Grazia Zuffa, il manifesto 9/2/2008, 9 febbraio 2008
Grazia Zuffa, del Comitato nazionale di bioetica, sulla questione dei feti da rianimare: «Si precisa il quadro dell’offensiva integralista: diretta non solo e non tanto contro la legge sull’interruzione di gravidanza, quanto, più alla radice, contro la centralità del ”corpo pensante” della madre nella procreazione: reinquadrando la scena della nascita alla luce dei progressi tecnologici»
Grazia Zuffa, del Comitato nazionale di bioetica, sulla questione dei feti da rianimare: «Si precisa il quadro dell’offensiva integralista: diretta non solo e non tanto contro la legge sull’interruzione di gravidanza, quanto, più alla radice, contro la centralità del ”corpo pensante” della madre nella procreazione: reinquadrando la scena della nascita alla luce dei progressi tecnologici». Intanto «c’è da chiedersi perché proprio il conflitto con la 194 emerga come ”il problema etico”, vista l’eccezionalità dell’aborto negli stadi più avanzati di gravidanza che la legge, ma soprattutto le donne ben tengono presente. L’aborto è destinato a balzare in primo piano solo seguendo una precisa e univoca lettura ”simbolica” dell’evento tecnologico: i feti che un tempo erano destinati a rimanere ”non nati” al di fuori del corpo materno, adesso ”nascono” grazie alle tecnologie neonatali. Il feto è sempre più un ”soggetto” autonomo: suo alleato è il medico, che lo salva (è proprio il caso di dirlo), dalla natura matrigna e dalla madre nemica (la madre assassina della moratoria sull’aborto». Zuffa riassume i termini della Carta di Firenze («le riflessioni della Carta sono ”ispirate alla necessità di garantire alla madre e al neonato adeguata assistenza, col fine unico di evitare loro cure inutili, dolorose e inefficaci, configurabili con l’accanimento terapeutico”») e ricorda la «delicatezza umana» delle decisioni da prendere quando il feto si trova nella zona incerta della 23°-24° settimana: «l’invasività di queste cure straordinarie a fronte non solo di bassissime probabilità e durata di sopravvivenza, ma anche ai danni iatrogeni gravi e irreversibili». senz’altro d’accordo con la Carta di Firenze che insiste nel coinvolgere i genitori nella decisione («i medici dovrebbero temere la solitudine»). Conclude: «L’irruzione delle tecniche sulla scena della procreazione non è cosa nuova e neppure il loro utilizzo simbolico contro le donne. Barbara Duden ha mostrato come le tecnologie della gravidanza, rendendo trasparente il corpo femminile, siano un potente veicolo della rappresentazione del feto ”autonomo” e del degrado della madre ridotta a puro ambiente di vita. In un crescendo, le tecnologie della riproduzione hanno ”creato” l’embrione in provetta, al di fuori del corpo materno. Oggi quel corpo viene mostrato come sempre meno necessario: ridotti i tempi dell’opera materna, ridotta la funzione, negata la parola. Sempre più la madre è un grembo di transito. L’antico sogno maschile del controllo completo della procreazione sembra più vicino a realizzarsi. Di questo dovremmo discutere, uomini e donne»