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 2008  febbraio 09 Sabato calendario

L’ira di Cesa. La Stampa 9 febbraio 2008. L’ufficio di Lorenzo Cesa in via Due Macelli sembra la «war room» di un fortino assediato

L’ira di Cesa. La Stampa 9 febbraio 2008. L’ufficio di Lorenzo Cesa in via Due Macelli sembra la «war room» di un fortino assediato. Decine di telefonate da tutta l’Italia («e ora che si fa?»). Casini che da Bologna detta la linea («calma e sangue freddo: non è detta l’ultima parola»). Totò Cuffaro che si tiene informato mentre in Sicilia guerreggia con Miccichè. Il segretario dell’Udc appare flemmatico, ha pure voglia di sorridere quando il senatore Francesco Pionati dice di essere abituato ai terremoti. «Alla Rai - ricorda l’ex giornalista del Tg1 - ne ho viste talmente tante che quello che sta succedendo oggi mi fa un baffo. Certo qualcuno sarà preoccupato. Chissà quanti pannoloni si è già cambiato D’Onofrio! Berlusconi ora deve fare bene i conti su quanti ne elegge senza di noi al Senato...». Cesa strizza gli occhi e affonda il dente avvelenato. «La mossa di Berlusconi è inqualificabile». Lo dice piano, freddamente: è consapevole che la sfida del Cavaliere mette l’Udc su un crinale pericoloso, ma è anche sicuro che, se alla fine il suo partito sarà costretto a correre da solo, allora la faranno pagare cara a Berlusconi. «Noi gli facciamo danni grossi in molte regioni. Il partito delle..., come si chiama? Ha sì, del Popolo delle libertà rischia grosso, rischia di non prendere il premio di maggioranza in 5, 6 regioni. Poi vediamo come farà a governare». Cesa fa una pausa. Aggiunge: Noi siamo al 6-7%, per cui riusciamo a superare lo sbarramento nazionale del 4% alla Camera e dell’8% al Senato in sei regioni. Dunque, riusciremo ad eleggere 30-35 deputati e almeno 15 senatori. Noi siamo tranquilli. Abbiamo detto che vogliamo stare nel centrodestra, ma in maniera autonoma. Non siamo dei vassalli, non ci sciogliamo in una indistinta lista-pentolone». Altra pausa. Occhiata a Pionati. Ripete e sviluppa il concetto di prima. «Inqualificabile, ingenerosa, poco riguardosa, un comportamento al di fuori del nostro modo di fare. Berlusconi dice che molti parlamentari dell’Udc vogliono andare con lui? Non è vero. E se c’è qualcuno che vuole seguire Giovanardi, si accomodi. Noi siamo pronti ad andare da soli. Poi, al Senato conteremo morti e feriti». Intanto dall’altra parte dell’Italia, in Sicilia, si sta consumando una parallela e furiosa lotta a colpi di scimitarra. L’Udc e Mpa, che qui hanno il loro feudo elettorale, sbarrano la strada alla candidatura forzista di Miccichè. E’ una vicenda legata a quella romana. I centristi siciliani dicono che Berlusconi vuole far fuori Casini: per questo ha benedetto la candidatura di Miccichè. Dunque, a metà pomeriggio Cuffaro, dopo aver sentito Casini, si presenta davanti a telecamere e taccuini e spara a palle incatenate. «Farò di tutto per impedire l’elezione di Miccichè. Devo difendere la mia terra. Quando Miccichè mi ha chiesto di dimettermi perché altrimenti avrei danneggiato l’immagine della Sicilia, l’ho fatto. Io ero buonista e non ho mai agito con dietrologia, ma mi sono sbagliato. Sono accadute una serie di cose che non sono casuali. Ora ho l’assoluta certezza che per non danneggiare la Sicilia devo impedire la candidatura e l’elezione di Miccichè. Lo contrasterò fino alla fine». Infine l’anatema: «Perderai!!!». Lombardo, il forte leader dell’Mpa, è già in pista. «Corro - spiega - anche per una questione di principio, perché non sopporto che a decidere sui destini e sui candidati in Sicilia siano Berlusconi e Veltroni». Nel campo avverso del Pd, osservano divertiti la cavalleria rusticana che si combatte tra Roma e Palermo. Il più soddisfatto per la nemesi che sta toccando a Casini, suo ex fratello gemello dell’Udc, è Marco Follini. Il suo è un distillato di veleno: «La legislatura si è chiusa con il riallineamento dell’Udc. Avendo servito la causa del centrodestra, Casini si aspettava maggiore gratitudine. Ma ora, dopo essere stato cacciato, costruire il centro come ripiego è una scelta piuttosto misera». Zac! Non è un ripiego invece il tentativo di Tabacci, Pezzotta e Baccini della «Rosa per l’Italia» che è stata presentata ieri come il grimaldello per spezzare il bipolarismo che si sta trasformando in bi-leaderismo. Ma, se l’Udc correrà da sola, questa Rosa rischia di appassire subito perché l’area di centro diventerebbe affollata. A meno che Casini alla fine non decida di ricongiungersi con i suoi amici. Cosa molto improbabile, per la verità. Tabacci, che sarà il candidato premier della nuova formazione politica, non si sbilancia, dice che non vuole commentare lo spariglio di Berlusconi e gli effetti su Casini. «Noi siamo qui e qui restiamo. Vediamo come va a finire. Ne parleremo a bocce ferme. Previsioni non ne voglio fare, sennò mi danno del diabolico...». Tabacci teme che alla fine ci sarà una retromarcia. Ma c’è una cosa che rinfaccia a Casini, quello di non avere avuto il coraggio di andare avanti sulla legge elettorale: «Se avesse continuato a mantenere la linea del tedesco si sarebbe potuto votare a giugno con la legge elettorale cambiata. Ma c’era da seguire Berlusconi... Ora si trova in queste condizioni». Amedeo La Mattina