La Stampa 9 febbraio 2008, Marco Neirotti, 9 febbraio 2008
Il romanzo di Olindo. La Stampa 9 febbraio 2008. Lapidario: «Curiosi». Tenero: «Il vento mi dice il tuo dolore
Il romanzo di Olindo. La Stampa 9 febbraio 2008. Lapidario: «Curiosi». Tenero: «Il vento mi dice il tuo dolore. Amore ti amo». A caccia di evocazioni: «Aquila con un bocciolo di rose nel becco». Eccolo tradotto in parte il «codice Olindo», simboli, cerchi, croci, quadrati. Niente di diverso dalla Bibbia, soltanto cose per lui più segrete, come una parola d’amore, l’insulto a una guardia, il «finocchio» attribuito a un altro del personale. E in quello che chiama «Libro dei morti» i nomi delle vittime, di tutti gli inquirenti. Più che minaccia, una liberazione del pensiero. Ecco la «religione» secondo Olindo. La sua Bibbia annotata - parole rapite ovunque, tra errori di ortografia e moti d’amore e odio estremi - è di per sé un pezzo di perizia psichiatrica, Antico Testamento rispettato, bevuto in delirio mistico e con un’impennata stravolto, adattato a sé e al cortile di Erba, totem rovesciato, sempre lui eppure con una luce opposta. Prima della Bibbia c’è una sorta di sua «prefazione» scribacchiata su quattro pagine del «Gesù» di Papa Ratzinger: «Noi siamo stati sviati dalla retta via da un uomo cristiano cattolico credente che pensava e forse lo pensa ancora di essere al di sopra di Dio. Sto parlando del Castagna e della sua famiglia». Sterminata. Chissà perché a destra è scritto «strage Portella delle Ginestre 1947». E poi: «Bandito Giuliano, terra e pane, un giusto contro una legge ingiusta». Di nuovo il nonno di Youssef: «Lo perdoneremo solo se dirà tutta la verità». Parte così il romanzo che si chiuderà ribaltandosi spesso su di sé. Ci sono ovunque i disegnini del «codice», le parole criptate, nomi, indirizzi, cifre del conto corrente del carcere, annotazioni su incontri con avvocati, psichiatri, dissidi con le guardie o solidarietà con un detenuto. Il resto è dipanarsi di una vicenda intima, solitaria, parallela al mondo della gente che si alza, cammina, lavora, ride, gioca, incontra, conosce e poi riposa. E’ un mondo fisso. Fisso nel legame con Rosa. Racconta la coppia: «Due persone perdenti che si sono scelte per salvarsi la vita, ma più frequentemente per affondare assieme nel loro amore». E così disegna Rosa: «Mia sposa e unica amica». Depositaria di ogni fiducia. Olindo incolla pagine di giornali, Famiglia Cristiana (titolo di copertina: il segreto della felicità), una foto di locandina d’un film («Gli opposti si attraggono», George Clooney), e due parole, «IL PATTO». Brani lunghi e appunti volanti, schegge di memoria e di futuro: «La vendetta è un veleno che invade tutto il corpo». La vendetta. Sulla Bibbia incolla la foto di mamma orsa bianca e la didascalia: «E’ la donna il cuore della faida, è lei che decide se perdonare o vendicarsi. Ed è lei che deve vincere il suo impulso distruttivo e ritrovare l’istinto materno». Annota: «Vuole a sé il suo cucciolo». E dieci giorni dopo, nelle sue «sette leggi dell’amore», alla quarta «legge» scrive: «L’amore è inseparabile dalla gioia di mettere al mondo dei figli, a noi questa gioia è stata negata. Per me lei è la mia bambina e io il suo orsetto». L’orsetto torna nella memoria di casa: «Il nome del condominio l’abbiamo scelto io e la Rosa: casa del ghiaccio». E della morte. «Quando moriremo ricordati di tenere con te tre monete da 5 centesimi per Caronte il traghettatore delle anime, altrimenti vagheremo tra i due mondi all’infinito. La prima è per il purgatorio, la seconda è per l’inferno, la terza è per il paradiso». Un paradiso sognato con una consapevolezza: «Quando ci sentiamo minacciati diventiamo violenti e ci difendiamo e attacchiamo. Ma è impossibile difenderci dal futuro, viene comunque come l’acqua scorre verso il bosco». Ritorna il riferimento personale, deviando il misticismo da facile copiatura: «... la debolezza di Dio e l’onnipotenza dell’uomo». Subito: «Vedi la famiglia Castagna. Erba». Scritto da un uomo che professa fede e nega mediazioni: «Non esistono compromessi, le situazioni di comodo, quello che è bianco per me deve essere bianco per tutti». Tanto che di un agente scrive: «Se dovessimo trovarci per strada lui senza divisa in posizione frontale di sfida come fa quando prendo la terapia, uno dei due non va più via con le sue gambe». Pagine sul vicino di cella Sergio, sul «telefono» improvvisato: una bottiglia dell’acqua in plastica tagliata e infilata nello scarico. Sulla carta della Bibbia Olindo reclama l’innocenza, però inserisce una foto di donna: «Tutti sapevano, nessuno fece nulla, noi ti capiamo». E in alto: «Olindo e Rosa ti capiscono, se non li avessimo uccisi avremmo fatto la tua fine». Come una dissociazione: «Rosa, pagheremo insieme nel nostro amore». Un romanzo scellerato e a volte tenero (pur con l’orrore da cui nasce), dove l’autore stesso è incerto, improvviso nelle scelte, sovrappone all’«Elogio della sapienza maestra» delle Scritture, il fotomontaggio delle tre fanciulle di Garlasco. Titolo: «In due per uccidere Chiara». Romanzo illustrato: l’orso bianco e l’aquila e una nuova Cinquecento, la scritta nazista e un’immagine di Matrix dove si parla di lui e Rosa, i fiori e il Papa, una «Assunzione della Madonna» del Guercino e un gatto che si affaccia alle parole come se arrivasse da fuori libro. E una sfida: «Pensano che un netturbino non sia capace di scrivere. Poveri scemi...». Vince con un trucco: sa bere e far suo tutto ciò che copia, da Tex Willer a Dostoevskij, poi scrive «ce» anziché «c’è», «stassera», «io LE ho detto» riferendosi a un uomo. genuino nell’alzata d’orgoglio come lo è quando parla di estrema unzione a Youssef, forse a liberarlo da un peccato originale, quando «perdona» Raffaella che «vaga tra due mondi» e nel mentre le regala odio: «Stiamo scontando la nostra pena per causa tua. Dicci cosa vuoi ancora». Tra parole sempre più fitte, come i simboli del «codice», Olindo nell’ultima pagina saluta la «sua» Bibbia e i suoi pensieri, come se parlasse, più che di una strage, della vergogna per aver odiato: «Oggi sono un peccatore che io e la mia sposa chiedono il tuo perdono. Un giorno tornerò con la mia sposa da te in quel luogo a noi sacro con delle rose rosse e 1 bianca con il nostro pentimento nel tuo perdono». Marco Neirotti