la Repubblica 5/2/2008, pagina 30., 5 febbraio 2008
Lettere. la Repubblica, martedì 5 febbraio Sono la nonna di un ragazzino disabile, nato alla ventiseiesima settimana di gravidanza, al quale non è stato permesso di morire
Lettere. la Repubblica, martedì 5 febbraio Sono la nonna di un ragazzino disabile, nato alla ventiseiesima settimana di gravidanza, al quale non è stato permesso di morire. Subito dopo la nascita venne tenuto per più di cinquanta giorni in rianimazione, poi fu operato tre volte e quando aveva tre mesi fu consegnato ai genitori ai quali i medici non seppero o non vollero dire alcuna cosa circa il suo futuro. Il bambino era ed è idrocefalo, gravemente cerebroleso, ovviamente spastico e ritardato. Ora mio nipote ha quattordici anni, gode, si fa per dire, di un assegno di accompagnamento irrisorio, a scuola cambia continuamente insegnante d’appoggio, le strutture pubbliche che dovrebbero garantirgli un’assistenza lasciano a desiderare, non si sa che cosa potrà fare in futuro, quando nonni e genitori non ci saranno più. Non mi piace fare la vittima, né piangermi addosso, ma mi permetto di essere furibonda e sdegnata con chi, sulla pelle altrui, pronuncia sentenze. Perché lo fanno? Ho sempre creduto che un medico, anche se credente, fosse anche uomo di scienza e un professionista che ha promesso di non nuocere al paziente. E allora? Perché? Paola Pitossi *** In questa Italia con la testa rivolta all’indietro che fa fatica a guardare avanti, è tornato d’attualità il dibattito sull’aborto. Argomento nel quale credo sia necessario entrare in punta di piedi avendo profondo rispetto dei drammi di tutti i soggetti coinvolti: la donna ed il nascituro prima di tutto. Io vorrei portare il punto di vista dei figli nati senza essere voluti: io sono uno di loro. Sono nato nella Sicilia povera degli anni ’50 e sono sopravvissuto ad un maldestro, rudimentale e pericoloso tentativo di aborto non riuscito. Ho amato lo stesso mia madre che è stata come me vittima di una situazione di grave arretratezza culturale, sociale ed economica. Voglio dire a Ferrara e Ruini che non è bello vivere sapendo di non essere stati voluti. E’ come partecipare ad una cena di gala senza essere stati invitati. E’ come se sulla carta d’identità uno portasse la scritta nato per caso. Voglio invitare a tenere conto dei drammi di tutti i soggetti coinvolti: la donna ed il nascituro prima di tutti. Limitare l’autodeterminazione della donna vorrebbe dire ampliare la casistica dei drammi. Facciamo in modo che la vita sia un dono del quale possano lietamente godere i genitori ed i figli, altrimenti che vita è. Lettera firmata Palermo