologia ma non ci preoccupiamo, per esempio, di seguirne gli sviluppi a livello internazionale o di studiarne gli effetti sui giovani.
Cosa contribuisce allo diffusione del concetto di gender nella società?
I media, non c’è dubbio. Questi fanno parte di una strategia articolata. In ’Gender trouble’, opera del 1990, Judit Butler invita a usare i media, il più possibile, proprio per moltiplicare i gender, per aprire l’uomo a tutte le possibilità di scelta.
Come e cosa può contrastare questo ’meccanismo d’ingegneria sociale’, come lo ha definito nella sua relazione di venerdì?
Prima di tutto ci vuole informazione. Dobbiamo essere coscienti del fatto che l’ingegneria sociale c’è. Che ’gender’ non è un concetto isolato: la sfida è tutta la cultura post moderna. E dobbiamo studiarla. Solo così possiamo essere più attenti ai suoi effetti. Poi, bisogna passare alla formazione. L’evangelizzazione passa anche attraverso la sensibilizzazione all’esistenza del problema. Dobbiamo sapere chi siamo, come cristiani. Come diceva il patriarca Bartolomeo, dobbiamo tornare alla chiesa primitiva, riscoprire la nostra identità cristiana, senza lasciarsi manipolare. Niente è perduto. Lo Spirito Santo è sempre lì a condurre l’umanità lungo la sua strada.