FRANCESCO BORGONOVO, Libero 7 febbraio 2008, 7 febbraio 2008
Sgarbi sul lastrico si mette all’asta. Libero 7 febbraio 2008. Adesso racconteranno di nuovo la favola dell’intellettuale dannunziano, quello che «la vita è un’opera d’arte»
Sgarbi sul lastrico si mette all’asta. Libero 7 febbraio 2008. Adesso racconteranno di nuovo la favola dell’intellettuale dannunziano, quello che «la vita è un’opera d’arte». Macché. Il destino di Vittorio Sgarbi, piuttosto, è quello di essere un Oscar Wilde meneghino, un sostenitore de «l’arte per l’arte». La notizia è rimbalzata ieri dal dorso milanese di un quotidiano: l’assessore alla Cultura della capitale morale ha i conti in rosso, ergo ha deciso di vendere una bella fetta dei capolavori artistici della sua collezione, la rinomata, soprattutto da oggi, Cavallini-Sgarbi (dove Cavallini è la madre di Vittorio, già frequentatrice di salotti tivù). I lettori s’immagineranno allora, tra le ghignate di conferma di alcuni amici del critico-assessore, chissà quali sperperi e strisciate di bancomat a favore di cene in dolce compagnia, di regali per donne dalle gambe chilometriche come quelle della sua ex Elenoire Casalegno, definita da Sgarbi stesso «una statua» (e lei un po’ se la prese: «So anche parlare»). Nulla di tutto questo. Assicura Vittorio: «Io per le donne non ho mai speso una lira. E i conti in rosso li avevo anche prima». Tutti i denari, insomma, li ha versati nelle tasche di musei e mercanti d’arte. «Preferisco comprare cose che hanno un valore inestimabile, anche se poi il mercato lo riduce a una cifra x», spiega. L’ASTA A MILANO L’asta gli servirà per finanziare un progetto che gli sta particolarmente a cuore, quello di una fondazione da lui gestita, la quale dovrebbe raggruppare circa quattrocento opere (con un nucleo forte di ducentocinquanta) da far viaggiare per l’Italia in mostre itineranti. L’appuntamento è fissato per il 5 marzo a Palazzo Busca in viale Magenta, a Milano, sede della "Finarte" di Giorgio Corbelli (lo stesso di Telemarket, dietro alle cui telecamere Sgarbi ha commentato spesso e volentieri dipinti e altro). Saranno battute duecento opere, accuratamente selezionate dal proprietario tra le 3600 circa in suo possesso, sparse un po’ ovunque, tra il suo paese natale Rho ferrarese, vari depositi e dimore di confidenti. «Venderò opere di valore, scelte fra quelle di autori dei quali posseggo altri lavori. Di Guercino, oltre a quello che andrà all’asta, ne ho un altro. Lo stesso vale per Preti». Il catalogo è questo, niente male: la "Madonna col Bambino" di Giovan Francesco Barbieri, detto Il Guercino (stimata sui 270-300 mila euro e già ammirata in una mostra a Palazzo Reale nel 2003); la "Santa Cecilia con le teste di Tiburzio e Valeriano" di Alessandro Tiarini (50-60 mila eu- ro); un "Profeta" di Mattia Preti (80-100.000 Euro). Poi Pietro Liberi, Sofonisba Anguissola, "La morte di Cleopatra" di Alessandro Rosi (e qui sono altri 200-300 mila euro come ridere). «Spero che alla fine si arrivi intorno ai due milioni o due milioni e mezzo di euro», dice Sgarbi. «Del resto», prosegue, «tutto il collezionismo è fatto di movimenti che servono ad aumentare la qualità. La più importante collezione d’arte contemporanea , la Panza di Biumo, che ha come patrono il Fondo per l’am biente italiano, è stata venduta diverse volte. Un grande critico come Giovanni Testori ha venduto molti suoi quadri». Tutto normale, dunque. E qui casca anche l’aneddoto, immancabile quando si conversa con Sgarbi, entità vulcanica se ce n’è una. «Anch’io ho acquistato delle opere dai musei. Anni fa, mi feci fare una copia di un’opera di Guercino da Lino Frongia. Sono venuti a casa mia degli esperti del Seicento e l’hanno scambiata per l’originale. Così il proprietario dell’opera, che l’aveva depositata al museo di Fort Worth, in Texas, si è arrabbiato e ha deciso di metterla all’asta. E l’ho comprata io». Col ricavato della prossima vendita, dicevamo, pagherà le attività della sua fondazione. Che organizzerà una mostra itinerante fra Parma, Venezia, Roma e Palermo («non Milano, sarebbe conflitto d’inte ressi») e poi sarà collocata in pianta stabile in una sede, forse il Castello di Ferrara, «ma devono ancora decidere». «Non per vantarmi», precisa Vittorio: «La parte di collezione che diventerà fondazione è molto più importante delle collezioni di Zeri e Longhi». Per inciso, critici d’arte tra i più grandi di tutti i tempi. «Zeri spesso ha preso dipinti cercando di spendere poco. Mentre la mostra di Longhi aperta qualche tempo fa ad Alba, beh...Considerando l’epoca in cui ha acquistato le opere, avrebbe dovuto essere una bomba atomica, invece...». I PROGETTI FUTURI Invece lui, che si sminuisce come «l’ultimo dei critici», ha nella manica qualcosa di molto meglio. Grandi nomi, che l’assessore-intellettuale mi spara a raffica e io riesco a cogliere solo un Tiepolo, che pare già sufficiente. Ah, poi c’è anche Libero Andreotti (18751933), grande scultore che può vantare un appassionato d’ec cezione: « il preferito di Paolo Bonaiuti». E se piace al portavoce del Cavaliere, ci addormentiamo tranquilli. Resta il fatto che per realizzare tutto ciò, a Sgarbi tocca batter cassa. Anzi, aprire le porte di casa e privarsi di alcuni pezzi importanti per risanare il bilancio. La colpa del padre (cioè Vittorio, genitore nobile del dandysmo made in Italy), ricade sul Silvio (cioè Berlusconi, di nuovo). «Quando lavoravo per le sue televisioni guadagnavo due miliardi all’an no» dice Sgarbi «adesso guadagno quattro lire. Qualche stipendio, l’assessorato». Poca cosa, certo non sufficiente a finanziare collezioni prestigiose per la gioia degli esperti d’arte: «Se voglio comprare dei quadri, devo farmi prestare i soldi». Inutile, sembra, il ricorso all’Altissimo, al Cavaliere di Arcore (che quando c’è da chiedere pecunia, è in cima alla lista per tutti). «Avevo chiesto a Berlusconi un contratto come quello di Paolo Bonolis, che per il niente che fa viene pagato su per giù venti milioni di euro. Se li avesse dati a me, quei soldi, invece di darli a quel pirla, avrei allestito la più bella collezione d’arte di tutti i tempi». Invece niente. A maggior gloria del piccolo schermo. Francesco Borgonovo