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 2008  febbraio 06 Mercoledì calendario

Veca: si può vietare, ma scongiuriamo le crociate. Corriere della Sera 6 febbraio 2008. Professore, qual è la sua prima reazione da genitore, da nonno? «Penso sia una cosa che richiede anche a me una riflessione

Veca: si può vietare, ma scongiuriamo le crociate. Corriere della Sera 6 febbraio 2008. Professore, qual è la sua prima reazione da genitore, da nonno? «Penso sia una cosa che richiede anche a me una riflessione. E che sia un fatto di civiltà prendere sul serio le posizioni diverse dalle mie, discutere con altri che hanno idee diverse. Anche perché sennò sarebbe noiosissimo ». Il filosofo laico Salvatore Veca ritiene «irrinunciabile» la libertà di ricerca e tuttavia pensa che una società possa anche decidere di «scartare, fino a prova contraria, determinate applicazioni scientifiche». Il problema è di metodo: «Non troverei nulla di spaventoso nell’arrivare all’idea che questa tecnica non va bene, non si fa. Ma vorrei ci fosse un percorso...». Quale, professore? «L’esatto contrario di ciò che succede in questi casi: crociate, certezze irrevocabili da una parte e dall’altra. Vede, è la storia della stanza d’albergo di Marcel Proust: talvolta la sentiva nemica, avvertiva qualcosa fuori posto, e se ne andava». Siamo come Proust? «Sì, il disagio bioetico funziona così: nella nostra vita quotidiana irrompono possibilità che prima non c’erano, stravolgono le nostre abitudini e ci procurano incertezza. Siamo sempre un passo indietro rispetto a noi stessi. Nessun uomo è un’isola, diceva John Donne: e invece noi ci troviamo soli, privi di nuovi criteri da condividere con altri». Già, ma che ci siano due genitori e non tre o uno, più che un’abitudine è un dato biologico, no? «Certo, ma la questione va soppesata. Immaginiamo che funzioni, che un bambino abbia il retaggio genetico dei due genitori salvo che non è destinato ad ammalarsi per il contributo di una secondo donna. Sarebbe un male? Sicuri?». Il timore è anche che si arrivi a pratiche eugenetiche... «Vero, il problema del piano inclinato: dove si va a finire? Ci possono essere dei limiti, ad esempio la Carta di Nizza tutela la dignità delle persone». Quindi che si fa? «Anzitutto c’è un problema di verifica, riguardo alle "scoperte" circolano un sacco di bufale. Dopodiché dobbiamo ascoltare i giudizi della cittadinanza, cioè di tutti noi, e insieme prendere sul serio quanto ci dice la comunità scientifica». Vale l’opposto? «Chiaro, la comunità scientifica ha le sue responsabilità pubbliche. Nessuno deve tirarsi fuori. E soprattutto nessuno, quali che siano le sue convinzioni etiche, religiose o culturali, può essere escluso da decisioni su cose che riguardano tutti. Sennò finisce come la vicenda del Papa alla Sapienza». Lei non sosterrebbe il «dissenso» dei 1.500 docenti? «Eh no! C’è un clima grottesco, siamo diventati matti: scusate, ma la discussione pubblica ha un senso perché ci sono ragioni diverse dalla nostra! E io le prendo molto sul serio». E cioè? «Viviamo in una società in cui c’è un disaccordo persistente sulle cose ultime, la vita e la morte. Non è un incidente di percorso né banale relativismo. La libertà delle persone comporta un pluralismo dei valori. Ci sono tante idee di bene: il bene della persona, della scienza...». In un libro lei ha proposto come metodo la «priorità del male»... «Poiché ci sono tante idee di "bene", credo abbia più probabilità di successo cercare di mettersi d’accorso su che cosa è "male", l’idea alla Rawls del "consenso per intersezione". Che manovre eugenetiche siano un male, per dire, fa parte del nostro dna europeo: e tutto ciò che vi si approssima va scartato». Si può limitare la ricerca? «Non la ricerca in sé, ritengo che la libertà di ricerca sia irrinunciabile, altrimenti siamo fregati. Si può dare il caso in cui certe applicazioni della ricerca non vengono ritenute socialmente accettabili. Tutti devono prendersi la responsabilità di scegliere. Sapendo, come diceva Milton Friedman, che "nessun pasto è gratis": se scegli una cosa, ne perdi un’altra». Gian Guido Vecchi