La Repubblica 27 gennaio 2008, ANTONIO MONDA, 27 gennaio 2008
Dollari e sogni nella città degli angeli. La Repubblica 27 gennaio 2008. La notte delle stelle nacque come geniale soluzione di distrazione e autocelebrazione durante un momento di crisi, che vide fronteggiarsi, alla fine degli anni Venti, i mogul di un´industria agli albori e le prime organizzazioni sindacali del cinema, che arrivarono a minacciare qualcosa che a Hollywood era inimmaginabile: uno sciopero
Dollari e sogni nella città degli angeli. La Repubblica 27 gennaio 2008. La notte delle stelle nacque come geniale soluzione di distrazione e autocelebrazione durante un momento di crisi, che vide fronteggiarsi, alla fine degli anni Venti, i mogul di un´industria agli albori e le prime organizzazioni sindacali del cinema, che arrivarono a minacciare qualcosa che a Hollywood era inimmaginabile: uno sciopero. Gli argomenti all´ordine del giorno nel conflitto tra major e talents erano la libertà creativa e una ridistribuzione più equa degli incassi all´interno di un´industria che era diventata, in soli trent´anni di vita, la quarta per importanza dell´intera economia americana. Sono passati ottant´anni e lo spettacolo oggi rappresenta la seconda industria per fatturato, ma gli argomenti sembrano sempre gli stessi. Non solo: il colpo mortale inferto recentemente ai Golden Globes e la situazione di tensione e incertezza con cui saranno vissuti quest´anno gli Oscar dimostrano che le crisi rappresentano una condizione perenne nella città degli angeli. Lo strumento di lotta sindacale che portò indirettamente alla nascita dell´Academy of Motion Picture Arts and Sciences può finire per oscurare persino il suo momento di massima visibilità. Sin dalla prima serata, che si tenne il 16 maggio 1929 nella sala da ballo del Roosevelt Hotel, i cosiddetti movers and shakers di Hollywood hanno compreso che la consegna delle statuette creata da Cedric Gibbons avrebbe svolto tre compiti di importanza essenziale per l´intera l´industria: la celebrazione di un mito su cui tutti hanno il diritto di sognare, l´autocelebrazione di un mondo per pochi eletti, e la commercializzazione di questi due elementi. Ogni discorso relativo all´effettivo merito dei premi consegnati nel corso della grande notte hollywoodiana ha sempre avuto un ruolo marginale e, sin da quella prima serata, i duecentocinquanta invitati che assistettero alla vittoria di Ali svolsero alla perfezione il ruolo che erano stati chiamati a interpretare: quello di divinità in grado di dimostrare con il proprio trionfo che l´America è la terra delle opportunità. Che il successo raggiunto poteva essere alla portata di chiunque, ma in quel momento tra loro e il resto del mondo c´era la differenza che passa tra la luce della ribalta e il buio in sala. Chi visita oggi la sede dell´Academy su Wilshire Boulevard, o la Margaret Herrick Library, può rendersi conto che ogni dettaglio è curato per sigillare l´edificazione di un culto: la biblioteca si trova in una costruzione identica a una chiesa e nella quale domina un silenzio sacrale. Nelle vetrine collocate nelle navate, dedicate a Katherine Hepburn e Cecil B. De Mille, campeggiano le ultime immagini di James Dean sul set del Gigante, caricature a firma di Jean Negulesco, e telegrammi con i quali Jack Warner esprimeva la propria preoccupazione per produzioni fuori budget. Il rispetto religioso del cimelio porta a risultati che sfiorano il ridicolo: in una vetrina è esposta la copia del diario di Anna Frank utilizzato nel film di George Stevens. Si tratta di un oggetto realizzato dal reparto scenografia, ma la sua presentazione ha la solennità che si sarebbe usata per l´originale. Hollywood ha bisogno di miti e la serata dell´Oscar è il momento delegato ad assolvere questa esigenza, creando il terreno fertile per la diffusione di piccole e grandi leggende. vero ad esempio che nel 1992 l´Oscar per la migliore attrice non protagonista era andato a Judy Davis per Mariti e mogli, ma che Jack Palance, il quale presentava il premio e aveva bevuto un po´ troppo, annunciò il nome di Marisa Tomei per Mio cugino Vincenzo? Le voci che smentiscono sono numerose almeno quanto quelle che confermano, spiegando che sarebbe stato impossibile recuperare la gaffe di fronte a più di un miliardo di telespettatori dopo che la Tomei era salita esultante sul palco. Ma proprio Hollywood, per bocca di un gigante come John Ford, ha spiegato che quando la leggenda supera la realtà