Mattia Feltri, La Stampa 9/2/2008, pagina 7, 9 febbraio 2008
La carica dei sette nani. La Stampa, sabato 9 febbraio Parte Lucio Battisti, con voce implorante: «Ah
La carica dei sette nani. La Stampa, sabato 9 febbraio Parte Lucio Battisti, con voce implorante: «Ah... Fatemi entrare, voglio giocare, voglio ballare insieme a voi». Risponde il coro, giocoso e impietoso: «No! Odori di gente che non conta niente...». Ah, fateli entrare! C’è Marco Pannella aggrappato ai batacchi di ogni portone. Gli ha aperto soltanto Romano Prodi, due giorni fa, ma per sfamare l’affamato con un risottino, come se non sapesse da quali appetiti è divorato il Gran Capo Bianco dei radicali. Il Partito democratico spranga l’uscio: al massimo facciamo entrare Emma Bonino. «Sono come Bruno Vespa, che invita Emma e a me non mi vuole», dice Pannella. E all’imbrunire l’analisi è lucidissima: «Non sappiamo che cazzo fare, come sempre». Non sa più niente nessuno. I sette nani della politica italiana - nani per peso elettorale, ovvio - sanno soltanto che arriva il colpo di spugna. Walter Veltroni dentro il Pd non vuole nessuno, Silvio Berlusconi vuole tutti e proprio tutti dentro il Pdl, e l’effetto è identico: il pesce pilota boccheggia. Un esempio? Sergio De Gregorio, fondatore di ”Italiani nel mondo” . Domani usciranno i suoi manifesti sei metri per tre. «Pensavamo di andare da soli, e siamo rimasti spiazzati», dice De Gregorio. Adesso, o ci si scioglie nel Popolo delle Libertà, e si perde il simbolo, oppure si va da soli, col decespugliatore piazzato a livello due e quattro per cento. Sono le soglie da superare, nell’ordine in solitaria o in coalizione, per accedere alla Camera. E i manifesti? «Eh... se Berlusconi ci facesse fare almeno le liste per le circoscrizioni estere...». Il dilemma è straziante. Francesco Storace, neofondatore de ”La Destra”, lo riassume così: «Sono uscito da Alleanza nazionale perché non volevo entrare nel Ppe (traduzione: morire democristiano, ndr) e adesso dovrei rientrare nel Pdl e automaticamente nel Ppe?». Sembra complicato, ma non lo è: questione di identità. Alla Lega di Umberto Bossi è consentito di federarsi al partitone per un’eccezione territoriale. «E a noi non è riconosciuta un’eccezione valoriale», si lamenta Daniela Santanché, sodale di Storace, che illustra il suo entusiasmo mentre parla di Gianfranco Fini: «Quel paio di palle di velluto». Gli addebita la colpa di aver messo in giro la voce che Storace è antisemita. Storace concretizza il disagio, appunto, valoriale: «Ma posso io stare con Mastella? E può Musumeci stare con Cuffaro?». La risposta dei retroscenisti è sì, potranno. Che alternativa c’è, del resto? Tutto quello che non fecero i referendum e il bipolarismo e l’indicazione del premier e altri marchingegni escogitati in tre lustri di Seconda repubblica, sta riuscendo con un’abracadabra lungo tre giorni. Persino uno scacchista come Clemente Mastella si rigira fra le mani mezzo pedone. Eppure ci prova. «Cleme’, ci sta Vietti incazzato co’ Berlusconi, e dunque vuole lasciare l’Udc...». «Fermo! Lo chiamo subito!». «Cleme’, ci sta una cena da Pomicino, forse viene anche Casini...». «Mi metto le scarpe! Arrivo subito!». Sono scene di conversazione che rendono l’idea. Sono giorni in cui l’Udeur perde truppe: se ne va l’assessore regionale della Basilicata, se ne va l’assessore regionale della Puglia, se ne va il presidente della Provincia di Matera. Mastella, pover’uomo, ormai è consegnato in lebbrosario. Si fanno i conti su questi calibri: «Non possiamo metterci con i pregiudicati». «Togli i pregiudicati, togli i voti». Meglio salvare la pelle che il Campanile: anche Mastella sarà un popolano delle libertà. Chi ha già ufficializzato la decisione è Lamberto Dini. Ma pure lui, fino a ieri pomeriggio, era lì a far somme: abbiamo Scalera, che è presidente dell’ordine dei medici della Campania, abbiamo il vicepresidente del Consiglio regionale ligure (Rosario Monteleone), abbiamo anche quell’assessore in Abruzzo. E’ che la macchinetta calcolatrice non mente. Stavolta c’è bisogno di voti. «Noi li abbiamo. Se ci tocca di fare da soli, faremo da soli», dice Gabriele Cimadoro, in sequenza cognato, amico e sottopancia di Antonio Di Pietro. Il quale, però, buonsenso molisano, vede se c’è in giro qualcuno per mettere in comune l’orto: la Rosa Bianca, pure l’Udc. Ma col Pd c’è niente da fare. Si è sempre troppo qualcosa. Di Pietro è troppo giustizialista. Pannella è troppo laico. «Posso anche giuraglielo che sarò meno laico. Ma tanto poi non mi riesce. Lo chiedano ai socialisti, che tanto sono laici da un annetto, o giù di lì», dice il secondo. E’ un vortice: allora facciamo troppo più troppo, e cioè Di Pietro coi radicali. «Mi viene da vomitare», dice un dirigente pannelliano. E aggiunge: «Ci rimetteremo coi socialisti, ed Emma candidato premier». «Sì, ma ci serve anche la Uil», aggiunge Gianni De Michelis. Oh... Fateli entrare... Mattia Feltri