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 2008  gennaio 03 Giovedì calendario

Un santo indù in Vaticano. Il Sole 24 ore 3 gennaio 2008. Il 13 dicembre 1931 Gandhi arriva a Roma, reduce dalla II Conferenza della Tavola Rotonda a Londra

Un santo indù in Vaticano. Il Sole 24 ore 3 gennaio 2008. Il 13 dicembre 1931 Gandhi arriva a Roma, reduce dalla II Conferenza della Tavola Rotonda a Londra. La riunione si è risolta in un nuovo fallimento per le divisioni del movimento nazionale indiano, abilmente sfruttate dal Governo per rinviare ogni decisione sul programma di partnership tra India e Inghilterra proposto da Gandhi. Winston Churchill si è rifiutato di riceverlo e la stampa britannica lo classifica «il fachiro nudo». Lui ha preferito cogliere nelle manifestazioni d’onore di cui è circondato in Europa il segno dell’attrazione di un messaggio, come il suo, che fa leva sulla forza intrinseca della verità. Le accoglienze popolari, ma anche di scrittori, filosofi politologi londinesi gli hanno fatto balenare la speranza di un avvicinamento del mondo cristiano a questi ideali. Per questo gli sembra plausibile progettare un incontro con Pio XI. Ha a disposizione solo tre giorni per la tappa romana, dovendo poi imbarcarsi a Brindisi per l’India e rende noto alle autorità vaticane il suo desiderio. Si presenta l’opportunità di un incontro unico fra la Chiesa romana e il movimento della Nonviolenza. Gandhi è incoraggiato dall’articolo pubblicato nella prima, pagina dell’«Osservatore Romano» del 27, novembre; intitolato «Come Gandhi parla di Dio». A firma di «X», il giornale vaticano ha commentato con sorprendente calore la sua conferenza alla Columbia Grammophone Company e ha rintracciato nel suo linguaggio «reminiscenze di Aristotele e di san Tommaso», augurandosi che «la voce di Cristo riesca a farsi ascoltare anche da quest’uomo eccezionale, che mostra tanto amore per la verità che rende liberi». Tuttavia Gandhi aveva incontrato da tempo la figura di Gesù. Sulla parete di fango della sua capanna era appesa una stampa in bianco e nero con l’immagine del Cristo e la scritta: «Egli è la nostra pace». Leggendo il Nuovo Testamento egli era stato rapito dal Sermone della Montagna: « il Sermone che mi ha fatto amare Gesù. Leggendo tutta la storia della sua vita in questa luce, mi sembra che il cristianesimo resti ancora da realizzare. Fintanto che non avremo sradicato la violenza dalla nostra civilizzazione, il Cristo non sarà ancora nato. il Sermone della Montagna che mi ha rivelato il valore della resistenza passiva. Io fui colmo di gioia leggendo: "Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano"». «Voglio vedere il papa, mi ha mandato un buon messaggio», ha confidato Gandhi a Romain Rolland, patriarca del pacifismo europeo e suo biografo, di cui è stato ospite a Villeneuve, in Svizzera, tornando da Londra. In una riunione a Losanna Gandhi ha confermato di, sentirsi attirato dalla figura di Gesù Cristo, ma di essere frenato dal cristianesimo cosi come è stato distorto dalla mente greca di Paolo e riciclato dalla cristianità in Occidente. Un giorno ha chiesto «Come può essere fraterno chi crede di possedere la verità assoluta?». Aveva esposto questa convinzione in un discorso all’Ymca di Colombo nell’isola di Ceylon nel 1927: «Se dovessi considerare soltanto il Sermone della Montagna - aveva detto - non esiterei ad affermare che sono cristiano. Ma purtroppo bisogna ammettere che molto di quanto viene spacciato per cristianesimo è una negazione del Sermone della Montagna». La richiesta di udienza non viene accolta dal Vaticano, che comunica che Pio XI è oberato di impegni in quei giorni e che potrebbe ricevere il Mahatma solo dopo qualche tempo. Secondo i rapporti