Il Sole 24 ore 3 gennaio 2008, Riccardo Chiaberge, 3 gennaio 2008
Il Lingotto? Spostatelo al Cairo. Il Sole 24 ore 3 gennaio 2008. Alla Fiera del Libro del Cairo, la più importante del mondo arabo, in corso in questi giorni, succedono cose a dir poco singolari
Il Lingotto? Spostatelo al Cairo. Il Sole 24 ore 3 gennaio 2008. Alla Fiera del Libro del Cairo, la più importante del mondo arabo, in corso in questi giorni, succedono cose a dir poco singolari. Per esempio che la polizia egiziana sequestri all’aeroporto pacchi di libri considerati sovversivi o immorali. Come For Bread Alone del marocchino Mohamed Choukri, tradotto in inglese da Paul Bowles, e già boicottato in molti paesi musulmani per le sue scene di sesso e droga. Ma anche opere meno scottanti di autori occidentali, come L’insostenibile leggerezza dell’essere o Il libro del riso e dell’oblio di Milan Kundera. Di fronte a queste prepotenze ci saremmo aspettati qualche reazione della cultura locale: un mugugno, un ohibò, anche solo un colpetto di tosse da parte, tanto per fare un nome, del signor Mohamed Salmawy. Niente. Il giornalista egiziano, presidente dell’Unione degli Scrittori Arabi non ha fiatato. Era troppo impegnato a indirizzare vibranti lettere di protesta ai responsabili di un’altra Fiera del libro, quella di Torino, colpevoli di aver invitato Israele come Paese ospite. Questa scelta - ha dichiarato Salmawy - è una provocazione nei confronti degli arabi, «che non se ne staranno con le mani in mano». L’intellettuale egiziano ha anche minimizzato l’importanza della «piccola Fiera» torinese, niente di paragonabile alle grandi manifestazioni tipo Francoforte, New York, Montreal e, appunto, Il Cairo. Ma se il Lingotto fosse davvero così irrilevante, perché tanto chiasso? Perché l’appello al boicottaggio, orchestrato da quattro gatti nostrani - forse tirati per la coda da qualcuno - è diventato subito una crociata? In questo clima surriscaldato, c’è chi è arrivato a parlare di «militarizzazione della cultura». Come se David Grossman, che ha perso un figlio nella guerra in Libano del 2oo6, o Amos Oz, o Abraham Yehoshua, o quell’Etgar Keret che ha scritto un libro con un palestinese, fossero dei guerrafondai «embedded» nelle truppe di occupazione. Israele è ospite d’onore anche al Salon du Livre parigino, che precede di due mesi l’appuntamento torinese: eppure lì, a parte qualche isolato dissenso, non si sono udite urla sediziose. L’insostenibile leggerezza dell’idiozia dev’essere una prerogativa italiana. Forse è bene ricordare che le aule della Sapienza e i saloni del libro sono luoghi di incontro e di confronto delle idee, non di scontro tra identità armate. E che in quest’era di fondamentalismi dovremmo tutti imparare l’arte del riso e dell’oblio di cui Kundera è maestro. Ma intanto, suggeriamo ai censori della Fiera di Torino di fare un salto al Cairo. Stiano solo attenti a che libri si portano in aereo: lì la cultura non è militarizzata, preferiscono imbavagliarla. Riccardo Chiaberge