Corriere della Sera 5 febbraio 2008, GUIDO SANTEVECCHI, 5 febbraio 2008
Un modello che non esiste. Corriere della Sera 5 febbraio 2008. LONDRA – In attesa che la signora Monica Ali apra la porta della bella casa tipicamente inglese, con giardino ben curato, non si può fare a meno di pensare che il sobborgo residenziale di Dulwich, a Sud del Tamigi, pur essendo solo a venti minuti di traffico londinese da Brick Lane, è lontano qualche secolo di ricchezza dalla via stretta e sovraffollata di odori e rumori dove vive la comunità di immigrati dal Bangladesh
Un modello che non esiste. Corriere della Sera 5 febbraio 2008. LONDRA – In attesa che la signora Monica Ali apra la porta della bella casa tipicamente inglese, con giardino ben curato, non si può fare a meno di pensare che il sobborgo residenziale di Dulwich, a Sud del Tamigi, pur essendo solo a venti minuti di traffico londinese da Brick Lane, è lontano qualche secolo di ricchezza dalla via stretta e sovraffollata di odori e rumori dove vive la comunità di immigrati dal Bangladesh. E questo è parte del problema: Germaine Greer ha accusato la «scrittrice proto- bengalese dal cognome musulmano, che ha voluto dimenticare la sua lingua» di aver «tracciato in modo infido una caricatura degli immigrati». Insomma: Brick Lane, il romanzo che racconta di una ragazza bengalese arrivata a Londra per un matrimonio combinato, sarebbe un’offesa al multiculturalismo. La porta è aperta da Simon, il marito inglese, dopo poco compare Monica Ali e si scusa: «Non avevo sentito, ero di sopra a scrivere e sentivo musica con le cuffie». Sul tavolo del soggiorno, i quaderni dei compiti dei due bambini, un gioco del Risiko, pacchettini colorati. E un foglietto con scritto «...you will die...», morirai. Il nuovo libro sarà un giallo? L’illusione di aver scoperto un segreto è subito spazzata via da un sorriso: «C’è un bel disordine, sto preparando la festa di compleanno di mia figlia, ci saranno venti bambini, non sarà facile». Il bigliettino fa parte dei preparativi di qualche gioco per il gruppo. Monica Ali è a metà del nuovo libro, ambientato in Gran Bretagna: «Non ho un piano capitolo per capitolo quando comincio a scrivere, ma al tempo stesso sento di avere un quadro molto preciso di quel che sarà, come l’immagine di una cattedrale, una creazione molto complessa, con una quantità di dettagli da osservare da diverse posizioni ». E sarà di nuovo un argomento controverso? La risposta è decisa, quasi a voler chiudere subito la questione: «Non ho idea, non ci penso, non ho mai pensato di essere controversa». Ma dopo il caso di Brick Lane, può davvero non valutare l’ipotesi? Ride. «La domanda è buona nel senso che porta a chiedersi come funziona l’autocensura, perché di solito si discute di censura dall’esterno e di quello che puoi scrivere e delle critiche che riceverai. Io scrivo con la porta chiusa». «Vedo che è il caso di raccontare come è andata con Brick Lane: quando è uscito, nel 2003, per sei mesi ho ricevuto solo lettere di giovani donne bengalesi che mi ringraziavano e ricordavano le loro esperienze, i loro matrimoni combinati dalle famiglie. Poi uno che faceva parte di un’associazione che non avevo mai sentito, che anche la gente di Brick Lane non conosceva, ha scritto al Guardian. Diceva che la mia storia aveva avevo "offeso in modo vergognoso" la comunità immigrata dal Bangladesh ». «Mi piace proprio il modo in cui lavora la stampa. Ci trovo una tale eco del vecchio approccio colonialista. I giornalisti vanno con il loro elmetto imperiale e dicono: "Portami dal capo". Hanno bisogno di un leader, uno rappresentativo da citare. Trovano un maschio, anziano, conservatore e dandogli voce, cioè un certo potere, indeboliscono la gente vera della comunità, a partire dalle donne». Poi c’è stato il film tratto dal libro. Gente in strada a Brick Lane per protestare contro il progetto di girare alcune scene sul posto. Minacce di bruciare