Bjørn Lomborg, L’ambientalista scettico, Mondadori 2001., 6 febbraio 2008
L’ambientalista scettico. Capitoli III-IV Capitolo III: "Misurare il benessere umano" Nel 1999 sul pianeta vivevano 6 miliardi di persone
L’ambientalista scettico. Capitoli III-IV Capitolo III: "Misurare il benessere umano" Nel 1999 sul pianeta vivevano 6 miliardi di persone. La crescita demografica è iniziata nel 1950 e secondo le previsioni dovrebbe concludersi intorno al 2050. Come disse Peter Adamson, consulente della Nazioni Unite, "non è che gli uomini abbiano improvvisamente cominciato a riprodursi come conigli; il fatto è che non muoiono più come mosche". L’aumento della popolazione è dovuto dunque a un’eccezionale diminuzione del tasso di mortalità grazie a maggiore disponibilità di cibo, cure mediche, acqua potabile e infrastrutture igieniche. Non è invece imputabile a un’accresciuta natalità tra le popolazione dei paesi in via di sviluppo dove, all’inizio degli anni Cinquanta, la media era di oltre sei figli per donna, mentre oggi è di circa tre. Nella società contadina tradizionale il reddito è basso e la mortalità alta. Tuttavia i figli, poiché lavorano e si prendono cura dei genitori anziani, rappresentano un beneficio superiore ai costi e quindi il tasso di natalità è alto. Quando le condizioni di vita, la qualità delle cure mediche, le infrastrutture igieniche e la prosperità economica migliorano, i tassi di mortalità diminuiscono? La transizione verso un’economia più urbanizzata e sviluppata aumenta le probabilità di sopravvivenza dei figli, che allo stesso tempo cominciano a costare alla famiglia più di quanto rendano poiché hanno maggiori esigenze di istruzione, lavorano meno e trasferiscono l’impegno a prendersi cura dei genitori anziani alle case di riposo. Di conseguenza il tasso di natalità diminuisce. Nel periodo compreso tra la diminuzione del tasso di mortalità e la diminuzione del tasso di natalità, la popolazione aumenta. In Svezia, per esempio, durante questo lasso di tempo la popolazione è quintuplicata. Una tendenza di questo tipo è in atto oggi nei paesi in via di sviluppo. La popolazione si concentrerà sempre di più nelle metropoli. Si sente spesso affermare che la città abbassa la qualità della vita. Si tratta di un ragionamento sbagliato: è vero che secondo gli standard occidentali nelle baraccopoli la gente conduce una vita miserabile, ma la realtà è che perfino lì si vive meglio che nelle zone rurali. Nelle aree ad alta densità di popolazione si riduce l’incidenza delle malattie infettive più gravi, quali malaria e malattia del sonno, poiché gli edifici, sorgendo uno a fianco all’altro, lasciano meno spazio libero per gli acquitrini in cui prosperano mosche e zanzare. In città ci sono migliori sistemi fognari e servizi sanitari, e l’accesso all’istruzione è più semplice. Infine, gli abitanti delle città in media si alimentano meglio e in modo più equilibrato. Di fatto, il problema della povertà nel mondo interessa soprattutto le regioni rurali. Nei paesi in via di sviluppo le aree urbane, in cui vive appena un terzo della popolazione, producono il 60% del Pil. Capitolo IV: "Aspettativa di vita e salute" Dalle ricerche svolte sugli scheletri si sa che un cittadino medio dell’Impero romano viveva solo 22 anni. Fino al 1400 circa l’aspettativa di vita dell’umanità era bassissima: un neonato poteva sperare di vivere in media solo 20-30 anni. La causa principale era un tasso di mortalità infantile molto elevato: solo un bambino su due sopravviveva oltre il quinto compleanno. Ancora nell’Ottocento l’aspettativa di vita era di trent’anni circa. La stessa è più che raddoppiata nell’ultimo secolo. All’inizio del XX secolo l’aspettativa di vita nei paesi in via di sviluppo era in media molto al di sotto dei 30 anni. Nel 1950 aveva raggiunto i 41 anni e nel 1998 era di 65. Il cinese medio che nel 1930 si aspettava di morire all’età di 24 anni, può ora prevedere di vivere fino a 70. Si prevede che la tendenza al miglioramento continuerà e che il mondo in via di sviluppo supererà il tetto dei 70 anni nel 2020. Il miglioramento dell’aspettativa di vita è in gran parte risultato di una brusca diminuzione della mortalità infantile. L’allungamento della vita media rispetto a cento anni fa non è dovuto al fatto che tutti vivono più a lungo, bensì al fatto che molte meno persone muoiono giovani. A livello globale la diminuzione della mortalità infantile è stata stupefacente. Dall’esame di scheletri, è possibile dedurre che fino al 1400 un tasso di mortalità di circa 500 su 1000 nati era normale in Europa. Nei paesi in via di sviluppo la riduzione è stata straordinaria: mentre nel 1950 il 18% (uno su cinque) dei bambini moriva, nel 1995, nonostante la terribile epidemia di Aids, la percentuale era scesa al 6%. Non solo si vive più a lungo, ma ci si ammala anche di meno. A partire dalla fine del XVIII secolo ovunque sono migliorate le condizioni di vita, le abitudini igieniche e alimentari. Inoltre è migliorata la medicina. Alcune malattie sono state quasi debellate: il vaiolo, la difterite, la peste. Altre sono diventate per lo più inoffensive: morbillo, varicella, colera ecc. Per questo motivo si muore più spesso di vecchiaia e malattie legate allo stile di vita, come disturbi cardiovascolari e tumori.