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 2008  febbraio 08 Venerdì calendario

Una «scialuppa» per i tormenti del Buonarroti. Corriere della Sera 8 febbraio 2008. Tutto venne da Agostino Chigi, il banchiere colto, bello, elegante

Una «scialuppa» per i tormenti del Buonarroti. Corriere della Sera 8 febbraio 2008. Tutto venne da Agostino Chigi, il banchiere colto, bello, elegante. Fu lui che fece venire da Venezia Sebastiano Luciani. Lo chiamò a dipingere nella sua villa sul Tevere, la Farnesina, sotto la volta affrescata da Baldassarre Peruzzi con l’oroscopo dello stesso Agostino. Compagno del veneziano, nella stessa sala, fu Raffaello. Così Agostino Chigi aveva consacrato Sebastiano ai vertici della pittura italiana. Raffaello aveva dipinto la ninfa Galatea, bianca come il latte e le spume delle onde, circondata da una corte di tritoni. Un amore in volo scoccava verso di lei una freccia. In un angolo, in alto, Sebastiano dipinse Polifemo, solo e sconsolato che guarda la ninfa irraggiungibile. Avrà riconosciuto se stesso in quel Polifemo, Michelangelo? Non l’avrebbe raffigurato ugualmente solo Raffaello nella Scuola d’Atene? Sebastiano possedeva ciò che a Michelangelo mancava. Quell’incanto davanti alla bellezza d’un volto femminile – come in mostra, nella «Dorotea» di Berlino ”, l’immediatezza degli sguardi, come nello stupendo «Giudizio di Salomone» e, nello stesso quadro, il calore di un corpo nudo. Avrebbe aiutato, il giovane veneziano, a rompere l’isolamento doloroso del maestro fiorentino? L’alleanza fu quasi inevitabile. Forse Sebastiano avrebbe dovuto cedere qualcosa. La Madonna, nella «Pietà» di Viterbo, non ha nulla della materna fragilità che conosciamo nelle altre Madonne dolenti. Stringe virilmente i pugni, chiusa nella tunica e nel manto color della notte. Ma – e qui Sebastiano si conferma pienamente veneziano – il suo sguardo è rivolto alla luna che appare in uno squarcio tra le nubi e che arriva a illuminare il corpo livido del Cristo morto e la sua candida sindone. Sulla fedeltà di Sebastiano verso Michelangelo si è sempre insistito, da Vasari in poi. Secondo Vasari, anche la «Resurrezione di Lazzaro», realizzata in gara con Raffaello, che dipingeva la «Trasfigurazione», sarebbe stata eseguita «sotto ordine e disegno di Michelangelo». Di fatto gli «sbattimenti di luce» di questo quadro, come avrebbe detto un osservatore del Seicento, sono tali da lasciar capire come Raffaello e Sebastiano si fossero guardati a vicenda. Carlo Bertelli