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 2008  gennaio 27 Domenica calendario

L’OPERAZIONE CONDOR E LA GIUSTIZIA TARDIVA

Corriere della Sera 27 gennaio 2008.
Ho letto sul Corriere che la magistratura italiana ha richiesto ben 140 arresti per altrettanti golpisti sudamericani per fatti accaduti negli anni 70 e 80 in Sud America che hanno avuto vittime di ascendenza italiana. Che senso ha imbastire processi per fatti avvenuti più di trent’anni fa? I nostri magistrati non hanno da perseguire delinquenti nostrani, mafiosi, piccoli e grandi criminali che hanno commesso crimini adesso e non nella preistoria? Non esiste il giudice naturale competente per territorio?
Non esiste la norma generale che per lo stesso crimine si può essere processati una sola volta? Sicuramente questi personaggi sono già stati processati nel loro Paese e, inoltre, se la magistratura italiana li persegue perché alcune vittime possono vantare una lontana ascendenza italiana, perché poi non potranno essere giudicati per gli stessi reati dalle magistrature spagnole, francesi, ecc.? Che possibilità di difesa potrà avere chi viene accusato per un crimine avvenuto più di trent’anni fa? Come potrebbero riuscire a far venire in Italia eventuali testimoni a loro difesa?
Quanti possibili testimoni nel frattempo saranno morti? Infine, che senso ha processare imputati che, dato il tempo trascorso, come minimo avranno più di 70 anni e che, di conseguenza, non sconteranno mai la eventuale pena? In Italia abbiamo soldi e tempo da buttare?
Paolo Radice
paolo.radice1940@libero.it
Caro Radice,
Qualche parola anzitutto per i lettori che non hanno prestato attenzione a questa notizia. I reati di cui sarebbero responsabili le 140 persone contro le quali la magistratura italiana ha spiccato un mandato di cattura sono stati commessi, in buona parte, nell’ambito di un’operazione che fu chiamata «Condor». I fatti risalgono a un incontro che si tenne in Cile il 25 novembre 1975 fra i rappresentanti dei servizi segreti di sei Paesi latino-americani in cui i militari, negli anni precedenti, avevano conquistato il potere: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay.
A seguito dell’incontro, i governi dei sei Paesi decisero di aiutarsi a eliminare i rispettivi oppositori. Da quel momento ogni servizio d’intelligence nazionale avrebbe avuto facoltà di mandare le proprie squadre nei Paesi amici per individuare e uccidere i propri esuli. Ma già prima di allora i governi rappresentati all’incontro cileno avevano brutalmente perseguitato ed eliminato i propri dissidenti. Il caso più clamoroso fu quello dei desaparecidos argentini, vittime di una sanguinosa «purga» organizzata dalla giunta militare del generale Jorge Videla. Più tardi, quando i Paesi dell’Operazione Condor tornarono alla democrazia, prevalse la convinzione che fosse meglio, nell’interesse della pace civile, seppellire il passato e pensare al futuro: una decisione simile per molti aspetti a quella adottata dal governo italiano nel 1946 con l’amnistia firmata da Palmiro Togliatti, allora ministro di Grazia e giustizia. Fu questa la ragione per cui il presidente argentino Carlos Menem, ad esempio, garantì l’impunità dei membri della giunta militare. Ma in tempi più recenti, alcuni governi, sollecitati dalle richieste della pubblica opinione, hanno deciso di riaprire i dossier e, in alcuni casi, di abolire i provvedimenti di clemenza che erano stati adottati negli anni precedenti. Ogni Paese, naturalmente, ha il diritto di affrontare le questioni nazionali con i criteri e gli strumenti di cui dispone.
Come lei osserva, caro Radice, il caso italiano, tuttavia, è diverso. Qui il magistrato inquirente ha deciso di agire sulla base di una denuncia pervenuta alla procura dieci anni fa da 25 famiglie argentine di origine italiana. Lei non ha torto quando scrive che la giustizia in questo caso non è più territoriale, che il tempo trascorso rende le indagini molto complicate, che un ufficio giudiziario sarà per molto tempo distratto dalla trattazione di altri problemi da cui dipende la nostra sicurezza. Ma questi orientamenti della giustizia non sono esclusivamente italiani. In molti Paesi occidentali si è radicata la convinzione, spesso avallata dalle leggi, che certi reati non siano soggetti a prescrizione e possano essere perseguiti ovunque. Poco importa che la raccolta e la verifica delle prove diventino col passaggio degli anni pressoché impossibili. Poco importa che la spada della giustizia cada su persone invecchiate, forse ormai moralmente diverse da quelle che hanno commesso i reati. Poco importa che questi esercizi giudiziari costino molto denaro e producano quasi sempre risultati estremamente modesti. Il magistrato si giustifica invocando l’obbligatorietà dell’azione penale ed è spesso sollecitato ad agire dall’interesse umano del caso e, perché no, dalla notorietà che esso procura. La sentenza, quando verrà, apparterrà a una giustizia declaratoria, moralista, mediatica, che non risolve problemi, ma afferma principi: una giustizia alquanto diversa da quella di cui abbiamo quotidianamente bisogno.
Sergio Romano