Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  febbraio 10 Domenica calendario

Il lungo addio alle case di piacere. La Repubblica 10 febbraio 2008. Il 20 febbraio 1958 fu, possiamo ben dirlo, giornata memorabile

Il lungo addio alle case di piacere. La Repubblica 10 febbraio 2008. Il 20 febbraio 1958 fu, possiamo ben dirlo, giornata memorabile. Si concludeva una battaglia parlamentare durata quasi nove anni, promossa dalla senatrice socialista Lina Merlin, volta a sopprimere le case di tolleranza (vulgo: casini) sulla scia di quanto era già avvenuto in Francia. Nel 1946 la République aveva infatti abolito le pubbliche case di piacere grazie all´azione promossa, anche lì, da una donna: Marthe Richard, ex prostituta. La legge italiana aveva regolamentato fin dall´Unità il meretricio considerando i postriboli una garanzia igienica e profilattica ma anche, per strano che sembri, una specie di baluardo morale. L´esistenza dei postriboli veniva considerata dagli ambienti clericali e reazionari una valvola di sfogo a difesa dell´unità della famiglia e della pubblica moralità. Ipocrisia, certo. Umiliante valutazione del ruolo di una moglie, altrettanto certo. Riduzione della prostituta a puro strumento, innegabile. Eppure, una realtà per quegli anni - nonché, temo, dei nostri. Fu proprio in base a queste considerazioni che monarchici (allora presenti in Parlamento), neofascisti e parte della Democrazia cristiana si dichiararono contrari alla legge durante la discussione, votando infine contro. Indro Montanelli, con la sua franchezza di linguaggio, scrisse nel pamphlet Addio Wanda!: «In Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l´intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia».  una curiosa attività per lo Stato regolamentare le case di piacere. Se n´era già occupato Cavour, nel 1860, stabilendo perfino le tariffe che il gestore poteva chiedere ai clienti: «Case di 1° classe: lire 5; Case di 2° classe: dalle lire 5 alle lire 2; Case di 3° classe: al di sotto delle lire 2». Nel 1862, morto Cavour, la tabella era stata completata dal ministro Rattazzi con la seguente postilla: «Tali tariffe vanno, com´è naturale, riferite ad un semplice trattamento. Ove l´intrattenentesi richiedesse di prolungare il colloquio, s´intende che il suo esborso crescerebbe in proporzione alle unità di tempo consumate». Per concludere, con una precisione che rasenta la sublimità del grottesco: «L´unità di tempo media, per un colloquio semplice, è da calcolarsi in minuti 20 circa». La legge detta "Merlin" venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 4 marzo stabilendosi che sarebbe entrata in vigore alla mezzanotte del 20 settembre successivo. Così fu, anche se la data doveva a sua volta alimentare accese polemiche ritenendosi, da parte di laici e radicali, che non a caso per la chiusura dei postriboli si fosse scelta, supremo sfregio, la ricorrenza della Breccia di Porta Pia. Il bordello o postribolo ha dato vita a un´amplissima bibliografia, oltre ad essere stato rappresentato innumerevoli volte sia nella pittura sia nel cinema (basta pensare a tante opere del neorealismo o a Fellini). Tra i libri più notevoli va sicuramente segnalato Quando l´Italia tollerava di quell´eccentrico scrittore, quasi un unicum nel nostro panorama, che è Giancarlo Fusco. Il volume accoglie oltre allo scritto dell´autore, testimonianze di Buzzati, Comisso, Maccari, Soldati, Talarico, Zavattini. Ci si è chiesti molte volte per quali ragioni il "casino" abbia rappresentato un tema così frequentato nella narrativa non solo italiana. Tra le risposte più convincenti c´è che il luogo appare collocato al confine tra lecito e illecito, tra rispettabilità borghese e trasgressione, con la capacità di adattarsi mimeticamente alle intenzioni e allo sguardo dei suoi frequentatori. Anche questo ne ha fatto uno dei luoghi deputati del basso romanticismo tra-i-due-secoli. Il bordello insomma rappresentò per decenni la faccia nascosta, un po´ vergognosa, di quella sensualità che i costumi del tempo escludevano dal matrimonio dove la morale imperante chiedeva che la casta sposa soggiacesse poco meno che nauseata agli slanci del proprio consorte in obbedienza al pio motto: «Non lo fo per piacer mio, ma per dare un figlio a Dio». Anche da un diverso punto di vista il bordello si presenta come un luogo ambiguo, confinante ora con l´innocenza e il decoro di un club, ora con l´infernale abiezione di una galera. Un possibile confine verso il basso è rappresentato dal romanzo La fossa di Aleksandr Ivanovic Kuprin. La fossa è del 1912, ma ciò che descrive non riguarda solo la Russia o quegli anni. Un po´ come il francese Zola, Kuprin fa del suo romanzo un´inchiesta sociale secondo i canoni del naturalismo: «Quanto poi alla piccola Jamskaja, frequentata da artigiani, soldati, borsaioli e comunque da gente di infimo ordine e dove per una visita si pagano cinquanta copechi, tutto trasuda sporcizia e miseria: il pavimento della sala è ondulato, sconnesso, irto di schegge; le