Il Manifesto 5 febbraio 2008, ANDREA PALLADINO, 5 febbraio 2008
Acqua e rifiuti, il business Veolia. Il Manifesto 5 febbraio 2008. I vetri a specchio della Torre 10 di via Nervi a Latina sono diventati uno scudo ancora più impenetrabile dopo i sei arresti che hanno colpito il vertice della società mista Acqualatina, che fornisce l’acqua potabile nel capoluogo pontino a sud di Roma
Acqua e rifiuti, il business Veolia. Il Manifesto 5 febbraio 2008. I vetri a specchio della Torre 10 di via Nervi a Latina sono diventati uno scudo ancora più impenetrabile dopo i sei arresti che hanno colpito il vertice della società mista Acqualatina, che fornisce l’acqua potabile nel capoluogo pontino a sud di Roma. L’amministratore delegato Silvano Morandi proprio ieri ha ottenuto la revoca degli arresti domiciliari. La sede della società è blindata, separata definitivamente dalla città: nessuno vuole parlare o commentare, il sito Internet mostra un comunicato surreale: «Acqualatina fornisce chiarimenti», che però si riferiscono al taglio delle utenze morose. Le bollette salate, carissime continuano ad arrivare, confermando le contestazioni dei cittadini arrabbiati per l’aumento delle tariffe che hanno di gran lunga anticipato le indagini della procura. L’atmosfera è però più cupa a via Lampedusa 13, nella periferia sud di Milano, dove in due palazzi ultravigilati (impossibile avvicinarsi se non si è invitati) siedono i consigli di amministrazione di Veolia, di Siba, di Fineco, di Emit. Scatole finanziarie che contengono i tanti soldi del business dei servizi ambientali (acqua e rifiuti), al vertice dei complessi disegni societari che dirigono le fila di Acqualatina. E non solo. In via Lampedusa 13, a poche centinaia di metri dal depuratore di Nosedo, lavorano i grandi padroni dell’acqua, gli ideatori dello schema di consulenze «in house» che la procura di Latina sta approfondendo. Società che da decenni si occupano di acqua, depuratori e rifiuti, resistendo alle cicliche indagini che dagli anni ’90 ad oggi hanno cercato di far luce sul lato più oscuro della gestione ambientale in Italia. Partiamo dal nodo cruciale della fitta rete di società, la Siba spa. Controllata dalla multinazionale Veolia (75%) e dalla Emit di Giuseppe Pisante (25%), ha acquistato dall’Enel guidata da Paolo Scaroni la Eh, Enel Hydro, che detiene il 47% delle quote di So.Ri.Cal., il gestore delle acque in Calabria guidata da Raimondo Besson, oggi agli arresti domiciliari per l’inchiesta Acqualatina. Lo stesso gruppo lo ritroviamo in Sicilia, dove controlla, insieme ad Enel, Siciliacque, l’operatore idrico privato creato dalla Giunta Cuffaro. Insieme ad Eni (di nuovo Scaroni) Veolia e Pisante hanno poi in mano la gestione del sovrambito idrico (il fornitore all’ingrosso di acqua) in Campania e decine di partecipazioni in altri diversi Ato nel Sud. L’inchiesta su Acqualatina potrebbe quindi aver aperto il famoso vaso di Pandora. Dietro i quindici milioni di euro di appalti contestati dalla procura pontina si cela infatti un vero e proprio impero, con ben altre cifre. Se dalla Milano finanziaria di via Lampedusa 13 ci spostiamo nella Calabria degli appalti il paesaggio cambia, ma i protagonisti rimangono. La gestione dell’acqua qui è oggi in mano alla società mista So.Ri.Cal., che controlla acquedotti bucati e dighe in eterna costruzione. La Regione Calabria sulla carta avrebbe il controllo della società guidata da Besson, visto che detiene il 53% delle quote. La giunta Loiero ha perfino creato un comitato di indirizzo e vigilanza dove, oltre all’amministratore delegato di So.Ri.Cal Besson, siede l’assessore ai lavori pubblici Incarnato. Il controllo è senza dubbio vitale, visto che la società mista gestisce direttamente centinaia di milioni di euro provenienti dai fondi europei, destinati a fornire l’acqua alle città calabresi, che soffrono la sete da tantissimi anni. La città di Cosenza aspetta, ad esempio, il completamento della diga dell’alto Esaro dal 1978. E’ difficile stabilire quanti miliardi di lire siano stati spesi fino al 2004, quando la Sorical ha preso in gestione i lavori. E’ però possibile calcolare quanti finanziamenti pubblici sono in gioco oggi. Qui la Regione ha stanziato 244 milioni di euro. Peccato però che i lavori siano fermi. L’appalto è stato vinto dalla Torno Internazionale, azienda specialista in infrastrutture guidata da Elia Valori, di proprietà di due fiduciarie lussemburghesi. Il progetto venne preparato