Avvenire 9 febbraio 2008, LUIGI GENINAZZI, 9 febbraio 2008
«Kosovo, pronti all’indipendenza entro febbraio». Avvenire 9 febbraio 2008. Tutto è pronto per i festeggiamenti
«Kosovo, pronti all’indipendenza entro febbraio». Avvenire 9 febbraio 2008. Tutto è pronto per i festeggiamenti. Prove d’orchesta per l’Inno alla gioia di Beethoven nel palazzo della Filarmonica, in mancanza di un inno nazionale. Bandiere albanesi con l’aquila nera, in attesa del nuovo vessillo. Ci saranno i fuochi d’artificio, mentre restano proibiti gli spari in aria, temuti dalle autorità e pericolosi per chi vi assiste. Il grande giorno sta per arrivare, l’indipendenza del Kosovo verrà dichiarata ufficialmente il 17 febbraio, dice il tam tam che giunge dalle organizzazioni internazionali e rimbalza sui giornali. Al primo piano del basso edificio che ospita il parlamento, dove avverrà la proclamazione, ci riceve il presidente del Kosovo, Fatmir Sejdiu. Dietro di lui spiccano i ritratti di Ibrahim Rugova e di Madre Teresa, il padre della nazione e la santa di origine albanese. «Senza di loro non saremmo mai nati come nuovo Stato, lo ammettono anche coloro che imbracciarono le armi. Fu una guerra di difesa», afferma l’ecumenico presidente che ha siglato un’alleanza con il primo ministro Hashim Thaci, già leader delle formazioni combattenti dell’Uck. In quest’intervista esclusiva ad Avvenire, Fatmir Sejdiu spiega il suo Kosovo, quello che è e soprattutto quello che vorrebbe essere. Signor presidente, il Kosovo indipendente sembra un bimbo che fatica a nascere. Come mai? Io credo che il momento del parto sia davvero arrivato. Ma dev’essere un parto sicuro e tranquillo. Per questo abbiamo voluto che venisse eseguito in modo coordinato con gli Usa e la Ue. Ovviamente il momento del parto lo decidiamo noi. Lo so, ci sono degli Stati un po’ esitanti nell’Unione Europea, ma un rinvio è del tutto da escludere. E, mi creda, saranno moltissimi i Paesi che riconosceranno il Kosovo indipendente. Quando ci sarà la proclamazione? Non posso dirle la data, le assicuro però che è molto vicina. Credo che sarà prima della fine di febbraio. L’immagine che si ha del Kosovo in Occidente è quella di un buco nero, un intreccio di corruzione, povertà e traffici illegali. L’indipendenza potrà rimediare a tutti questi mali? Non abbiamo mai pensato all’indipendenza come a una sorta di bacchetta magica per risolvere tutti i nostri problemi. Ma ci fornirà degli strumenti essenziali per affrontarli, a cominciare da un vero governo, riconosciuto a livello internazionale. Voi in Occidente dimenticate spesso che veniamo da una situazione disastrosa, ereditata dalla Jugoslavia. Ma oggi il Kosovo non è un buco nero. I nostri parametri di sviluppo non sono lontani da quelli degli altri Stati della regione. Stiamo portando a termine il processo di privatizzazione, sono nate società come la Feronikli, che dà lavoro a migliaia di persone, e presto ci sarà una nuova centrale elettrica. Se invece vogliamo dare un’occhiata ai fenomeni negativi, beh, le posso dire che il tasso di criminalità è molto più elevato in Serbia che da noi. In Kosovo non ho trovato nessuno che parli bene dell’Unmik, l’amministrazione dell’Onu. Qual è il suo giudizio? Ci sono stati ostacoli oggettivi, insiti nella natura stessa di una missione che si è rivelata troppo eterogenea, con funzionari provenienti da Paesi molto diversi per quanto riguarda la capacità di lavoro. Adesso, comunque, è tempo che l’Unmik se ne vada. Siamo pronti ad accogliere