Silvio Buzzanca, 11 febbraio 2008
Scatta la legge "lascia e raddoppia" partiti rimborsati anche per gli anni persi. La repubblica 7 febbraio 2008
Scatta la legge "lascia e raddoppia" partiti rimborsati anche per gli anni persi. La repubblica 7 febbraio 2008. ROMA - Severi i francesi. Hanno fatto le pulci alle richieste di rimborsi elettorali di Ségolène Royal e Nicolas Sarkozy. Una commissione ha detto no a diverse voci: pranzi, parrucchieri, truccatori, rilevatori di microspie. Meno severi gli italiani, che ai partiti rimborsano tutto. Anche quello che non hanno mai speso. Le leggi nostrane sono tanto benevole che i soldi sono stanziati per cinque anni e finiscono nelle casse dei partiti anche se - come è accaduto ieri - la legislatura muore prima. Una sorta di "lascia e raddoppia" al posto di "Lascia o raddoppia?". I tesorieri hanno già incassato i denari del 2006 e 2007. Ma incasseranno anche quelli del 2008, 2009, 2010 e 2011. Più quelli della nuova legislatura. E se anche il prossimo Parlamento morirà prima, scatterà lo stesso meccanismo. I soldi saranno garantiti fino al 2013. Un meccanismo infernale appena mitigato dal taglio del 10 per cento dei rimborsi elettorali deciso dal governo di Romano Prodi e approvato nella Finanziaria. Un piccolo obolo sull´altare dell´antipolitica scattato dal primo gennaio. Alla base di questo flusso di denaro "raddoppiato" c´è una decisione bipartisan della primavera 2006, a poche settimane dal voto, che decretò il diritto di incassare i soldi dei rimborsi anche in caso di scioglimento delle Camere. Un diritto esteso a tutti i partiti, visto che la soglia per partecipare è fissata all´1 per cento. L´altro tassello di questo meccanismo è la ripartizione proporzionale dei soldi: un euro per ogni voto incassato. Ma la somma di ripartire non è uguale al numero dei votanti: è uguale al numero degli aventi diritto. Cioè: anche l´elettore che se ne sta a casa contribuisce alla formazione del tesoretto dei partiti. Facendo due conti gli aventi diritto italiani sono circa 50 milioni e dunque i partiti si dividono 50 milioni di euro l´anno: 250 milioni di euro per legislatura. Un centinaio di milioni di euro in più di quello che avrebbero diritto in base ai votanti. E anche se tutto questo denaro non l´hanno speso per la campagna elettorale. Due anni fa i partiti hanno speso in realtà 88 milioni di euro e ne hanno incassati 249. E pensare che nel 2001 la somma si era attestata a soli, si fa per dire, 93 milioni di euro. L´accordo su questa "anomalia" è quasi unanime. Protestano i radicali di Marco Pannella che si considerano scippati del referendum del 1993 che aveva cancellato il finanziamento pubblico, riapparso nel 1999 mascherato sotto la voce di rimborso elettorale. Parlano di truffa e legge scandalosa. Una legge che Cesare Salvi, Massimo Villone e Valdo Spini volevano cancellare. Come l´Italia dei valori di Antonio di Pietro. Tutti uniti, gli altri hanno detto no. Ma il vento dell´antipolitica soffia, le elezioni si avvicinano e qualcuno ci ripensa. Chi? Clemente Mastella. Il leader dell´Udeur non vuole l´election day. Non serve a risparmiare, dice. «Meglio che i partiti decidano di togliersi parte del finanziamento pubblico per la campagna elettorale». Ma solo per questa tornata. Silvio Buzzanca