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 2008  febbraio 07 Giovedì calendario

La prima moglie di Marcel Duchamp si chiamava Lydie Sarazin-Levassor. Era una giovane e casta borghese di 24 anni, pingue, con dei genitori che volevano divorziare: suo padre aveva come amante Jeanne de Monjovet, cantante alla moda che desiderava a tutti i costi farsi sposare, e la madre acconsentirà al divorzio solo se prima si sposerà la figlia

La prima moglie di Marcel Duchamp si chiamava Lydie Sarazin-Levassor. Era una giovane e casta borghese di 24 anni, pingue, con dei genitori che volevano divorziare: suo padre aveva come amante Jeanne de Monjovet, cantante alla moda che desiderava a tutti i costi farsi sposare, e la madre acconsentirà al divorzio solo se prima si sposerà la figlia. Nel 1927 un’amica di Lydie le fece conoscere Duchamp, quarantenne già famoso, all’epoca in cerca di moglie con dote cospicua. Lydie lo trovò «bizzarro», mentre lui rimase affascinato dalla sua ignoranza: «Meraviglioso ignorare tutto a quel modo!». Al secondo incontro la ragazza era già innamorata dell’uomo che sfoggiava un’incredibile collezione di cravatte e un cappotto di lupo canadese. Da allora iniziarono a uscire insieme per il pranzo. L’incompatibilità era totale: a lei, stonata, piaceva cantare, lui detestava la musica; lei credeva nella reincarnazione, lui trovava ridicoli i temi metafisici. Invece adorava la matematica e i giochi di parola osceni, che lei giudicava abominevoli. Comunque si fissò la data per le nozze e si decise che la coppia avrebbe abitato nello studio di lui, dove si trovava di tutto: arnesi medici usati come utensili da cucina, padelle da ospedale al posto dei piatti, dondoli appesi al soffitto invece di letti. Non mancavano un gabinetto alla turca, una moquette consunta e una brutta stufa di ghisa. Il matrimonio fu celebrato il 7 giugno 1927 e nei giorni seguenti gli sposi, che insistevano nel darsi del voi, passarono tutto il tempo a mangiare: stinco di montone alla Gare d’Austerlitz, cotolette alla Villette, rognoni fritti alla Porte d’Orléans, cous cous alla Moschea. Nello stesso tempo Duchamp le rivelava di amare i luoghi pieni di portuali e di odiare Freud e i peli (infatti la obbligava a depilarsi con lo zolfo). Il matrimonio, già in difficoltà, crollò durante una gita in campagna in cui portarono anche Picabia (che si divertiva a sparare alle gomme delle macchine che li precedevano): quando tornarono Duchamp le annunciò di aver affittato per lei una nuova casa più spaziosa, in cui la invitò a trasferirsi al più presto possibilmente accompagnata da parecchi amanti. Quell’unione durata solo pochi mesi, da cui la donna trasse un libro (Uno scacco matrimoniale, Archinto), segnò per sempre Lydie, che da allora firmò tutte le sue lettere come Lydiote.