l’Eulex, la missione europea, più agile e speriamo più efficace. Non è chiara però la base giuridica della missione Eulex. Qualcuno dice che per metterla in atto vi sarebbe bisogno di una nuova risoluzione dell’Onu, in sostituzione della 1244 approvata dopo la guerra del 1999. Lì si dice che il Kosovo resta formalmente sotto la sovranità della Serbia. Lei è un giurista, come la vede? Non è così. La 1244 parlava di sovranità della Federazione jugoslava, uno Stato che si è sciolto da quando il Montenegro è diventato indipendente. Il Kosovo era stato costretto a farne parte, contro la sua volontà. Ma ora quell’entità non c’è più e la Serbia, in quanto tale, non può avanzare alcun diritto sul Kosovo. Il problema non è solo la Serbia in quanto Stato. Attualmente la minoranza serba del Kosovo vive in una sorta di riserve indiane, si sente minacciata dalla maggioranza albanese e teme che dopo l’indipendenza la sua situazione peggiorerà. Lei crede che sia possibile ristabile un clima di fiducia e di convivenza civile? Non sono assolutamente d’accordo con la sua analisi. Il Kosovo vuole essere, ed è, uno Stato multi-etnico. Fin dall’inizio noi abbiamo dato alla comunità serba delle serie garanzie, riconosciute dal piano Ahtisaari (il mediatore Onu, ndr) ed anche dalla nostra Costituzione. Una cosa dev’essere chiara: noi non abbiamo creato nessuna riserva indiana, anzi vogliamo farli uscire dal ghetto. Ed anche loro vogliono vivere come cittadini normali. Ma, soprattutto nella zona di Mitrovica confinante con la Serbia, la gente è manipolata dai politici di Belgrado, che spingono all’odio e all’inimicizia. Non pensa che si arriverà ad una divisione di fatto, con la Serbia che prenderà il controllo dei territori del nord del Kosovo? No. Ci pensi bene: non ci sarebbe più un Kosovo multi-etnico, la Serbia aumenterebbe le sue pretese, i Balcani precipiterebbero di nuovo nell’instabilità e anche l’Europa sarebbe meno tranquilla. No, la strada è un’altra: quella del rispetto reciproco tra gli Stati. Noi lo vogliamo in tutti i modi, abbiamo scelto l’Europa. La Serbia, invece, continua a lanciare minacce e si rifugia sotto le ali della Russia. Veramente il presidente serbo, Boris Tadic, vuole portare il suo Paese in Europa... Mi congratulo per la sua vittoria elettorale, ma sono in attesa che le parole diventino realtà. Mi sarebbe piaciuto che la Serbia fosse il primo Stato a riconoscere il Kosovo indipendente. Le abbiamo offerto un trattato d’amicizia. Ha rifiutato. Eppure, un giorno, sono sicuro, riconoscerà la nostra realtà. Ed anche la Russia lo farà se è vero, come dice, che ha a cuore la stabilità dei Balcani. Signor Presidente, una settimana fa lei è stato ricevuto dal Papa in Vaticano. Sembra però che la Santa Sede abbia assunto un atteggiamento molto cauto nei riguardi dell’indipendenza del Kosovo. Qual è la sua impressione? Noi apprezziamo molto il sostegno e l’aiuto al nostro popolo che è stato dato da Giovanni Paolo II e viene proseguito dall’attuale Pontefice. La Santa Sede ha un ruolo del tutto particolare nella comunità internazionale e da questo punto di vista l’udienza che il Santo Padre ha voluto concedermi ha un grande valore simbolico. Durante la conversazione con Benedetto XVI mi sono sentito del tutto a mio agio, come se lo conoscessi da anni. Mi ha fatto dono di una penna molto bella, lavorata a mano. La terrò fra le cose più care e la userò nelle grandi occasioni. Anche nel giorno della proclamazione dell’indipendenza del Kosovo? Penso proprio di sì.