La Stampa 9 febbraio 2008, Fabio Poletti, 9 febbraio 2008
Prigionieri dei binari. La Stampa 9 febbraio 2008. Giusto nella canzone di Lucio Battisti il treno partiva alle 7 e 40
Prigionieri dei binari. La Stampa 9 febbraio 2008. Giusto nella canzone di Lucio Battisti il treno partiva alle 7 e 40. «Il mio ha sempre cinque minuti di ritardo, quando va bene sono le 7 e 45...», allarga le braccia come se fosse in croce Bernardo Airoldi, casa a Corbetta e ufficio a trenta chilometri, uno delle migliaia di passeggeri della linea Novara-Milano, uno dei 13 milioni di viaggiatori che ogni santo giorno affronta la via crucis dei pendolari, treni sporchi, sovraffollati, freddi quando fa freddo, bollenti quando fa caldo e mai in orario. Ettore Fittavolini, pendolare da un quarto di secolo, funzionario di banca abituato ai grandi numeri, ha fatto i conti di tutti i ritardi accumulati da tutti i treni sulla linea Piacenza-Milano: «Nel 2007 sono stati raggiunti 30 mila e 794 minuti di ritardo, più di 513 ore, più di 21 giorni, oltre tre settimane». Un record confrontabile solo con il viaggio allucinante di Giorgio Dahò, inverno 2001, linea Lecco-Milano, 8 ore per fare meno di 60 chilometri: «C’erano cinque centimetri di neve, se l’avessi fatta a piedi, sarei arrivato prima». Vita standard da pendolare. Gli ultimi degli ultimi, quelli che non arrivano mai e che le hanno tentate tutte. Si sono messi in mezzo ai binari, hanno fatto lo sciopero del biglietto, qualche volta hanno urlato la loro rabbia davanti alle telecamere e non è successo niente. Adesso ci riprovano con un decalogo, la Carta dei diritti dei pendolari, il minimo del minimo, nemmeno fossero profughi del Darfur. Il documento è già stato approvato dai comitati del Piemonte e della Valle d’Aosta e ratificato ieri in un’assemblea promossa a Milano dai rappresentanti dei passeggeri delle altre regioni italiane, insieme con Legambiente. Un decalogo che farebbe ridere, se non facesse piangere: «Vogliamo viaggiare su treni sicuri, seduti in modo confortevole, informati degli eventuali ritardi, partendo da stazioni decorose, pagando tariffe eque, potendo utilizzare il primo treno utile che ci porti a destinazione anche se di categoria superiore». Quello che non capita a Sonia Zarino, casa a Lavagna, lavoro da manager a Sampierdarena, il treno che dovrebbe partire alle 7 e 11 e che ci mette un’ora e venti per fare 50 chilometri: «L’abbonamento costa 60 euro al mese. Quello per gli Intercity costa il doppio. Per salire su un treno più veloce che passa prima del regionale che prendo di solito ho dovuto fare la carta di ammissione. Costa 60 euro ogni 6 mesi. La fa solo la Regione Liguria». La giungla delle tariffe Nel caos delle ferrovie italiane non ci sono solo i disservizi che ammazzano i pendolari. Ci sono anche i servizi. Qualcuno ha contato le tariffe in vigore in Italia, sono oltre cento per ogni tratta, tra biglietti ordinari, scontati, chilometrici, collettivi e per abbonamento. Un lavoro di fantasia che non sarebbe venuto in mente neanche a J.K. Rowling, che si è limitata a inventare il binario 9 e tre quarti nella stazione di King’s Cross, dove con tutta comodità Harry Potter prende l’ Hogwarts Express. Ci vorrebbe una bacchetta magica per rendere la vita facile ai pendolari. Mauro Moretti è solo «un babbano», direbbe la scrittrice inglese. L’umanissimo amministratore delegato delle Ferrovie s’infila nell’arena dei pendolari e dice quello che sanno tutti. Che mancano i soldi per comperare treni nuovi, per ridurre l’affollamento sui convogli, per rendere più efficiente la rete ferroviaria del trasporto locale: «Il piano industriale presentato lo scorso anno, che prevede l’aumento del 50% dell’offerta ferroviaria nelle grandi città in quattro anni, non è finanziato. Non sono soddisfatto dalle risposte del governo e delle Regioni». Se non è soddisfatto lui figuriamoci quanto può esserlo Cesare Carbonari che da una vita si fa la Torino-Milano in treno e quando sente discutere di Alta velocità gli fumano le orecchie: «Prima bisogna garantire i servizi per i cittadini che viaggiano con i treni locali e regionali. I finanziamenti per la Tav devono venire dopo». Bernardo Airoldi che ogni giorno viaggia da Novara-Milano a passo di lumaca, di Alta velocità non vuole nemmeno sentire parlare: «Una nuova compagnia ha speso 800 milioni per acquistare 25 treni Agv, noi però continuiamo a viaggiare come sardine. La Tav non c’interessa». Prigionieri dei binari. Prigionieri dell’incubo peggiore, i pendolari snocciolano le loro microstorie, così incomprensibilmente simili tanto sono standard. Paolo Meo, giornalista a Torino, ci mette 50 minuti ogni giorno per andare da Caluso in città: «Sono solo 50 chilometri, sono treni lumaca. Però ho solo cinque minuti per la coincidenza...». Andrea Fossati, studente a Milano, ha una sua idea sui ritardi continui della linea da Seveso al capoluogo lombardo: «Troppi passaggi a livello, troppi rallentamenti sui binari». Laura Genovesio che ogni giorno parte dal Cuneese per Torino, più che dei ritardi si lamenta della frequenza: «Il mio treno è alle 7.38, nelle ore di punta ho solo un’alternativa». Il peggio Più che una chance è una pistola puntata alla tempia. Ma in questa vita dei pendolari che non è nemmeno vita, c’è chi impiega il suo tempo per salire su un convoglio dopo l’altro. Paola Villani, «mobility manager» per la Provincia di Torino, testa i treni come un sommelier, se ne beve anche tre al giorno: «Il peggio sono la Milano-Mortara, la Novara-Milano e la Bergamo-Milano». Il peggio lo si trova guardando gli elenchi di Legambiente su quanto spendono le Regioni per il trasporto pendolare: in Lombardia - la Regione che investe di più - lo 0,62% del bilancio, in Piemonte lo zero, come Calabria e Molise. Alessandro Berteotti, che da trent’anni si sciroppa ogni mattina la tratta da Busto Arsizio a Milano, commenta: «Pensavo che i ritardi fossero dovuti soprattutto ai lavori per la galleria a Castellanza». Invece è tutta l’Italia dei pendolari a essere precipitata in un tunnel di cui nessuno sa trovare l’uscita. Fabio Poletti