il romanzo. La Greer ha scritto che gli autori come la Ali «sono infidi, si insinuano tra la gente, la spiano e la descrivono in termini in cui la gente non si riconosce». «Già, un’altra bella storia per la stampa. Si erano lamentati in quattro o cinque, è circolata la voce che in una scena del film si sarebbe visto un cuoco bengalese che faceva cadere un pidocchio nella zuppa: ma non c’è mai stato nessun pidocchio, né nel film né nel libro. E nessuno ha scritto dei mille bengalesi che si erano messi in coda per fare le comparse. Solo dei cento che hanno fatto un corteo». Però la polemica c’è stata, qualcuno l’ha definita la nuova Salman Rushdie della letteratura anglo-asiatica. Monica Ali si rassegna a spiegare ancora: «C’è un grande paradosso nella narrativa. Il successo della fiction dipende dalla specificità, la particolarità, sta nell’individuazione di un’esperienza singola, e non puoi generalizzare. Ma dalla specificità viene l’universalità. Più sei specifico e più universale è il richiamo. Questo è stato il caso di Brick Lane ». Allora è la Gran Bretagna, la sua stampa, ad essere ossessionata dalla società multiculturale? «Totalmente. Ma ci sono questioni che debbono essere affrontate, la gente è preoccupata dall’estremismo musulmano, dagli attentati di Londra. stato il capo della Commission for Racial Equality a dire che la nostra società sta camminando da sonnambula verso la segregazione». E ha ragione? «Ci sono città a Nord di Londra dove l’immagine non è esagerata: asiatici e inglesi vivono divisi e così qualcuno ha pensato di gemellare le scuole, di portare i bambini bianchi a incontrare gli asiatici; li accompagnano con l’autobus e poi li riportano nel loro ambiente. Già questa è segregazione». E lei si considera una scrittrice inglese, anglo- asiatica? Risponde con fastidio: «Guardo a me stessa come a una scrittrice e basta. Ho passato la vita a scartare identità diverse». La madre di Monica, inglese, ha sposato uno studente bengalese conosciuto in Inghilterra; poi la coppia si trasferì in Bangladesh, ebbe due figli. Quando scoppiò la guerra, nel 1971, tornò nel Regno Unito. E la bambina Monica smise di parlare bengalese, solo inglese: «La mia prima ribellione». «Certo che sono britannica. Però che cos’è l’identità britannica? Esiste? No, cambia a seconda delle persone, a ogni ora del giorno, secondo le circostanze. Io ho degli amici inglesi che prendono l’identità che gli fa comodo: atei che mandano in parrocchia i figli perché così poi possono iscriverli alla scuola cattolica che è la migliore della loro zona. L’idea dei test di britannicità per immigrati che devono dimostrare di essere più britannici dei britannici è semplicemente risibile». Insomma, un’identità sfuggente e mutevole, sulla quale soffiano i giornali per fare polemica. Monica Ali finalmente è d’accordo. «Mi hanno chiesto spesso di andare in tv a fare la testa pensante, di scrivere commenti su Est e Ovest, scontro di civiltà. Non lo faccio, perché quello che mi piace è la complessità, esplorare le questioni da diverse prospettive. La sfida dello scrittore è arrivare con la sua fiction (la narrativa) dove titoli e articoli di giornale non possono. I lettori di romanzi amano la complessità ». Però a noi piacerebbe lo stesso sapere, per rispetto verso una scrittrice di fama... Ride forte e saluta. Poco dopo arriva una e-mail: «Ho detto che ho sempre scelto di non diventare una commentatrice politico-sociale ed è vero in generale... Comunque ci sono state un paio di eccezioni: una volta mi sono schierata in una campagna per emendare la legge sull’odio religioso. L’altra occasione è stata un articolo sul film Brick Lane, nel quale però la mia vera preoccupazione era discutere una tendenza che trovo molto fastidiosa: the outrage economy ». L’economia dello scandalo, dello sdegno che si autoalimenta e diventa fenomeno commerciale. questo che non accetta Monica Ali. Guido Santevecchi