Corriere della Sera 2 febbraio 2008, Martina Zambon, 2 febbraio 2008
TIZIANO
Puro colore. Corriere della Sera 2 febbraio 2008.
Tiziano, che ha dato il suo nome alla sfumatura più viscerale del rosso, diventa pure test-trabocchetto per i più zelanti studenti d’arte. A Rotterdam, con una certa dose di perfidia, i docenti propongono un dettaglio del «Bambino con cani» in un paesaggio (anno domini 1580) chiedendo agli studenti a che periodo si possa attribuire. Inevitabili gli scivoloni, c’è chi lo colloca sicuro nell’800, che scopre l’impressionismo, chi azzarda un début di ’900. E a lasciarsi avviluppare dai rosei cieli rotanti di Tiziano come nella «Danae», il riflesso condizionato va a tanti Monet.
Rivoluzionario, frainteso dai contemporanei, l’ultimo Tiziano esplode in un vortice dal segno liquefatto nella più sensuale delle mostre, quella allestita fino al 20 aprile all’Accademia, nella chiesa della Carità, cuore delle nascenti Grandi Gallerie di Venezia. Una mostra quasi piccina, solo 28 lavori creati fra il 1550 e il 1576, eppure immensa. Ventotto oli, ventotto capolavori, non uno di meno. Scelte coraggiose alla base di un risultato tanto stupefacente.
Mancano, in una esposizione intitolata «L’ultimo Tiziano e la Sensualità della pittura», quelle Veneri che ci si aspetterebbe. Troppo facile declinare la sensualità di una pennellata magmatica con soggetti vicini al cliché. Sensuale e dolorosa insieme, la «Crocifissione» che inquadra uno scorcio inedito, un Cristo affiancato ad un solo ladrone in una composizione concava, tondeggiante, in cui lo sfondo è una miscela sapiente di toni bruni, dall’ocra al giallo che avvolgono i corpi sofferenti. Sensuale la straziante «Pietà» che sta di casa proprio all’Accademia, dipinta con furiosa pazienza, strato dopo strato (i restauratori ne hanno contati dieci). Il corpo macerato dal supplizio di Cristo, visto da vicino, non è altro che colore puro steso sulla tela «a macchie» come lo stesso Vasari notò. Non si trattava, però, di un apprezzamento. Negli anni in cui il fulgore di Michelangelo, Leonardo e Correggio splendeva, Tiziano segue risoluto la sua via di innovatore, e la trova puntando tutto sul colore. Il segno, visibilmente più labile dipinto dopo dipinto, sparisce per lasciare spazio a una tridimensionalità pulsante. La mostra si presenta limpida in tre partizioni, la prima è una galleria di ritratti, da Papa Farnese III (conservato a Capodimonte) alla Lavinia («Ritratto di Dama in bianco») il cui sontuoso abito di taffetà pare «crocchiare». Dogi, signori della guerra, papi. Tiziano ruba l’anima a ognuno e la riversa in sguardi acuminati che trafiggono il visitatore.
L’unico ritratto che fissa pensoso un punto oltre la cornice è il suo, quello del maestro dall’espressione triste, la bocca ridotta a una piega amara. La seconda parte comprende soggetti profani, ninfe e pastori, divinità mitologiche e fanciulle virginali. E poi i temi sacri, due Maddalene appaiate, Santa Margherita che lotta contro il drago in un turbinio di colori in cui l’asse del dipinto è dato da una sola gamba ritta e nuda. La sensualità passa da un soggetto all’altro, non è legata al tema, ma a uno stile personalissimo. Come in due piccole tele: due «La religione soccorsa dalla Spagna» Appartenente al Museo del Prado di Madrid. Fu ultimata nel 1575 «Cristo crocefisso e il buon ladrone» Proviene dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna. Risale al 1565
Sguardi profondi
«Il tributo della moneta» (a destra), della National Gallery di Londra, è fra le tele di Tiziano (nel tondo in alto l’autoritratto) dove il colore ha maggiore impatto Suggestioni
Lo stile dell’artista nel finale della sua vita è spesso accostato all’impressionismo di Claude Monet
Martina Zambon