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 2008  febbraio 08 Venerdì calendario

Arresti e controlli La sfida del regime ai «guastafeste». Corriere della Sera 8 febbraio 2008. Ci saranno le gare negli stadi, a Pechino e in altre città, con il pubblico, le tv, tutto l’apparato del caso

Arresti e controlli La sfida del regime ai «guastafeste». Corriere della Sera 8 febbraio 2008. Ci saranno le gare negli stadi, a Pechino e in altre città, con il pubblico, le tv, tutto l’apparato del caso. E ci sarà, anzi c’è già, invisibile, un’altra sfida: quella tra le autorità cinesi e chi vorrà dire la sua, far sapere che non tutto nella Pechino olimpica è meraviglia, che nella Repubblica Popolare i diritti umani nell’accezione occidentale del termine non sono un dato acquisito. Gatto e topo, regime e dissidenti. Un altro match. Il Partito comunista ha inasprito i controlli, avviato un’ulteriore blindatura di Internet, avvertito i «sediziosi», temendo adesso azioni di disturbo e, a Giochi avviati, gesti clamorosi che possano rovinare la festa e far perdere la faccia. Le organizzazioni non governative lo sanno e invitano il mondo alla vigilanza sulla macchina propagandistica e sulle misure «di sicurezza ». «Non ho idea di quali gruppi possano emergere in pubblico in agosto per fare annunci o altro. Suppongo che non lo sappia neppure il regime. Che quindi si starà preparando a tutto»: Andrew J. Nathan, una cattedra alla Columbia University di New York e un lavoro importante come storico, vicino alla diaspora e alla dissidenza cinese, ritiene che il regime sia «bene all’erta». Oltre a dissidenti politici ed esponenti delle minoranze etniche (le più problematiche agli occhi delle autorità sono i tibetani e i musulmani uiguri del Xingjiang), Nathan calcola i praticanti del Falun Gong (culto avversato con particolare virulenza da Pechino), attivisti «provenienti dall’estero con obiettivi diversi» e, infine, «emarginati sul piano economico e/o sociale, tipo contadini cui siano state confiscate le terre, operai licenziati, pensionati senza pensione, e così via», spiega al Corriere. Ed è sicuro, Nathan: «Sì, prevedo che attivisti cinesi e stranieri cercheranno di sfruttare il periodo dei Giochi per attrarre attenzione sui temi cruciali». Le organizzazioni per i diritti umani si sono mosse. Già due anni fa un rapporto di Amnesty International indicava che «le promesse in quest’ambito non vengono mantenute». Anzi, «i preparativi per i Giochi hanno un impatto negativo sullo sviluppo dei diritti umani in Cina», nota Sophie Richardson, responsabile per l’Asia di Human Rights Watch (Hrw). Hrw segnala diverse tipologie di «abusi legati all’Olimpiade »: dalle «campagne indiscriminate per deportare dalla capitale gli indesiderabili, siano essi persone che presentano petizioni o lamentele al governo, immigrati dalle campagne senza lavoro, malati mentali, prostitute» fino alla «chiusura delle scuole per i figli dei lavoratori immigrati», dalla «stretta censoria su Internet» ai controlli sulle Ong e i gruppi della società civile. C’è delusione, perché – ricorda Hrw – nel pacchetto di impegni che portarono all’assegnazione dei Giochi a Pechino c’era proprio l’impegno a «migliorare concretamente» i diritti civili. E un comunicato di due giorni fa parla apertamente di escalation della «repressione sistematica» e stila una lista delle voci più autorevoli messe a tacere. Nessuno pronuncia più la parola boicottaggio, mai davvero entrata fra le ipotesi di pressione delle cancellerie occidentali. Le stesse organizzazioni più ascoltate preferiscono appellarsi al Comitato Olimpico o ai governi occidentali perché a loro volta chiedano impegni agli interlocutori cinesi. Qualche concessione alla libertà di informazione per i media stranieri è stata riconosciuta, questa settimana è stato liberato Ching Cheong, giornalista di Hong Kong, corrispondente per lo Straits Times di Singapore, imprigionato per 5 anni con l’accusa di «spionaggio ». Tuttavia è la sorte degli attivisti cinesi che più preoccupa: secondo Reporters Sans Frontères restano in cella 35 giornalisti e 51 cyber-dissidenti. L’arresto di Hu Jia – oppositore vivacissimo, stakanovista della controinformazione, ideatore e primo firmatario della «lettera dei Mille» recapitata ai media stranieri lo scorso agosto – viene letto come la prova che il regime non ha voglia di scherzare. Riflette Andrew J. Nathan da New York: «Non credo che l’attenzione del mondo eviterà l’accanimento delle autorità cinesi. Vale il vecchio adagio, la stabilità politica innanzi tutto, e per loro la stabilità politica si ottiene reprimendo chi la mette alla prova con troppa decisione». Amnesty e Hrw temono il massiccio ricorso agli arresti domiciliari per i guastafeste, con telefoni muti e Internet bloccato, un modo per isolarli definitivamente in una società che comunque guarda altrove. Da parte cinese si insiste sulla sicurezza. E si guarda al bicchiere mezzo pieno: il professor Shan Bo, vicepreside della Scuola di giornalismo e comunicazione dell’università di Wuhan, invita a considerare che «la Cina si è enormemente sviluppata sul piano sociale ed economico, assorbendo alcuni dei principi occidentali circa i diritti umani, vedi la proprietà privata e la libertà di parola. Il processo non si è esaurito. Ma non dovete aspettarvi – aggiunge al Corriere – che la Cina conformi le sue posizioni alle vostre, non dovete usare con noi il vostro metro. La politica è sempre più aperta, qui. Il governo, a differenti livelli ha imparato come trattare con i portavoce, comunicare ». Shan elabora una tesi canonica degli autoritarismi asiatici. E continua: «Onestamente, neppure il sistema informativo dell’Occidente è perfetto, come ha mostrato Chomsky. Quanto al Web, non è poi così facile controllarlo ». Eppure, la ventina di agenti in borghese che hanno portato via Hu Jia mentre la moglie faceva il bagnetto alla bimba di pochi mesi incombono sul dibattito sul modo della Cina di aprirsi al mondo. Teng Biao, amico di Hu Jia e attivista a sua volta, non si fida, Olimpiade o non Olimpiade: «Il suo arresto è un messaggio a tutti: guardate cose vi capita se non fate i bravi». Marco Del Corona