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 2008  febbraio 11 Lunedì calendario

Joanne Rowling "Io, Harry Potter e la solitudine dello scrittore". La Repubblica 11 febbraio 2008. Joanne Rowling, Jo per gli amici, ha lo stesso sguardo, esterrefatto e felice, di Harry Potter, il suo personaggio immaginario

Joanne Rowling "Io, Harry Potter e la solitudine dello scrittore". La Repubblica 11 febbraio 2008. Joanne Rowling, Jo per gli amici, ha lo stesso sguardo, esterrefatto e felice, di Harry Potter, il suo personaggio immaginario. Scrisse il primo libro per necessità, e poi continuò a scrivere, fino al libro numero sette (uscito in Italia a gennaio), senza guardarsi intorno, senza concentrarsi sull´enorme quantità di «pottermaniaci», bambini, ragazzi, adulti, che hanno fatto di questo gigantesco libro di magia e realtà forse il più grande best seller della storia. Harry Potter è il suo eroe; lo ha salvato e gli ha lasciato uno strascico emozionante: lo ha abbandonato ma non può vivere senza di lui. « mio», dice. Il suo altro eroe è Bob Kennedy. Ce lo ha detto a Edimburgo, dove vive da anni. arrivata in taxi e se ne è andata a piedi; coperta da un vestito grigio e bianco, è tornata a stare con i suoi tre figli, a vivere «oggi più felice che mai», un successo che a suo parere non l´ha resa «più potente», nonostante figuri nelle liste (che aborre) delle persone più ricche del mondo. I suoi modi, nell´ora trascorsa con noi, sono calorosi; le sue esperienze negative (che persistono) con la stampa, l´hanno resa reticente nei confronti delle interviste e delle fotografie, che a volte vanno a frugare con sotterfugi nelle sue parole e nella sua intimità. Ma non è una donna distante né fredda, e neanche vittima della vanità che può averle apportato la sua popolarità sconfinata. informatissima di quello che succede nel mondo, perché divora giornali, e il giorno in cui l´abbiamo incontrata aveva sotto il braccio una copia del Times, che aveva in prima pagina una foto di Hillary Clinton in lacrime. «Ma lacrime di goia, eh». Il suo aspetto è quello di una persona che un tempo era sola, terrorizzata, e scrisse un libro – come fece Juan Rulfo con Pedro Páramo – per salvarsi. A volte, nelle sue interviste, ha parlato di un altro grande solitario, Francis Scott Fitzgerald. Ci è sembrato opportuno cominciare da qui per parlare con lei della solitudine e della morte, e della malinconia, che sono i temi dominanti delll´ultimo periodo di Harry Potter, forse il suo alter ego. Lei parla spesso di Scott Fitzgerald, un malinconico. «Sì, parlo di lui per fare una distinzione tra uno scrittore che per natura e talento ha avuto l´impulso di scrivere, e che come uomo non è riuscito a conciliare questa necessità di scrivere con la sua vita sociale. L´ho citato perché in questi giorni così mediatizzati sembra che per uno scrittore sia obbigliatorio essere un personaggio pubblico. Nel mio caso, la gente pensa che essendo una scrittrice famosa dovrei essere brava a dare interviste e comparire in tivù. La gente si aspetta di vedere che ti diverti ad andare in televisione, che ti piace essere un personaggio pubblico, un performer. Ma io non lo sono. Mi piace la vita dello scrittore. Mi godo la solitudine, mi sento bene quando sto sola, mentre Fiztgerald, nonostante la sua straordinaria genialità, ebbe conflitti di questo tipo, che secondo me contribuirono alla sua malattia mentale e al suo alcolismo». (...)  curioso: a volte in Harry Potter, soprattutto negli ultimi libri, c´è una certa dose di malinconia e di solitudine, che ricordano Fiztgerald. «Indubbiamente. la malinconia che nasce da un dolo-re». (...) Lei parla della morte. Nel sesto e nel settimo libro di Harry Potter, la morte compare non soltanto come parola o pensiero, ma come una possibilità, un´evidenza e una realtà. «Il piano è sempre stato quello, di far comparire la morte. Da quando era bambino fino al capitolo 34 del settimo libro, Harry ha dovuto essere maturo, nel senso di essere obbligato a dare per scontata l´inevitabilità della propria morte». Quel capitolo 34 ricorda l´inizio di Cent´anni di solitudine di García Márquez. « molto lusinghiero».  