della polizia fascista il rifiuto vaticano, potrebbe esser dipeso da banali questioni di abbigliamento («un bianco burnus intorno alla sua magrezza»), perché Gandhi «non voleva assoggettarsi a un vestimento più decente». Mussolini, lui, ha trovato bene il tempo per riceverlo a Palazzo Venezia. Altra spiegazione è che il papa temesse, ricevendo il "ribelle", di fare uno sgarbo all’Inghilterra. Una terza ipotesi sarà formulata alcuni anni dopo da Jawaharial Nehru: il rifiuto sarebbe stato motivato dal fatto che «la Chiesa cattolica non approva i santi o i mahatma al di fuori della propria circoscrizione». Se non può vedere il papa, almeno riesce a visitare coi segretari i Musei Vaticani, fuori orario, per uno strappo concessogli in segno di cortesia. Mahadev Desai, uno del seguito, riferirà che ad attirare specialmente Gandhi non sono i tesori d’arte, ma il grande Crocifisso del XV secolo che sovrasta l’altare della Cappella Sistina. Così avviene che la porta chiusa dalla realpolitik vaticana apra al profeta della nonviolenza l’incontro con la figura del Cristo in croce, nel cuore del Vaticano ed è questo Cristo che lo emoziona nel profondo. Per molti minuti Gandhi rimane a contemplare il grande Crocifisso, gli si avvicina, lo osserva sempre più rapito e commosso; torna sui propri passi, gli gira intorno più volte, come per eseguire il rito indiano della circumambulazione di un oggetto di culto: «Non si può fare a meno di commuoversi fino alle lacrime», è il suo commento immediato. Tornerà più volte a ricordare la commozione provata allora, fino al pianto, di fronte alla rappresentazione di un Uomo che aveva saputo morire sulla croce per la salvezza dell’umanità. I biografi. di Gandhi, sia in Europa che in Asia, concordano nell’affermare che il soggiorno a Roma lo fece diventare ancora più critico verso l’Occidente. Meno di due mesi dopo la mancata udienza, «La Civiltà Cattolica» dedica al leader pacifista due ampi articoli nei quaderni del 6 e 20 febbraio 1932, senza firma, sigillo di autorevolezza istituzionale. Si possono cogliere qui i motivi per i quali non si era considerata matura né opportuna l’udienza papale. Nel primo, si raccolgono i principali elementi della biografia e della teoria denominata « Satyagraha» (cioè fermezza della verità) dell’«agitatore nazionalista indiano», la cui assimilazione a san Francesco anche da parte di cattolici è vista come una «deplorabile profanazione», mentre si critica come nefasto il suo programma di por fine al dominio britannico. Il secondo articolo critica l’universalismo religioso gandhiano, attribuendogli la mira di induizzare il cristianesimo per renderlo subalterno al suo programma nazionalista, o al meglio per diluire il senso cristiano nel mare dell’indifferentismo sincretista. Gli si addebita di essere «infatuato dell’umanitarismo pseudocristiano di Tolstoi». Lo si paragona a Machiavelli, benché gli si conceda la buona fede di lottare per un ideale di giustizia. Dovranno passare trentasette anni per poter leggere, nella stessa «Civiltà Cattolica» (I, 1969), un saggio, «Gandhi e la nonviolenza», in cui si riconosce che «molte sue concezioni e metodi sono diffusi in tutto il mondo, entrando a far parte del retaggio dell’uomo moderno, del quale ispirano la lotta per la liberazione umana», e hanno consentito di«conquistare per il popolo dell’India l’indipendenza da una delle più potenti nazioni imperialiste della storia». « strano - è la conclusione - che, mentre nazioni cristiane ricorrono alla violenza per conseguire i loro scopi, e cercano di giustificare la violenza, abbia dovuto éssere un indù, fedele e convinto, a scoprire il legame tra verità e nonviolenza per realizzare il cambiamento sociale». Giancarlo Zizola