Francesca Bonazzoli, Corriere della Sera 2 febbraio 2008, 2 febbraio 2008
Danae, la modella che turbò Roma Dietro il mito, l’amante del cardinale. Corriere della Sera 2 febbraio 2008
Danae, la modella che turbò Roma Dietro il mito, l’amante del cardinale. Corriere della Sera 2 febbraio 2008. Il 20 settembre 1544 il nunzio apostolico a Venezia, nonché arcivescovo di Benevento Giovanni Della Casa, prese carta e penna e scrisse una lettera a Roma, indirizzandola ad Alessandro Farnese, cardinale nipote di Paolo III. Autore del celebre «Galateo» e in gioventù assiduo estensore di componimenti poetici dai doppi sensi osceni, il nunzio era appena stato a visitare Tiziano nel suo studio: sapendo bene quanto il pittore fosse subissato di richieste e sempre in affanno nelle consegne, era andato a controllare come procedevano i lavori del quadro che il Farnese sollecitava. Con grande piacere lo aveva trovato a buon punto: Tiziano, scriveva Della Casa, «...lha presso che fornita, per commession di Vostra Signoria Reverendissima, una nuda che faria venir il diavolo addosso al cardinale San Sylvestro... », ovvero al domenicano Tommaso Badia, che nel 1537 aveva firmato il «Consilium de emendanda ecclesia » ed era tra i principali censori dei costumi corrotti della curia romana. Ma non solo. Al confronto di questa «nuda», aggiungeva il nunzio, «quella che Vostra Signoria Reverendissima vide in Pesaro nelle camere de’l Signor duca d’Urbino (la cosiddetta «Venere d’Urbino» acquistata da Tiziano da Guidobaldo II della Rovere) è una teatina appresso a questa», dove con teatina si alludeva all’ordine religioso dedito alla cura dei malati. Il primo, dunque, a rimanere colpito dalla provocante sensualità della «nuda » di Tiziano fu il colto e smaliziato Della Casa, ma appena il quadro giunse a Roma, non ci fu chi rimase insensibile: di quell’opera il pittore cadorino dovette in seguito dipingere almeno sette altre versioni e tutto questo nonostante il grande Michelangelo l’avesse criticata. La testa della cognata Ma torniamo nello studiolo veneziano del Della Casa il quale continua la sua lettera aggiungendo che il miniaturista Giulio Clovio aveva mandato uno schizzo della cognata della signora Camilla da cui il Farnese voleva che Tiziano traesse un ritratto, ma il pittore aveva avuto un’altra idea: appiccicare la testa della sopradetta cognata alla «nuda ». Considerato che la signora Camilla era probabilmente la celebre cortigiana Camilla Pisana e la sua cognata una certa Angela, favorita del Farnese, la «nuda » che oggi è appesa al Museo di Capodimonte con il titolo di Danae, sarebbe allora uno spudorato ritratto nudo dell’amante del cardinale, così pornografico che ancora nel 1815, quando fu collocato nella nuova sede del Real Museo Borbonico di Napoli, Ferdinando II lo escluse dal normale percorso museale e lo relegò nel «Gabinetto de’ quadri osceni ». La visita di Michelangelo Il quadro, dunque, era quasi finito quando Tiziano partì per Roma chiamato da Paolo III che gli mise a disposizione una bottega nel Palazzo del Belvedere, in Vaticano. Proprio lì il pittore ricevette la visita di Michelangelo, accompagnato da Giorgio Vasari il quale scrisse che quel giorno videro «in un quadro che allora aveva condotto, una femina ignuda figurata per una Danae, che aveva in grembo Giove trasformato in pioggia d’oro e molto, come si fa in presenza, gliene lodarono ». Per poi aggiungere che, non appena si furono allontanati dalle orecchie di Tiziano, il malmostoso Michelangelo cominciò a criticarlo dicendo che era un peccato che il cadorino non sapesse disegnare. Criticava, cioè, quel modo di dipingere libero, con le pennellate stese alla brava, che sarà proprio la caratteristica dell’ultimo Tiziano e quella che conferiva alla Danae la sua particolare sensualità, di pelle vera, palpitante. Ma è interessante notare che mentre a Venezia quel quadro era per Della Casa una semplice «nuda», a Roma si trasformava, nelle parole del Vasari, in una «femina ignuda figurata per una Danae»: è probabile dunque che nell’ipocrisia dell’ambiente ecclesiastico si fosse ritenuto necessario coprire di dotta decenza quel nudo mascherandolo dietro la storia mitologica raccontata da Ovidio. Fatto sta che da quel momento tutti vollero la loro Danae. Tiziano ne fece prudentemente un cartone che utilizzò ogni volta per accelerare i lavori: la donna veniva replicata con minime varianti, mentre a cambiare erano soprattutto letto, tendaggi, Giove trasformato in pioggia d’oro e la serva che raccoglie le monete. Ogni cliente, così, riceveva una versione diversa e il primo fortunato fu Filippo II di Spagna. Mistero viennese Della Danae in mostra, invece, proveniente da Vienna, non si conosce il committente. Si sa solo che nel 1600 apparteneva al cardinale Montalto il quale la inviò a Praga all’imperatore Rodolfo II. E’ l’unica versione che rechi la firma: Titianus. Aeques. Caes. Chissà, forse un modo di intimidire il committente (erano sempre restii a pagare e quanto bisognava sollecitarli) affermando l’orgoglio di essere Cavaliere dell’Imperatore. Di quel Carlo V spirato contemplando un altro suo quadro, ben più santo: quello della Trinità. Francesca Bonazzoli