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 2008  febbraio 10 Domenica calendario

La coupole. La Repubblica 10 febbraio 2008. Sabato, mezzogiorno e venti. La Coupole è mezzo piena. Al tavolo di fianco, un gruppo di quattro donne corpulente - una sui cinquant´anni, le altre sui sessanta - mal vestite e peggio truccate

La coupole. La Repubblica 10 febbraio 2008. Sabato, mezzogiorno e venti. La Coupole è mezzo piena. Al tavolo di fianco, un gruppo di quattro donne corpulente - una sui cinquant´anni, le altre sui sessanta - mal vestite e peggio truccate. Difficile dire da dove vengano, se dalle periferie o dalla provincia più vicina. Ma è molto probabile che siano venute a Parigi, a Montparnasse, al solo scopo di mangiare alla Coupole. E adesso, dopo aver a lungo armeggiato attorno ad un vassoio d´ostriche e crostacei, la bocca unta di maionese, le guance imporporate da due bottiglie di Muscadet, sono "aux anges". Commenti su quel che stanno mangiando, lunghe esplorazioni della lista prima d´ordinare il piatto successivo, e poi nuovi, meticolosi commenti. A giudicare dalla modestia dell´aspetto, le quattro donne si stanno permettendo un lusso. Un sabato festivo a Montparnasse, e un pasto ben servito, assaporato piano e non ingollato in fretta come nei giorni di lavoro, con due o tre bicchieri di vino in più. E poco importa che il cibo della Coupole sia ormai da molto tempo sprofondato in una malinconica, deprimente mediocrità: per i turisti, i provinciali e gli abitanti delle periferie di Parigi, il mito di questo restaurant-brasserie non ha ancora perso il suo fulgore. Eppure la Coupole, inaugurata nel 1927, ha un po´ più d´ottant´anni.  vero, il suo pubblico è sempre stato in gran parte composto di provinciali. Ma i provinciali, francesi o del resto d´Europa, vi entravano mezzo secolo fa con altri pensieri per la testa che non le "specialités maison", l´allora eccellente "foie à l´anglaise", i "filets de sole Coupole", i "pieds de porc grillés", la "choucroute" e il "mille feuilles". Vi entravano con la speranza di vedere lo scrittore, il pittore, lo scultore, l´attore o il regista a quel tempo più famosi, quasi tutti clienti abituali della brasserie. Ne avevano letto i libri, meditato i quadri e le sculture riprodotti nelle edizioni Skira, visto i film: e adesso, sul lato Vavin del boulevard Montparnasse, al momento d´attraversare la strada per mettere piede alla Coupole, trattenevano il respiro. Chi avrebbero visto e riconosciuto, alla "terrasse", all´american bar o ai tavoli del ristorante? Sartre, Chagall, Aragon, Giacometti, Simon Signoret, Jacques Prévert, o Luis Buñuel con la toppa sull´occhio sinistro? Alla Coupole non c´era infatti un giorno in cui il giovane provinciale appena arrivato a Parigi non avesse motivo di sussultare felice. Sì: lo scrittore, il pittore, lo scultore, l´attore erano lì - un giorno questo, una sera quello -, e in una giornata di buona caccia ce n´erano quattro o cinque. Non che fosse facilissimo scoprirli, in specie la sera quando la brasserie era al completo. La Coupole ha infatti centocinquantuno tavoli ai quali seggono, nelle ore di piena, cinquecento persone. E dunque distinguere in quel mare di facce, col frastuono delle voci di mezzo migliaio di persone - senza contare i "maîtres", i camerieri e le guardarobiere -, risultava un po´ faticoso. Ma alla sua terza o quarta volta alla Coupole, il giovane s´era già orientato. Jean-Paul Sartre sedeva abitualmente in fondo alla grande sala, al tavolo 149, di fianco al guardaroba, a volte con Simone de Beauvoir ma più spesso solo. Marc Chagall con moglie e mercanti vari sedeva al tavolo 27, quasi all´ingresso, ed era perciò il più facile da scorgere. Aragon ed Elsa Triolet, non di rado in compagnia dei boss stalinisti del Partito comunista francese, stavano a metà della sala, più o meno i tavoli da 94 a 104. Quanto a Giacometti (che nel pomeriggio era immancabile alla "terrasse", il volto sconsolato sul suo sconsolante bicchiere di birra), non aveva preferenze e sedeva dove gli capitava. Questi quattro o cinque artisti appena nominati, sono soltanto una piccola parte dei personaggi famosi che cinquanta, quaranta, e i più duraturi anche trent´anni fa, frequentavano regolarmente la Coupole, e lì stavano in bella vista per la gioia di chi avrebbe poi scritto agli amici di Tours, di Barcellona, di Palermo o di Francoforte sul Meno: «Stasera ero a un tavolo di fianco a quello di Sartre», o di Ionesco, Cendrars, Camus, Carné. Certo, c´erano anche molti "coupoliens", come venivano chiamati i clienti abituali della Coupole, che non avevano nulla a che fare con le arti. Solidi commercianti del quartiere, impresari del Moulin rouge o del Vénus discesi da Montmartre, un po´ di gente elegante che veniva a cena dopo un "vernissage" o una prima teatrale. Ma la brasserie di Montparnasse era considerata soprattutto un "rendez-vous des artistes", e qui stava la sua fama. Diciamo pure il suo mito. Chi entrava alla Coupole negli anni Cinquanta