camere da letto - vere e proprie cucce - sono divise tra loro da sottili tramezzi». La fossa, quasi un manifesto, descrive un inferno. All´estremo opposto potremmo considerare lo scintillio dei cristalli, i cibi di qualità, i vini di pregio, i bagni odorosi del bordello parigino noto come Chabanais, lanciato dal principe di Galles, frequentato da varie teste coronate. Ma non sarebbe giusto perché l´estremo opposto, rispetto all´abiezione della «piccola Jamskaja», non è il lusso sfrenato ma il solido decoro borghese, la sommessa bonarietà provinciale quale troviamo nella Maison Tellier di Guy de Maupassant: «Il salotto di Giove, dove si riunivano i borghesi del luogo, era tappezzato di carta azzurra e abbellito da un gran disegno che rappresentava Leda ricoperta da un cigno... Madame aveva saputo imprimere alla casa un andamento assai a modo ed era gentile e cortese con tutti... I clienti, incontrandosi mentre erano in giro per i loro affari, si dicevano: "Questa sera al solito posto", come avrebbero potuto dire: "Ci vediamo al caffè, dopo cena"». Quale, tra le due rappresentazioni, è più vicina al vero? Il perbenismo alla Maupassant o la crudezza "verista" di Kuprin? Una delle più credibili testimonianze la si può leggere nelle famose Memorie di una maitresse americana di Nell Kimball. Le "Memorie", uno dei più bei racconti sui bordelli, presentano anche l´indiscutibile vantaggio di rendere la testimonianza d´una donna che quella vita l´ha vissuta davvero. Con la Kimball scopriamo che tutti hanno ragione, nel senso che il bordello rappresentava un universum nel quale ognuno poteva trovare ciò che cercava: bonarietà o abominio, degradazione o banalità, rapido disbrigo del «colloquio» o soddisfacimento dei più stravaganti capricci. Dipendeva dal tempo, dal luogo - e dal prezzo, ovviamente. Raccontando certi postriboli d´infimo rango, la Kimball scrive: «Questi orrendi bordelli si trovavano in case mezzo diroccate, nelle zone più affollate della città; il puzzo di cesso e di muri marci, di whisky e di sputi di tabacco era così forte che quasi non si poteva respirare...». Per contro, qualche decina di pagine dopo, la Kimball descrive la riposante opulenza, la pulizia impeccabile della casa gestita da lei personalmente per i maggiorenti cittadini, a cominciare dal sindaco e dal capo della polizia. Un altro esempio dello stesso genere è la casa dove passa i suoi pomeriggi l´affascinante Séverine, protagonista di Belle de Jour (romanzo di Jospeh Kessel) alla quale Catherine Deneuve ha dato per sempre il suo volto nel film di Luis Buñuel: «Il letto parsimoniosamente spiegazzato, un gilet appeso a una sedia, due scarpe ben accostate l´una all´altra, tutto testimoniava d´una licenziosità molto borghese...». La verità è che questa antitetica visione delle case di tolleranza (o casini o postriboli o lupanari) è rimasta costante per tutto il tempo in cui quelle case in qualche modo sono state regolamentate dallo Stato. La loro esistenza alludeva a una visione della prostituzione legata alla società ottocentesca, a una precisa concezione del piacere e della vita sessuale, a partire da quella coniugale. Dal punto di vista narrativo d´altronde il personaggio della prostituta, così ricco di contrasti, è indubbiamente comodo per ogni romanziere: può frequentare con uguale plausibilità ogni ambiente, può essere molto intelligente o molto stupida, buona e generosa o perfida e avara, ma soprattutto può essere giocata sull´ambiguità profonda del suo ruolo. La prostituta è la gelida dispensatrice del piacere altrui, una donna che simula un godimento che non prova o anche - poiché la stessa fatica di simulare dipende dal denaro - che assiste indifferente, gli occhi al soffitto o all´orologio, agli affanni ridicoli dei suoi effimeri amanti. Per converso, può anche diventare, come dimostra Violetta Valéry nella Traviata, un´autentica eroina sospinta dall´amore fino al più totale sacrificio. Le case di tolleranza vennero chiuse nel 1958 in base essenzialmente a due motivazioni: la massacrante routine delle signorine (più di cinquanta "marchette", in certe giornate) e la volontà di ridurre per quanto possibile il flagello dello sfruttamento. L´idea della socialista Lina Merlin era che ogni prostituta doveva almeno poter scegliere la quantità delle sue prestazioni e godere per intero del suo guadagno. A chi le obiettava che non sarebbe certo stata lei a spiantare il mestiere più antico del mondo, rispondeva che infatti non era quella la sua intenzione. Da vera socialista, nel senso nobile del termine, lei voleva solo restituire alle puttane un minimo di umana dignità. Sarebbe possibile oggi riaprire i casini, come qualcuno di tanto in tanto propone? Non credo, non in quella forma almeno. Il postribolo è stato il figlio di un tempo e di una cultura entrambi scomparsi. Restano il problema sanitario, quello della criminalità e quello dello sfruttamento, oggi diventato spesso schiavismo. Qualcuno prima o poi dovrà affrontarlo; anche se non sarà facile. CORRADO AUGIAS