MAURIZIO BETTINI, La Repubblica 6 febbraio 2008, 6 febbraio 2008
Voci e rumori del mondo antico. La Repubblica 6 febbraio 2008. La nostra vita è immersa nei suoni. Clacson di automobili, rombo di motori, grida o mormorii televisivi, musica che echeggia nei locali pubblici, un´infinità di voci, accordi, squilli o semplici rumori della cui esistenza non ci accorgiamo neppure più, se non quando tutto questo, per un motivo o per l´altro, bruscamente cessa
Voci e rumori del mondo antico. La Repubblica 6 febbraio 2008. La nostra vita è immersa nei suoni. Clacson di automobili, rombo di motori, grida o mormorii televisivi, musica che echeggia nei locali pubblici, un´infinità di voci, accordi, squilli o semplici rumori della cui esistenza non ci accorgiamo neppure più, se non quando tutto questo, per un motivo o per l´altro, bruscamente cessa. La nostra vita si svolge all´interno di una vera e propria fonosfera. E nel mondo antico? In che cosa consisteva la fonosfera degli antichi? Possiamo immaginare che, anche in essa, circolassero voci o grida prodotte dagli esseri umani, come accade nel mondo contemporaneo, magari con intensità e frequenza anche maggiore. Parole di uomini, ossia gente che discute per strada, si chiama dalla finestra o semplicemente canta. Ma a parte questa immediata intersezione fra le due fonosfere, identificarne altre è difficile: vengono in mente piuttosto le sonorità che il mondo antico non aveva, mentre il mondo moderno le ha; e in misura forse minore, quelle che il mondo antico possedeva e che noi abbiamo perduto. Di certo, per esempio, la fonosfera antica non conteneva i rumori del traffico, l´urlo delle sirene o i fragori delle fabbriche; né conosceva quel petulante mix di musica e di voci che, diffuso dagli altoparlanti, fa ormai stabilmente parte dell´arredamento (sonoro) di molti ambienti contemporanei, pubblici e privati. Soprattutto nella fonosfera antica non vi era traccia di una presenza che, nel mondo moderno, si è fatta invece pervasiva. Non stiamo pensando alle campane, sonorità che dominò la società cristiana del passato, e che va ormai affievolendosi specie nelle città; ci riferiamo ovviamente agli squilli dei telefoni portatili. Sarà un caso se di recente, a Chicago, è stato eseguito il primo «Concertino per cellulari e orchestra sinfonica»? Un´intera platea che, all´accendersi di un segnale luminoso, fa squillare le suonerie dei propri portatili, mentre sul palco archi e fiati eseguono la loro parte. Se negli anni ormai lontani del comunismo sovietico le orchestre riecheggiavano i fragori dell´industria pesante, oggi i compositori vanno a caccia di sonorità più leggere, ma non meno dominanti (anche economicamente). A questo punto sorge una domanda. Dobbiamo immaginare quello antico come un mondo più silenzioso di quello odierno? Difficile dirlo, anche se, almeno in media, la fonosfera dei nostri avi avrà per forza avuto intensità minore rispetto a quella contemporanea; insomma, era di certo una fonosfera più sottile e leggera. Soprattutto però diverso doveva essere il suo impasto, perché in essa figuravano suoni e rumori che nel nostro mondo, a motivo dei vari mutamenti di civiltà, sono ormai andati perduti. Si pensi per esempio ai colpi del martello, il malleus o marculus dei Romani, uno strumento che doveva essere molto più usato di oggi (fabbri, stagnai, maniscalchi, carpentieri...); allo strepitus prodotto dalle molae, le macine dei mugnai, le quali trituravano il grano ruotando attorno a un asse sotto la spinta di schiavi o di asini; poi naturalmente al cigolio dei carri, le cui ruote sobbalzavano sui sassi degli acciottolati cittadini. «Chi abita presso la via, - aveva scritto il poeta Callimaco, - è destato dall´asse che stride da sotto il carro; e lo affliggono