La Repubblica 11 febbraio 2008, ALBERTO FLORES D´ARCAIS, 11 febbraio 2008
Il pareggio, l’incubo dei Democratici parte la caccia ai "superdelegati". La Repubblica 11 febbraio 2008
Il pareggio, l’incubo dei Democratici parte la caccia ai "superdelegati". La Repubblica 11 febbraio 2008. Si chiama "Brokered Convention" ed è lo spettro che non fa dormire sonni tranquilli ai vertici del partito democratico. Le primarie del partito dell´asinello sono esaltanti. Militanti, semplici elettori e cittadini indipendenti sono corsi in massa ai seggi, facendo registrare affluenze mai viste; quasi in ogni Stato doppiano o triplicano i voti dei repubblicani e attorno a Barack Obama e Hillary Clinton (più al primo che alla seconda) si è creato un entusiasmo incredibile. Sul piano dei delegati i due sono praticamente alla pari; se lo saranno ancora dopo le primarie in Texas e Ohio (4 marzo) la "Brokered Convention" - quando nessun candidato ha i numeri per vincere subito, al primo "ballot round", con i giochi di corridoio che diventano decisivi - potrebbe diventare realtà. L´ultima volta che è accaduto era il 1952, quando a Chicago Adlai Stevenson (poi sconfitto dal repubblicano Ike Eisenhower) la spuntò al terzo "ballot round". Il presidente del partito democratico, Howard Dean, e gli uomini dell´apparato sono (per ora) rimasti neutrali ma non nascondono che firmerebbero subito per avere un candidato entro marzo, in modo da non lasciare troppo tempo di vantaggio alla campagna nazionale di John McCain, che ha la nomination in tasca. Al momento tutto congiura contro i loro auspici e la sensazione diffusa è che né Obama né Hillary abbiano alcuna intenzione di lasciare, almeno fino a che l´altro non abbia raggiunto il numero di delegati necessari (2.025) per vincere la Convention che si terrà a fine agosto a Denver, Colorado. Tra i due campi è in atto una quotidiana guerra di cifre. «I risultati di ieri rappresentano un evento straordinario nella marcia di Obama verso la nomination», ha esultato David Plouffe, il "campaign manager" del senatore dell´Illinois. Secondo i calcoli di Plouffe, sabato sera Obama ha «più che raddoppiato» i delegati "pledged" (quelli conquistati con il voto) rispetto a Hillary e guida adesso la corsa con un margine di vantaggio di 72 (1.012 a 940). Lo staff dell´ex First Lady replica snocciolando i conti fatti dai media (la Cnn la dà in vantaggio di 59 delegati, la Associated Press di 35). Il sito Real Clear Politics, che fa sempre la media fra i vari sondaggi, l´ha fatta anche per i delegati e il risultato (prendendo in esame le cifre di Cnn, Ap, Washington Post, Cbs e Rcp) conferma Hillary in testa ma solo per tre delegati: 1121 a 1118. In questi numeri vengono contati anche i "superdelegati". Saranno molto probabilmente loro - membri del Congresso, ex presidenti o ex segretari di Stato, governatori in carica, funzionari di partito - che decideranno alla fine se a sfidare McCain dovrà essere Hillary piuttosto che Obama. Per la Convention 2008 lo statuto del partito ne prevede 796, ma per ora meno della metà si sono espressi: 211 a favore della Clinton, 137 con il senatore afro-americano. Gli altri attendono, e piu Obama vince più potrebbero decidersi a schierarsi dalla sua parte. Il ruolo dei "superdelegati" è molto particolare: non sono vincolati al voto, possono cambiare idea anche all´ultimo secondo, possono decidere di astenersi. In un testa a testa così serrato è quasi inevitabile che diventino decisivi, così le due campagne avversarie hanno già da tempo messo in moto gli uomini (e le donne) decisivi per controllare e conquistarli. Hillary si é affidata a Madeleine Albright (ex Segretario di Stato di Bill Clinton), a diversi membri dell´ultima amministrazione democratica e a uomini potenti nell´apparato del partito (la cosiddetta "Clinton Machine") come Terry McAuliffe - oggi "campaign manager" di Hillary - e Harold Ickes; Obama ha dalla sua oltre a Ted Kennedy anche Tom Daschle (ex leader democratico del Senato), l´ex candidato del 2004 John Kerry, la governatrice dell´Arizona Janet Napolitano. Creati nel 1982 per dare una certa visibilità ai leader del partito, i "superdelegati" solo una volta furono determinanti: era il 1984 e il loro voto favorì Walter Mondale contro Gary Hart, anche se tra i due la differenza di delegati era già notevole. Nelle ultime cinque elezioni il loro ruolo é stato invece del tutto ininfluente. Sul ruolo che i "superdelegati" dovranno avere a Denver - nel caso di "Brokered Convention" - gli staff di Obama e Hillary già stanno litigando. Per il senatore di Chicago dovrebbero rispettare la volontà dei loro elettori («Penso che sia anche importante che valutino chi è nella posizione migliore per sconfiggere John McCain a novembre»); per Hillary dovrebbero decidere in modo indipendente: «I superdelegati dovrebbero pronunciarsi secondo un giudizio indipendente, se Obama e la sua campagna continuano a sostenere la loro posizione, che è contraria a quella che storicamente è la definizione di superdelegato, allora non vedo l´ora di ricevere il sostegno di Kerry e di Kennedy» (Hillary ha vinto il Massachusetts). Oltre ai "superdelegati", Howard Dean e i vertici del partito dovranno poi affrontare la (per ora) irrisolta questione dei delegati eletti in Michigan e Florida. Questi due Stati sono stati esclusi dalla Convention democratica per aver violato gli ordini di partito ed avere deciso di anticipare le primarie. Si tratta di una posizione che non può durare, visto che Florida e Michigan sono tra gli Stati decisivi per vincere a novembre e irritare gli elettori democratici locali potrebbe costare al partito dell´asinello la Casa Bianca. Ma è anche vero che assegnando i delegati verrebbe nettamente favorita Hillary, che era l´unica presente nelle schede in Michigan e che ha vinto anche in Florida. La soluzione, dicono gli uomini di Dean, potrebbe essere quella di convocare nei due Stati ribelli dei "caucus" prima della Convention. Delegati e "superdelegati", tutto in una manciata di voti. Per un partito che ha passato gli ultimi sette anni a contestare e a recriminare i risultati della sfida del 2000 tra Bush e Gore, sembra quasi la pena del contrappasso. ALBERTO FLORES D´ARCAIS