un libro sulla morte, e ovviamente sulla solitudine, come il suo… Il personaggio di Cent´anni di solitudine accompagna il nonno a vedere il ghiaccio, e lei conduce Harry a far visita alla morte. «Per me, questo capitolo è la chiave di tutti i libri. Tutto, tutto quello che ho scritto è stato pensato per quel momento preciso in cui Harry si addentra nel bosco. il capitolo che avevo pianificato per diciassette anni. Questo momento è il cuore di tutti i libri. E per me è il vero finale della storia. Sebbene Harry sopravviva, di questo non ho mai avuto dubbi, raggiunge quello stato unico ed estremamente raro che consiste nell´accettare la propria morte. Quante persone hanno la possibilità di accettare la propria morte prima di morire?» (...) Viviamo in epoche oscure e tristi, lo dice lei nei suoi libri, e in particolare in questo. Come vive lei questa epoca? «Devo credere nella bontà delle persone. Credo che la gente, per natura, sia buona. Attualmente, però, seguo molto da vicino la politica americana. Sono ossessionata dalle elezioni negli Stati Uniti, perché produrranno effetti profondi nel resto del mondo. La politica estera degli Stati Uniti negli ultimi anni ha influenzato, in male, il mondo intero. Ecco perché sono molto interessata a quello che succede laggiù. E se avesse una bacchetta magica, che cosa farebbe? «Voglio un democratico alla Casa Bianca. E mi sembra un peccato che Clinton e Obama debbano essere rivali, perché sono due persone straordinarie, entrambe. Chiunque vinca, sarò contenta». (...) Lei dice che i suoi libri bisogna leggerli dai sette anni in su. «Be´, mia figlia maggiore aveva sei anni quando iniziò a leggerli. Ho sempre saputo dove andava con i libri. Per cui sì, penso che un bambino di sei anni possa capire il primo libro [Harry Potter e la pietra filosofale], anche se il finale è abbastanza cupo. Non tanto quanto il finale del secondo libro, ma ho sempre saputo che quando sarebbe arrivata al terzo, al quarto, al quinto… sarebbero morti personaggi che erano molto cari. Il quinto libro è il più cupo di tutti, perché c´è un´assenza di speranza, c´è un´atmosfera oppressiva. E credo che sia per questo che la gente non l´ha tanto amato. Ci sono lettori che preferiscono questo libro a tutti gli altri, ma sono un´eccentrica minoranza. Il quinto, il sesto e l´ultimo non credo che siano adatti per un bambino di sei anni». E quando scrisse il primo pensò a un tipo di lettore specifico? «Questo è il problema. Io lo chiamavo racconto per bambini perché il personaggio principale era un bambino. Ma è sempre stato un bambino che volevo rendere maturo. E alla fine è un uomo, un uomo giovane ma un uomo. questo l´elemento inusuale per un libro per bambini: il fatto che il protagonista cresca. E mi rende enormemente felice il fatto che la gente continui a leggere e ad apprezzare i libri. Sono diventati adulti con Harry Potter». (...) La letteratura salva la gente o aiuta a salvarsi. Che ha effetto avuto su di lei lo scrivere? «Le dirò una cosa. Se anche il primo libro non fosse stato pubblicato, il solo fatto di scriverlo mi ha salvato la vita. Mi dicono sempre che il mondo che ho inventato è irreale: fu proprio questo che mi servì per evadere. Sì, è vero, è irreale da un certo punto di vista. Ma non perché il mio mondo fosse magico, ma perché tutti gli scrittori evadono. Io, inoltre, non lo facevo solo per evadere, ma perché cercavo di avere le idee più chiare su certe questioni che mi preoccupavano. Questioni come l´amore, la perdita, la separazione, la morte… E tutto questo è rispecchiato nel primo libro». (...) Come fu il giorno in cui le dissero che avrebbero pubblicato il suo primo libro? «Vidi il mio sogno diventare realtà. Fu un momento straordinario. Non ci credevo, ero estasiata. E quasi immediatamente sentii come se un treno mi stesse spingendo da dietro a tutta velocità, come in un cartone animato. Pensai: "Che mi è successo?". Tre mesi più tardi ricevetti un anticipo astronomico, secondo i miei standard di allora. Deve tener conto che io all´epoca vivevo in un appartamento in affitto, non avevamo né assicurazione né risparmi. Tutti e due indossavamo abiti usati. Sa, i soldi scarseggiavano e avere improvvisamente quel denaro [105.000 dollari, n.d.r.] fu straordinario. Quella notte non riuscii a dormire. Passai la notte intera a camminare da un lato all´altro dell´appartamento. Ricordo vividamente che metà della mia testa diceva: "Ti puoi comprare una casa, ora ti puoi comprare una casa!", e l´altra metà diceva: "Non riuscirò a farlo, è impossibile"». (...) Lei è Harry Potter. E lei stessa lo dice: «Harry è mio». Ha sempre saputo come sarebbe finito? Ha sempre saputo che sarebbero stati sette libri? «Ho sempre saputo come sarebbe finito. Fin dal principio avevo tutta la trama già abbozzata, senza i dettagli, ma ho sempre saputo che la sua storia sarebbe finita. E così è stato, anche se molti appassionati sono scontentissimi. Non c´è modo di far risorgere la storia di Harry. Il mondo che ho creato rende possibile l´esistenza di altri libri, ma solo dirlo mi rende nervosa, perché sento che fino a quando morirò la gente mi continuerà a domandare: quando uscirà il prossimo libro? Ma la storia di Harry è finita. E ho sempre voluto che fosse così. Terminarlo è stato molto difficile. Anzi, è stato devastante». (...) Juan Cruz Copyright El País Traduzione di Fabio Galimberti