spingendone la porta girevole, sapeva bene, infatti, che oltre alle celebrità ancora sedute ai suoi tavoli, molte e molte altre vi erano passate tra l´inaugurazione nel ”27, la guerra, e poi i primissimi anni del dopoguerra. Da James Joyce a Joan Miró, da Picasso a Van Dongen, da Vlaminck a Pascin e a Foujita, dai fratelli Prévert a René Clair e a Samuel Beckett, da Ilja Ehrenburg (inviato da Mosca per tener d´occhio gli "émigrés" russi) a Georges Simenon che vi veniva con Joséphine Baker. E inoltre si sapeva che cosa fosse stato, lì dirimpetto, il cosiddetto "carrefour Vavin", le strade attorno alla Coupole: rue Notre-Dame-des-champs dove avevano abitato appena vent´anni prima Pound e Léger, Hemingway e Masson; rue Delambre dove avevano abitato Isadora Duncan e André Breton, Henry Miller e Tristan Tzara; rue Campagne-première dove avevano avuto gli studi de Chirico, Man Ray e Foujita, e ancora li avevano Klein e César. Quanti episodi poi riportati nelle biografie, amori brevi o lunghi erano fioriti tra i tavoli della brasserie di boulevard Montparnasse. Un giorno del novembre 1928 il giovane Aragon conosce al bar americano della Coupole Vladimir Maiakovskij, il quale l´indomani, ancora alla Coupole, gli presenta una sua amica anch´essa russa, Elsa Triolet. Sembra che la stessa notte i due dormano insieme nella stanza d´albergo di Elsa in rue Delambre, mentre è certo che nei successivi quarantadue anni, sino alla morte di Elsa, non si lasceranno più. E poi: Pierre Brasseur che entra brandendo una pistola e deciso a sparare su Foujita, reo d´avergli soffiato Youki, una delle più belle e volubili ragazze del quartiere; César che si fa prestare dal Musée Grévin la statua in cera del presidente della Repubblica Vincent Auriol, la piazza a un tavolo della Coupole e vi si siede di fronte, dichiarando che quella sera cenerà «au plus haut niveau»; la Resistenza che durante l´occupazione nazista fa assumere come cameriere tre ragazze di famiglia borghese con buona conoscenza del tedesco, per ascoltare (e poi riportare) i discorsi degli ufficiali della Wehrmacht; due giovani giornalisti che si fanno dare da Sartre la cicca d´una delle sue sigarette preferite, le Boyard papier mais, la fanno montare in un bel cubo di plastica, quindi la vendono all´asta per finanziare l´uscita di Libération. Sì, il mito esisteva, lievitato un po´ prima e un po´ dopo la Seconda guerra mondiale. E in certa misura si può dire che esso non era soltanto merito dei "coupoliens", i frequentatori del locale, ma anche della Coupole stessa, dei suoi muri, arredi, luci, stoviglie e toilettes. Perché questo va detto: anche nella brasserie ancora vuota, senza alcuno dei suoi clienti famosi nella letteratura, nelle arti e nel cinema, si coglievano (e si colgono tuttora) i segni d´una genialità. L´intelligenza di chi la concepì, la volle com´è, e di chi ha voluto mantenerla - nonostante lo scorrere dei decenni - pressoché intatta. La Coupole è infatti ancor oggi com´era la sera dell´inaugurazione, ottanta e più anni fa. La stessa enorme sala disegnata dagli architetti Barillet e Le Bouc, gli stessi stucchi e lampadari déco, la stessa boiserie e gli stessi tavoli - riparati di tempo in tempo, si capisce, dai falegnami -, lo stesso bar americano, le stesse stoviglie di Limoges con l´emblema (il logo, come si dice oggi) della brasserie: una donnina nuda contro lo sfondo d´una cupola. Solo due cose sono purtroppo sparite. I portacenere, e la stupenda nuvola di fumo che avvolgeva sino all´inizio di quest´anno i ventiquattro pilastri della sala, il bar, gli avventori e i camerieri. Ma a parte questo lutto, la fortuna ha voluto che non ci sia nulla di nuovo, alla Coupole. Qui come al bar della Closerie de Lilas, rimasto anch´esso identico. Mentre gli altri celebri locali del Montparnasse di mezzo secolo fa, il Select, il Dôme e la Rotonde, sono quasi irriconoscibili. Servendo circa millecinquecento pasti al giorno, comprese cento tonnellate di ostriche all´anno, si calcola che la Coupole abbia dato da mangiare in ottant´anni a quasi tutta l´attuale popolazione della Francia. Perciò sorprende che sia ancora lì, sul lato destro del boulevard scendendo verso Raspail, e quasi senza una grinza. Non sarà più alla moda, il cibo è sempre peggio, ma due volte al giorno per tutti i giorni dell´anno è sempre piena. E il suo nome è il più conosciuto di tutti i nomi dei ristoranti di Parigi, se non addirittura d´Europa.  vero, ai suoi tavoli non seggono più i leggendari "habitués" d´un tempo. Ma è anche vero che molti di loro si sono in certo qual modo trasferiti lì vicino, sul boulevard Edgar-Quinet, al cimitero di Montparnasse. Sartre e Simone de Beauvoir, Man Ray e Robert Desnos, Pascin e Zadkine, Soutine e Tzara, Joseph Kessel e César, insieme ai due inventori e primi proprietari della Coupole, i geniali e lungimiranti Ernest Fraux e René Lafont. Tutti forti fumatori, che oggi - col divieto del fumo - non andrebbero più alla Coupole neanche se resuscitassero. SANDRO VIOLA