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 2008  febbraio 09 Sabato calendario

Girardengo. La Stampa 9 febbraio 2008. Chissà com’era la cascina Scarazzolo, alla periferia di Novi Ligure, nel marzo del 1893

Girardengo. La Stampa 9 febbraio 2008. Chissà com’era la cascina Scarazzolo, alla periferia di Novi Ligure, nel marzo del 1893. Immaginiamocela come meglio ci aggrada. Circonfusa di brume, benché di brume a marzo ce ne siano poche, o inondata di sole. E’ soltanto un’innocente questione scenografico-sentimentale, dettata dal fatto che il 18 marzo di quell’anno remoto, nella Cascina Scarazzolo nacque un bambino il cui futuro sarebbe stato un fastoso appuntamento di squilli di tromba. Vagiva, insomma, nella nebbiosa o solare cascina, il prossimo Campionissimo, l’illustre Omino di Novi, nientemeno che Costante Girardengo in formato bebè. Tempi relegati laggiù. Eppure, grazie alla potenza del personaggio, recuperabilissimi. Eccolo, nell’anno della sua prima vittoria alla Milano-Sanremo. E’ il 1918. Costante è professionista dal 1912. Nel ”13 ha conquistato il titolo italiano, ne conquisterà altri otto. La guerra lo blocca. Ma ora è di nuovo in sella. Ha gli occhialoni da metalmeccanico sopra il berretto, i tubolari a tracolla, indossa la maglia della Maino, maglia gloriosa. E’ piccolo, leggero, ma sodo come una gomena. E’ già un formidabile passista-veloce. Guarda al Colle del Turchino come alla Montagna delle Streghe, ma sono streghe amiche sue, se le annette come gli pare e piace. Le strade che spaventerebbero un pellegrino da santuari, gli mettono il prurito alle pedivelle. Che meraviglia, pensa: li trasformo tutti in marmellata, i miei rivali, lassù. Ne vincerà sei di Milano-Sanremo, soltanto una in meno del cannibale Eddy Merckx. Una Sanremo gli rende quattro mila lire, e venti lire al chilometro. Diecimila lire nette. «I soldi per comprare un appartamento» diceva, strizzando l’occhio ai compagni. Con il solo stipendio avrebbe potuto comprare appena una persiana: 80 lire al mese. Il novembre di quell’anno fu da fuochi artificiali. E’ crollato il fronte austriaco del Grappa. Il nemico è in rotta ad oriente del Piave. Avanti, si ricomincia. Il 1919 è l’anno stellare dell’Omino di Novi. Altro che Omino, è un rullo compressore, un macinatore di sassi, un divoratore di polvere, amico del sole e della pioggia, va d’accordo perfino con la neve. Ha fatto di Belloni, il suo strenuo avversario, un "eterno secondo". E quando smonta di bicicletta perché ha forato e si sfila i tubolari dalle spalle, smoccola e fischietta: andate, andate che tanto vi riacciuffo. Vince il Giro d’Italia tenendo sempre la maglia rosa e agguantando sette tappe. Iscrive nel proprio albo d’oro il Lombardia. Lo tormenta, nei due anni successivi, una serie di incidenti. Nel 1923 vince il secondo Giro e otto tappe. E’, a furor di stampa e di popolo, il Campionissimo, l’astro pedalante d’una Italia piccina e povera, che trova in lui un contenitore di fiducia, un incitamento a credere che non tutto ha la tristezza delle mezzemaniche e dei cappotti rivoltati. Le imprese di Girardengo risplendono nel racconto di Orio Vergani inviato speciale del Corriere della Sera. Luigi Pirandello dice, ammirato: Ah! Girardengo! Ma non c’è soltanto Pirandello. Mezza italia letteraria è innamorata del campione che è nato come Giuseppe Verdi in una cascina e, senza essersi mai sognato di conoscere la musica, ha fatto cantare e come e con quali romanze, i pedali. Era famoso, l’Omino di Novi per gli accidenti di distacchi che appioppava ai poveretti che si illudevano di batterlo. Si illuse di suonargliele anche Alfredo Binda quando era giovane e appena apparso sulla ribalta del ciclismo. Ma L’Omino, ormai al tramonto, gli rifilò l’ultima sberla a una Sanremo che Binda aveva già sentito rinchiusa nel tascone della sua maglia. Distacchi alla nobiltà e al proletariato della bicicletta. Senza distinzione. Gli piaceva esser solo Girardengo. Beniamino Gigli era un appassionato di ciclismo e un frequentatore ostinato di 6 Giorni. Stravedeva per Costante, avrebbe lasciato una prima al Metropolitan per correre al Velodromo d’inverno di Parigi. Erano i tempi in cui attorno al ciclismo si poteva non di rado sentire profumo d’assenzio. Scrittori, pittori, poeti, cantanti dell’Opera si davano appuntamento al Velò per mandare un bacio al Campionissimo. Due Giri, sei Sanremo, tre Lombardia, il G.P.Wolber a Parigi, una corsa che valeva una carriera, battendo i fratelli Pelissier detti gli imbattibili. Uno non se ne rende conto, non avverte che sta ingigantendo alle sue spalle un’ombra che lo coprirà. S’avvicinava, armato d’un bagaglio di meraviglie, Alfredo Binda. Gareggiò ancora, l’età non gli pesava, con i tubolari a tracolla, fino al 1936! Poi costruì biciclette con su scritto il suo nome e guidò Bartali dall’Auto ammiraglia nel Tour trionfale del 1938. Non ha mai avuto paura delle nevicate l’Omino di Novi. E’ morto in una giornata di neve. Proprio trent’anni fa. Gianni Ranieri