Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  febbraio 07 Giovedì calendario

La discarica è sopra di noi. La Stampa 7 febbraio 2008. Roberto Vittori è uno degli astronauti italiani dell’Esa ed è stato protagonista in due missioni a bordo di navicelle russe Soyuz, che lo hanno portato a bordo della Stazione spaziale nell’aprile 2002 e nell’aprile 2005

La discarica è sopra di noi. La Stampa 7 febbraio 2008. Roberto Vittori è uno degli astronauti italiani dell’Esa ed è stato protagonista in due missioni a bordo di navicelle russe Soyuz, che lo hanno portato a bordo della Stazione spaziale nell’aprile 2002 e nell’aprile 2005. Secondo la sua esperienza, quali sono i pericoli della spazzatura spaziale? «Durante le missioni viene fatto tutto il possibile per evitare l’impatto di frammenti grandi o piccoli con un veicolo spaziale o, peggio, con lo stesso astronauta durante una delle sue passeggiate spaziali. Per i frammenti di maggiori dimensioni i sistemi radar di Terra e di bordo rilevano l’oggetto e, quindi, la navicella o la Stazione, tramite i propulsori di assetto, va a collocarsi su un’altra traiettoria di sicurezza in modo da evitarli. Per i microframmenti, comunque anch’essi pericolosi, si cerca sempre di posizionare il veicolo, come lo shuttle o la soyuz, con la parte posteriore in avanti, dove si trovano i motori: in orbita non sono utilizzati e in questo modo fanno da ”scudo” protettivo durante la corsa orbitale». Esiste una valutazione precisa del rischio di impatto? «Non c’è una valutazione precisa del rischio: quando ci apprestiamo ad andare in orbita, non ci viene riferita una statistica o una percentuale, ma veniamo addestrati per tutte quelle azioni di cui parlavo che possano minimizzare il più possibile il rischio. In particolare, durante le passeggiate spaziali l’astronauta esce all’esterno del veicolo, quando questo si trova in posizione quasi frontale: così funziona da scudo per un eventuale impatto». Che cosa si studia per evitare l’accumulo della spazzatura spaziale? «Oggi, per evitare l’aumento di spazzatura orbitale, ma più che altro di satelliti inutilizzati, si tende a far cadere o a far rientrare il mezzo in atmosfera, appena terminata la missione. Così può disintegrarsi. Questo, però, non evita che alcuni frammenti, anche se piccoli, finiscano sulla Terra. Esa, Asi e Nasa studiano nuove contromisure, ma è improbabile che si trovi una soluzione immediata». Un peggioramento delle condizioni meteo riduce al 30% le probabilità che oggi possa partire dal Kennedy Space Center della Florida lo shuttle «Atlantis» (la partenza è in programma per le 20,45 italiane). La missione è di 11 giorni: i sette astronauti avranno, tra gli altri, il compito di agganciare alla Stazione Spaziale il laboratorio europeo «Columbus», costruito a Torino dalla Thales Alenia Space. Gli esperimenti in assenza di gravità riguarderanno settori molto diversi, che vanno dalla coltivazione del grano fino allo sviluppo di avanzate leghe di alluminio. Dati i due rinvii, che hanno posticipato di due mesi il lancio, molti campioni biologici sono stati sostituiti, come quello di alcune piantine di Arabidopsis.Lo spazio non è un oceano immenso di pace, armonia e gloriosa tranquillità. Non più, almeno. E’ un «campo di battaglia sottoposto a un crescente fuoco di artiglieria». Ovvero, un infinito deposito di rottami pericolosissimi, un immondezzaio nel vuoto, una Napoli in assenza di gravità. Sulle nostre teste, nelle orbite del pianeta, viaggiano ad altissima velocità 100 mila oggetti grandi almeno un centimetro, inanimati e potenzialmente letali, perlopiù metallici, spesso radioattivi. Sono relitti, frammenti, vecchi serbatoi, bulloni; c’è persino una macchina fotografica perduta dagli astronauti della Gemini 10 nel ’66. Minacciano la nostra vita, perchè possono cadere in ogni instante, ma anche le missioni scientifiche, perché il rischio di scontri e incidenti è sempre più elevato. La situazione è grave. Al punto che «un giorno potremmo negare l’accesso alla dimensione orbitale della