Il Manifesto 7 febbraio 2008, Nicola Bruno, 7 febbraio 2008
Spazzatura è business, anche su internet. Il Manifesto 7 febbraio 2008. Ti «dirò una cosa che vedo qui
Spazzatura è business, anche su internet. Il Manifesto 7 febbraio 2008. Ti «dirò una cosa che vedo qui. Il panorama del futuro. L’unico panorama che resterà da guardare», esclama di fronte a una discarica uno dei protagonisti di Underworld, romanzo-culto di Don De Lillo. Una scena che fa venire in mente la drammatica situazione di Napoli di questi giorni, con i cumuli di rifiuti affastellati nei vicoli e nelle strade di periferia. Ma che ricorda da vicino anche un’altra «emergenza» a cui siamo tutti abituati: le montagne di spam, e-mail spazzatura, che ci inondano ogni giorno online. E come le discariche a cielo aperto mettono a nudo le derive della società dei consumi, anche lo spam porta allo scoperto contraddizioni e criticità dell’ambiente digitale che stiamo colonizzando. Troppo semplice liquidarlo come fenomeno di disturbo o di micro-illegalità. Meglio, forse, inquadrarlo come la «continuazione del marketing con altri mezzi». Oppure come classico esempio di «tragedia dei beni comuni» nell’epoca dell’informazione infinitamente replicabile e a basso costo, in cui gli interessi di pochi individui (gli spammer) hanno la meglio su quelli della comunità. Un esito che è, molto spesso, la traduzione nella pratica dell’astratto concetto di libero mercato. Gang professionali L’era dei mitomani amatoriali della prima internet è finita da un bel po’. Ormai dietro alla crescita esponenziale del fenomeno spam (v. articolo a destra) c’è solo tanto marketing. Un business sommerso e dai contorni indefiniti ma estremamente professionale e redditizio. Se le e-mail restano il mezzo più frequentato, gli spammer continuano a escogitare trappole di ogni sorta pur di «bucare» i monitor degli utenti: immagini, link, mp3, video, applicativi per i social network. «Le minacce sono sempre più integrate - conferma Mario Gast, Ad di Sophos Italia, casa di software per la sicurezza - E tutti gli sforzi ora sono concentrati sul web, per la sua natura aperta e non adeguatamente protetta». Il risultato è una vera e propria piaga per le infrastrutture di rete, che mette in ginocchio provider, server aziendali e le macchine degli utenti finali. A orchestrare gran parte degli attacchi sarebbero non più di 600 professionisti organizzati in 200 bande, ci spiega Vincent Hanna di Spamhaus, organizzazione no-profit impegnata da tempo sul fronte anti-spam: «Molte di queste bande operano illegalmente, muovendosi di network in network (e di paese in paese). Hanno margini di guadagno davvero alti: i presunti medicinali rivenduti a 100 dollari negli Stati Uniti possono essere facilmente acquistati all’ingrosso in Cina o India per 10 dollari. Si tolgano altri 10-15 dollari per le spese di spedizione, il resto è tutto guadagno». Cimiteri Eppure, a scorrere ogni giorno i messaggi di pillole testosteroniche, erbe miracolose, conti in banca bloccati, viene spontaneo chiedersi: ma chi abboccherà mai a tutto ciò? C’è davvero qualcuno pronto a credere ai prodigi del dottore di turno? O alle confidenze allusive di una sconosciuta? La risposta è: si, c’è sempre qualcuno che ci casca. Una percentuale bassa rispetto ai tanti utenti bombardati, ma pur sempre rilevante in termini assoluti. E’ per questo che, al di là dei trucchi per aggirare la cortina dei filtri, la partita si gioca su un altro fronte: intercettare i desideri nascosti degli utenti. Passata la moda dei casinò e del porno, ora il fronte caldo è quello dei farmaci. Evidentemente, da qualche parte, c’è una domanda non ancora soddisfatta. Lo spiega bene Donald, con una buona dose di cinismo, nell’intervista sotto: lo spam funziona proprio perché riesce a esplorare nuovi segmenti di mercato. E per di più in maniera diretta, anonima e personalizzata, con la stessa efficacia della vendita porta-a-porta, ma su scala globale e a costi irrisori. Capitalismo all’ennesima potenza, insomma. Come le discariche di Don De Lillo, le nostre cartelle di posta elettronica in cui si raccoglie lo spam stanno diventando una sorta di «cimitero della contemporaneità», il luogo in cui «sfociano tutti gli appetiti e le brame, i grevi ripensamenti, le cose che si desiderano ardentemente e poi non si vogliono più». Il gatto, il topo e le formiche Nel frattempo, la battaglia tra le case di software per la sicurezza e le spam-gang assomiglia sempre di più a una spirale infinita: più si sviluppano filtri efficaci, mirati e intelligenti, più gli spammer rincarano la dose e diversificano le trappole. Secondo uno studio di Ironport, il volume di spam è più che raddoppiato nell’ultimo anno, con una media giornaliera di 20 messaggi indesiderati per utente. Segno che la strategia del gatto che insegue il topo forse non è del tutto adeguata. E non lo sono neppure gli arresti o l’adozione di leggi più severe: gli spammer riescono comunque ad aggirarle, spostandosi in paesi in cui la normativa è assente. E così sarà ancora per molto tempo, almeno fino a quando non avremo un quadro legislativo omogeneo. Anche questa è globalizzazione. Dobbiamo quindi rassegnarci a vivere in mezzo a tutto questo rumore di fondo, pervasivo e fastidioso? Il panorama del futuro sarà davvero un’enorme discarica a web aperto? Non è detto, qualche speranza c’è ancora e, come spesso accade quando c’è da proteggere i beni comuni dalle brame di pochi, arriva dal collettivo. In questo caso si tratta dei cosiddetti «anti-spam sociali», e cioè software in grado di sensibilizzare gli utenti al riconoscimento e alla segnalazione dal basso delle fonti indesiderate. Una cooperazione che anche le grandi software-house stanno iniziando a promuovere tra i propri clienti. Perché una cosa è certa: il capitalismo dello spam potrà essere superato solo con il coinvolgimento di tutti e una diffusa cultura della sicurezza. Più che la coazione a ripetere dello schema gatto-topo, il modello vincente è quello collaborativo, delle formiche. Nicola Bruno