La Stampa 8 febbraio 2008, FRANCESCO LA LICATA, 8 febbraio 2008
Andata e ritorno dei vecchi Padrini. La Stampa 8 febbraio 2008. Quando andarono a New York, nel 2003, Nicola Mandalà e Giovanni Nicchi passarono molto tempo in compagnia di Frank Calì, astro nascente della «famiglia» Gambino
Andata e ritorno dei vecchi Padrini. La Stampa 8 febbraio 2008. Quando andarono a New York, nel 2003, Nicola Mandalà e Giovanni Nicchi passarono molto tempo in compagnia di Frank Calì, astro nascente della «famiglia» Gambino. I due picciotti, partiti dalle borgate palermitane di Villabate e Pagliarelli, rappresentavano il cuore della mafia siciliana: Mandalà uomo di fiducia di Bernardo Provenzano fino a gestirne i problemi sanitari e la messa in sicurezza in vista dell’intervento chirurguca alla prostata poi eseguito a Marsiglia; l’altro, Nicchi il rampante, ambasciatore di Nino Rotolo, reggente della cordata corleonese in assenza di Riina (in carcere) e Provenzano (latitante). Ma che ci facevano i due nella Grande Mela, sempre appresso al buon Frank e agli amici del New Jersey? I federali e gli investigatori italiani del Servizio centrale che hanno riferito alla Procura di Palermo e alla Corte di New York ora non hanno dubbi: si apprestavano a rimettere in piedi un «giocattolo» che in passato era stato il motore turbo dell’arricchimento facile di tutte le «famiglie», quelle americane e quelle dei «paisà» isolani. Era un tentativo storico, quello di Nicola e Giovanni, seppure nascosto sotto la rappresentazione di una grande «addivirtuta» (divertimento) condotta dall’intraprendente Frank, giovane, simpatico e ricco. E pure affidabile, visto che ha sposato Rosaria Inzerillo: un nome una garanzia. Inzerillo, Gambino, Di Maggio e Spatola: quattro nuclei familiari per una «grande famiglia» di mafia tra Palermo e New York. Sono la storia dell’«onorata società», gli eredi della prima vera «industrializzazione» di Cosa nostra, finanziata dai proventi del traffico. Sì, è vero. Nel 1980 c’era stato l’incidente della guerra di mafia stravinta nel sangue dai corleonesi. Ma proprio negli Usa i sopravvissuti degli Inzerillo di Palermo, legati in matrimonio sia con gli Spatola sia con i Di Maggio e i Gambino, avevano trovato ospitalità. Le cose non erano andate del tutto «tranquille»: nell’82, il 18 di gennaio, nel parcheggio dell’Hotel Hilton di Mount Laurel, il bagagliaio di una Mercury aveva restituito il corpo di Pietro Inzerillo «sfregiato» da una banconota di 10 dollari ficcata in bocca a testimoniare «lo scarso valore» della vittima. E poi, qualche settimana dopo, la scomparsa di Antonio Inzerillo, inghiottito nel nulla dopo aver chiuso la porta di casa di Conrow Road, nel New Jersey. Erano gli ultimi strascichi di un braccio di ferro concluso poi con la decisione di inviare in esilio, a Cherry Hill (dove da sempre svernano), tutti gli Inzerillo sopravvisuti. Esilio che sarebbe stato «condonato» anche grazie alla «gita» di Nicola e Giovanni e da un patto che avrebbe rimesso insieme vincitori e vinti. Come da sempre avviene dentro Cosa nostra, ci sarebbe stato un interesse superiore ( i soldi) che avrebbe fatto dire a tutti: «Il morto è morto, pensiamo ai vivi». Non è andata così per l’ostinata curiosità dei magistrati palermitani, dei poliziotti e dei federali, che - sulla telenovela degli Inzerillo, ormai famosa come la serie dei Soprano’s - continuano a voler guardare sempre più in profondità. E d’altra parte, non sembra proprio che la «Gambino family» faccia molto per tenere lontani gli «sbirri». E’ da più di mezzo secolo che stanno in primo piano. Il capostipite arrivò a New York, ovviamente da Passo di Rigano: Carlo Gambino, Charli, era davvero un mito. Morì nel proprio letto, come si conviene ad un buon boss. Al suo funerale sfilarono cento limousine nere, troppe perchè le targhe potesse essere tutte annotate dalle «vedette» del FBI, tenute lontane dal servizio d’ordine in giacca e cravatta. Anche don Carlo non dimenticò Palermo e vi tornò per una primavera, Anni Cinquanta, con tutti gli onori. Camera con vista mare all’Hotel Palace di Mondello. Una vera rarità, allora, il telefono. Eppure Charli ne aveva uno, di quelli di bachelite nera, vicino alla poltrona dove, seduto sotto l’ombrellone ai bordi della piscina, riceveva le «suppliche» degli affezionati postulanti. Ma non era ostentazione, quella di don Carlo. Le comodità rappresentavano per lui quello che il lusso vacuo era per gli altri emergenti, protagonisti della «nuova mafia» inebetiti dalla ricchezza a discapito delle regole. Era il momento dei boss coi vestiti «da duemila dollari», come amava sottolineare John Gotti, dei padrini con amante al seguito ed esposta la sera nei ristoranti e nei locali esclusivi. Era la mafia pacchiana dei funerali di lusso, che sparava. Ne rimase vittima persino Paul Castellano, cognato e successore di don Carlo, falciato nel 1985 a Manhattan, davanti alla «Spark Steack House». Già, i ristoranti e le pizzerie: la specialità dei Gambino-Inzerillo. Dal «Caffè Giardino» Giovanni Gambino dirige i suoi affari, fino al 1993. Rinomate le «napoletane» della Joe’s pizza di Erasmo, oggi espulso dagli Usa e ovviamente riparato in Italia. Era la fine dei Settanta quando in due valigie «dimenticate» all’aeroporto di Punta Raisi, a Palermo, il vicequestore Boris Giuliano trovò mezzo milione di dollari, coperti dai grembiuli delle pizzerie dei Gambino. John finì al centro di un’indagine senza fondo che sfociò nella connection mafia-Sindona (la messinscena del finto ferimento del bancarottiere era stata affidata ai Gambino-Spatola-Inzerillo), ma anche nell’assassinio del capo della mobile Boris Giuliano. Altri tempi, quelli della «Pizza Conncection». Oggi i traffici seguono la strada delle Holding, di qualche austero ufficio legale della Sesta strada di New York, in sostanza dell’economia simil legale. Ecco, prendiamo il Frank Calì di prima. Indagini riservate del FBI lo indicano come proprietario di alcune società che operano nel campo delle costruzioni (gli studi legali servono molto per i contratti di compraventita immobiliare) e della distribuzione alimentare. Proprio alla «Circus Fruits» avrebbero fatto capo alcuni emissari della mafia canadese giunti a New York per avviare contatti con la «famiglia» Gambino. Per che fare? L’attenzione dei federali è puntata verso una sorta di cambio di rotta degli interessi economici. Destinazione Caraibi, Centro e Sud America. Proprio come, nel carcere di Torino, diceva lo zio ai giovani Gianni e Giuseppe Inzerillo, invitandoli a lasciare l’Italia, «anzi l’Europa», perchè qui si rischia il sequestro dei beni». FRANCESCO LA LICATA