nostra volta». Virgolettati, cifre e relativi allarmi sono firmati dalla Iaass, l’Associazione internazionale per il miglioramento della sicurezza spaziale, organismo non-profit con sede a Noordwijk, in Olanda. In un rapporto ancora riservato l’istituzione traccia una diagnosi preoccupante della qualità del cielo. Dal lancio della Sputnik nel 1957 l’uomo ha mandato in orbita 28 mila «oggetti». I loro resti vagano senza meta e sosta. Gli americani monitorano i 9 mila più grandi, una massa che, se aggregata, peserebbe 6 milioni di chili. Gli altri, quelli di taglia inferiore ai 10 centimetri, sfuggono ogni controllo. Nello spazio tutto è relativo. I detriti che inseguono l’orbita terrestre inferiore (sotto i 2000 chilometri) si muovono a una velocità media di 36 mila chilometri l’ora. A questo passo, i rifiuti celesti sprigionano una formidabile energia cinetica. L’effetto dell’urto di un frammento da un chilo su un altro corpo è lo stesso prodotto da un Tir a pieno carico (35 mila chili) che si schianti a 190 all’ora contro un’auto: ne fa poltiglia. Un oggetto da un centimetro provoca invece lo stesso esito dello scoppio di una bomba a mano. Tanto basta per penetrare la struttura di una qualunque navicella. E abbatterla. Ne sanno qualcosa i tecnici della Nasa. Nell’estate 2005, al rientro della missione numero 114 dello shuttle, hanno registrato 41 contatti sul corpo dell’«orbiter». I vetri erano stati centrati 14 volte e due dovettero essere sostituiti. L’apparecchio era segnato da ammaccature difficili da identificare a occhio nudo, quasi tutte provocate da «space junk» di misura inferiore ai 0,5 millimetri. Ognuna, però, avrebbe potuto generare un nuovo disastro. Il grado di allerta è cresciuto: sulle 20 cause che possono teoricamente portare alla perdita dello shuttle, 11 sono registrate alla voce «collisione con detriti orbitali». Un problema è costituito dalla radioattività. Fanno rotta nell’atmosfera 32 reattori nucleari spenti (quasi tutti russi) e otto generatori termoelettrici. L’ambiente orbitale è affollato da mille chili di carburanti radioattivi in rivoluzione permanente. Nel 1978 il satellite russo Cosmos 954 è precipitato vicino al lago Great Slave, nei territori canadesi del Nordovest, disperdendo il combustibile radioattivo in un’area di 124 mila metri quadrati. Mesi di ricerche hanno permesso di recuperare solo l’1% del carico energetico. Ecco l’altra metà del problema. Talvolta la spazzatura orbitale torna sulla Terra. L’Iaass riferisce che in 40 anni 1400 tonnellate di materiale orbitale sono sopravvissuti al rientro nell’atmosfera. Il pezzo più grosso era la stazione russa Mir, 120 mila chili di peso. In totale sono stati recuperati una cinquantina di rifiuti, miracolosamente caduti lontani dai centri abitati. Come i due vani motori del razzo Delta 2 atterrati in Argentina e in Thailandia. «Fra qualche settimana arriverà un satellite Usa - dice Tommaso Sgobba, presidente Iaass - e gli esperti sono in fermento». Comprensibile. Terremo gli occhi bene aperti, anche se gli addetti ai lavori minimizzano. «I rischi sono estremamente bassi - concede l’Iaass - ma è ovvio che prospereranno con l’aumento del traffico spaziale e dei rifiuti orbitali». Questi ultimi crescono del 5% ogni anno. Uno studio su «Science» ha affermato che esiste una zona rossa fra 900 e mille chilometri di quota in cui «l’instabilità è alta già adesso». Qui i rifiuti potrebbero triplicarsi nel prossimi 200 anni. «In realtà - afferma il rapporto - il moltiplicarsi dei satelliti è destinato a rendere la situazione ben peggiore». Che fare? L’istituto di Noordwijk propone una serie di misure tecnologiche. In chiave politica suggerisce il varo di un organismo internazionale, che fissi regole comuni per contenere la produzione di schifezze spaziali e vigilarne il comportamento. In questo scenario è chiaro che la possibilità che la scienza diventi un incubo da fantascienza. Meglio agire per tempo, avverte l’Iaass. Prima che il mondo faccia «blob» e noi con lui. Antonio Lo Campo Marco Zatterin