La Stampa 11 febbraio 2008, Marco Neirotti, 11 febbraio 2008
Così sono passato dalla follia. La Stampa 11 febbraio 2008. Il profumo della libertà è anche sapore della tragedia compiuta e incancellabile: «So che non si potrà dimenticare ciò che ho fatto, ciò che è successo con i miei genitori e mio fratello, ma almeno mi si perdonasse»
Così sono passato dalla follia. La Stampa 11 febbraio 2008. Il profumo della libertà è anche sapore della tragedia compiuta e incancellabile: «So che non si potrà dimenticare ciò che ho fatto, ciò che è successo con i miei genitori e mio fratello, ma almeno mi si perdonasse». E’ un Ferdinando Carretta attanagliato al passato ma con il passo ben dritto verso il futuro quest’uomo di 45 anni che il 4 agosto 1989 ammazzò e nascose i familiari che, a suo dire, non lo avevano coinvolto nella vacanza in programma. Confessò tutto a un giornalista di «Chi l’ha visto?» e, con fiducia piena, allo stesso giornalista, Giuseppe Rinaldi, ha voluto consegnare il suo pensiero su presente e futuro, per la puntata della trasmissione che andrà in onda questa sera. Quando sabato si era diffusa la notizia che - dopo i sette anni e mezzo di ospedale psichiatrico giudiziario a Castiglione delle Stiviere e uno e mezzo di comunità a Barisano, alle porte di Forlì - tornava libero, seppur sotto controllo, l’avevano accerchiato senza trovarlo telecamere, flash e taccuini. Tramite i legali - Gianluca Paglia e Marco Moglia - aveva soltanto espresso la volontà di «ricominciare a vivere», comunque una vita che era e per ora rimarrà, pur con la libertà di muoversi come gli pare (avvertendo il gudice se muta indirizzo), divisa tra lavoro e comunità, «dove mi trovo bene». Ora di quel peso parla: «So bene che ho fatto una cosa terribile. Quel giorno sono morte non tre ma quattro persone. Ho fatto quello che mai avrei dovuto fare». Annientato, ma anche con lo sforzo di annientare con quei tre corpi la propria anima, quella di allora che lo armò: «Ora spero di essere giudicato per quello che faccio ogni giorno e per quello che farò». Ogni giorno della settimana - anche già prima della libertà vigilata - Ferdinando Carretta lascia il Podere e prende servizio alla cooperativa Coforpol, che gestisce parcheggi nel centro di Forlì, servizi di raccolta differenziata, pulizie d’interni e che ha lunga tradizione di reinserimento sociale. Diplomato in ragioneria, si occupa di contabilità, lo stesso lavoro del padre. Nella vita privata, Carretta guarda i tg e legge più di un quotidiano, si interessa di politica ed economia, acquista libri prediligendo la saggistica rispetto alla narrativa. Già in ospedale, quando otteneva permessi per il sabato e domenica li utilizzava per visitare città, da Mantova a Cremona. Un continuo tentativo, monitorato e aiutato dagli psichiatri, di uscir fuori da quel buco nero della malattia e della morte. Proprio sulla malattia mentale lo interroga nell’intervista Giuseppe Rinaldi. Quando gli parlò la prima volta Carretta gli rovesciò addosso tutta la sua verità. Soltanto quando decise spontaneamente di tornare a consegnarsi alla giustizia, il giornalista gli propose di registrare l’intervista. Accettò. Ora torna in tv, a parlare di questa «biglia su un piano inclinato» che è la follia: all’inizio si muove lenta, la si potrebbe fermare, ma poi corre sempre più veloce. Alla domanda su che cosa si sente di dire a chi patisce, malato o parente, i disturbi dell’animo, Ferdinando risponde: «Parlare, non vergognarsi, far venire fuori, avere il coraggio prima che sia tardi».La prima intervista tv Marco Neirotti