i fitti colpi dei miseri fabbri che attizzano il fuoco». Ma della fonosfera antica facevano parte anche emissioni sonore più sinistre, e certo più sorprendenti per noi. Pedone Albinovano, scrive Seneca, abitava sopra la casa di Sesto Papinio, uno di quelli che «sfuggono la luce» ((lucifugae), nel senso che svolgono di notte tutte le normali attività della giornata - producendone, ovviamente, anche i relativi rumori, i quali diventavano così rumori notturni, e quindi oggetto di una certa attenzione (di un certo fastidio?) da parte di Pedone, che li registrava puntualmente. «Verso l’ora terza di notte, - raccontava - si sente risuonare la frusta ((flagellorum sonus). Chiedo che cosa faccia Papinio, mi rispondono che sta facendo i conti». Dato che a Roma la calcolatrice era uno "strumento umano", uno schiavo, il quale fungeva anche da segretario, il rumore congruente alla contabilità non era un ticchettio di tastiera, ma il crosciare delle frustate. Dalle finestre di Papinio uscivano comunque anche suoni meno impressionanti. «Verso l´ora sesta - continuava infatti Pedone - si sentono invece delle grida concitate (clamor concitatus). Chiedo che cosa succede, mi dicono che fa esercizi vocali (vocem exercere). Verso l´ora ottava della notte mi chiedo cosa significhi quel rumore di ruote (sonus rotarum): mi dicono che esce in carrozza». Questo dunque un sintetico schizzo, o meglio un rapido collage sonoro, della fonosfera antica. Quali altre sonorità poteva contenere, oltre a quelle che abbiamo elencato? C´è almeno un´altra "voce " importante che occorre registrare: le emissioni sonore prodotte dagli animali, ossia latrati, ragli, nitriti, belati, grugniti, cinguettii e così di seguito. A noi moderni capita raramente di udire la voce di un cavallo, di un asino o di un bue, mentre l´abbaiare di un cane corrisponde, in genere, solo a un fastidioso rumore di barboncino due piani sopra. Anche degli uccelli e dei loro canti possiamo accorgerci solo se abitiamo in qualche quartiere residenziale, o nei periodi di vacanza. Nell´antichità era diverso. Prima di tutto, le voci degli animali erano infinitamente più numerose e più diffuse di quanto possa accadere oggi, perché le "fonti " che le emettevano facevano strettamente parte del tessuto economico, sociale o semplicemente umano del mondo antico. Non a caso Varrone definiva gli animali da lavoro con l´espressione instrumenta semivocalia «strumenti semivocali», come se fossero zappe, erpici o aratri dotati però della capacità di emettere suoni, sia pure non linguistici in senso stretto (il dubbio privilegio di essere instrumenta vocalia, cioè aratri o zappe capaci di «parlare», toccava infatti agli schiavi). A differenza del mondo moderno, asini, buoi, cavalli, cani e così via accompagnavano stabilmente l´attività e la vita quotidiana degli uomini, e come tali le loro voci dovevano risultare assai consuete alle orecchie dei nostri antenati. Occorre inoltre tener conto del fatto che, come si è visto, la fonosfera antica era assai meno ingombra, meno pesante di quella contemporanea, di modo che le voci degli animali, oltre che più diffuse, dovevano risultare anche estremamente più udibili rispetto a oggi. In questo senso, si potrebbe affermare che anche gli antichi disponevano di un loro particolare genere di musica diffusa, la quale - come oggi la radio o il cd prediletto dall´autista dell´autobus - aveva la funzione di "arredare" fonicamente gli ambienti in cui si svolge la vita delle persone. Salvo che questa musica era costituita dai canti degli uccelli, la cui aerea presenza era molto più numerosa, variata e distribuita di quanto non accada oggi; senza che, all´interno della fonosfera, le loro voci fossero coperte da ben altre e più potenti emissioni. Maurizio Bettino