negli anni ’80 dallo studio Prass di Verona, degli ingegneri Trevisan. La Prass è intanto fallita (hanno atteso invano il pagamento dei progetti, secondo il curatore fallimentare) e il Tribunale di Verona aveva ottenuto dalla Regione e dalla Sorical l’impegno a saldare il conto. Invano. Alla fine la procura di Castrovillari, all’inizio di quest’anno, ha sequestrato i cantieri e i progetti, ipotizzando l’appropriazione indebita aggravata e la mancata esecuzione di un ordine del giudice. Storie di ordinaria cattiva amministrazione? C’è qualcosa di più in realtà, che aiuta a capire meglio chi è oggi il padrone dell’acqua in Calabria, chi gestisce di fatto le cifre milionarie degli stanziamenti pubblici. A fine giugno i sostituti procuratori della Repubblica di Castrovillari, Sandro Cutrignelli e Larissa Catella, chiedono l’archiviazione per l’assessore ai lavori pubblici Luigi Incarnato. I pm descrivono una situazione paradossale: l’assessorato non sapeva quello che stavano facendo i dirigenti della Sorical, ritenendolo quindi estraneo ai fatti per «le condotte dolosamente poste in essere dagli altri indagati, consistenti in false prospettazioni e constatazioni». Cioè, la dirigenza della società dove la Regione ha il 53% delle quote avrebbero fornito informazioni false all’assessore ai Lavori Pubblici. Il sistema Veolia/Pisante sembra essere lo stesso, ovunque in Italia. Il socio pubblico, anche se di maggioranza, non conta nulla. Serve, casomai, a dare le opportune coperture politiche, a tenere buona l’opinione pubblica quando serve e, soprattutto, a garantire che i fondi pubblici confluiscano nelle casse delle Società di gestione. «Lascia fare a me, a quello ci penso io», avrebbe scritto in una e-mail uno degli indagati a Latina. E si riferiva proprio al socio pubblico, che su qualche appalto magari aveva «qualche difficoltà». Una frase che suona inquietante, pensando al sistema Veolia che proprio a Milano alla fine degli anni ’90 era stato al centro di una complessa indagine. Alain Maetz, l’allora rappresentante della Veolia in Italia, era stato arrestato dopo il ritrovamento nel suo computer di lettere che spiegavano alla casa madre di Parigi come era riuscito ad ammorbidire alcuni politici italiani. Maetz riuscì ad ottenere una lista di imprese interessate agli appalti per il depuratore di Peschiera Borromeo. Individuò subito la Siba, capì che sarebbe stato conveniente entrare in affari con la società legata alla famiglia Pisante (che già si era occupata del depuratore di Nosedo) e nel gennaio del 1999 la Veolia comprò il 50% delle azioni, poi passate al 75%. Un patto che, come abbiamo visto, ha fatto la fortuna del gruppo che, dopo pochi anni, ha conquistato Latina, la Calabria e la Sicilia. A Latina e in Calabria le procure per ora non parlano di tangenti, come era d’uso nella Milano da bere. Oggi non ce ne sarebbe neanche bisogno: il sistema si basa su patti parasociali e convenzioni che lasciano mano libera ai privati. Chi decide come spendere i soldi, come preparare le gare d’appalto, chi invitare è sempre il socio privato. I meccanismi usati per sottrarre al controllo pubblico la gestione sono diversi: ad esempio la gara d’appalto per la fornitura dell’energia elettrica ad Acqualatina, So.Ri.Cal. e Siciliacque è stata organizzata in completa autonomia dal Consozio UnyHidro, dove accanto all’amministratore delegato Besson non siedono consiglieri nominati dagli enti locali. Gestione «in house», per l’appunto, controllata solo dai soci privati, al riparo da sguardi poco graditi degli enti locali. L’inchiesta di Latina per Veolia potrebbe essere un brutto colpo d’arresto. Il gruppo francese - in affari con Pisante - punta oggi al grande business dei depuratori e della gestione dei rifiuti. E in questo caso ad oliare i meccanismi fa gioco anche l’emergenza. I depuratori in Italia sono vecchi, da risistemare; per i rifiuti le immagini della Campania parlano da sole. E il meccanismo è ormai collaudato: gli affari vanno fatti in famiglia. Il ruolo del pubblico, poi, deve rimanere solo quello di garante politico, come ha chiesto la stessa Veolia per poter presentare un progetto per l’inceneritore di Acerra. Caro Stato, ha fatto sapere Veolia, se vuoi che gestisca la situazione in Campania mi devi garantire di non avere grane «politiche», che nessun comitato di cittadini contesti le mie scelte. Salvo poi ritirarsi quando si è resa conto che tali garanzie non ci sarebbero state. ANDREA PALLADINO