è necessario stampare la leggenda. Sin dai primi anni le scelte dei film da premiare hanno dato la sensazione che le motivazioni obbediscano a criteri industriali. Nessuno che conosca il cinema può pensare che Com´era verde la mia valle è preferibile a Quarto Potere e Shakespeare in love a Salvate il soldato Ryan e La sottile linea rossa. Eppure le vicissitudini amorose di Shakespeare hanno prevalso sui due grandi film di guerra di Spielberg e Malick grazie a una campagna estremamente aggressiva della Miramax. Nessuno può giudicare The Departed il film migliore di Scorsese, eppure il regista è stato premiato proprio per quel film, dopo essere stato sconfitto per ben sei volte, due delle quali da attori passati alla regia come Robert Redford (Gente comune nell´anno di Toro scatenato) e Kevin Costner (Balla coi lupi nell´anno di Good Fellas). Nella storia degli Oscar non mancano annate in cui i film scelti erano di indubbia qualità (basti pensare a Il Padrino, e a Il cacciatore), e altre in cui le candidature hanno messo a confronto pellicole di prima grandezza: nel 1939 Via col vento prevalse su Ombre rosse e Mr. Smith va a Washington, mentre nel 1975 Qualcuno volò sul nido del cuculo ebbe la meglio su Nashville e Barry Lindon. Non meno discutibili le premiazioni nel campo della recitazione, dove dominano scelte dettate dall´interesse di mercato o dai buoni sentimenti: specie nelle categoria dei non protagonisti l´Oscar è andato quasi sempre a giovani talenti da lanciare o veterani da consolare. Ma per comprendere i risultati è necessario capire come funziona la macchina degli Oscar: hanno diritto al voto seimilacinquecento membri dell´Academy, eletti per essere stati a loro volta nominati o proposti - per meriti artistici o produttivi - da almeno due altri membri. L´Academy è divisa in quindici dipartimenti, che rispecchiano le rispettive qualifiche professionali dei singoli partecipanti. Tutti i seimilacinquecento membri votano per il "miglior film", mentre ognuno vota per la categoria di cui fa parte: considerando che alcune categorie sono ulteriormente divise, il numero totale dei premi è ventiquattro. Sulla carta il meccanismo è più affidabile di quello delle giurie dei festival, ma non si può sottovalutare l´impatto di campagne promozionali miliardarie e la pressione delle major, che hanno facile gioco sugli artisti sotto contratto. Nel periodo che va dalle feste natalizie all´ultimo giorno utile per il voto, i membri dell´Academy sono inondati di dvd, materiale pubblicitario e inviti a cocktail e feste il cui unico senso è quello di spostare voti a favore di un film. certamente apprezzabile che quest´anno sia stato riconosciuto il valore del Petroliere di P.T. Anderson o di Non è un paese per vecchi dei Coen, con otto candidature a testa, ma sarà sufficiente la qualità di queste pellicole contro la forza contrattuale di major quali la Warner Bros (Michael Clayton) e la proposta ammiccante di Espiazione (tratto da Ian McEwan) che sembra concepito appositamente per la notte degli Oscar? I risultati "storici" offrono un´interessante lettura sociologica riguardo ai generi dei film prediletti: le pellicole che hanno avuto il maggior numero di candidature nella categoria "miglior film" sono quelle biografiche (una settantina di nomination con una dozzina di vittorie), seguono i film di guerra (59 candidature e 14 vittorie). Meno rappresentate le commedie e i musical, i film di avventura e i western: l´Academy sembra prediligere la storia e l´epica moderna, rifiutando invece, insieme ai toni leggeri, quella delle origini del proprio Paese. Esistono alcuni personaggi che sembrano garantire la nomination, ed è interessante notare che si tratta spesso di sovrani: Enrico VIII, che ha regalato una candidatura a Charles Laughton (1933), Robert Shaw (1966) e Richard Burton (1969); Enrico II (a Peter O´Toole, che lo interpretò in Becket nel 1964 e nel Leone d´inverno nel 1968); ed Enrico V che ha consentito sia a Laurence Olivier (1946) che a Kenneth Branagh (1989) di conquistare i votanti con il discorso prima della battaglia di Agincourt. I membri dell´Academy sono consapevoli di essere a loro volta degli happy few, ma a distanza di decenni sembrano appassionarsi sempre agli stessi ruoli. il caso di Cyrano (Jose Ferrer e Gerard Depardieu) e del campione di biliardo Eddie Nelson, che garantì una nomination a Paul Newman per Lo spaccone nel 1961 e poi un Oscar nel 1986 per Il colore dei soldi. L´Oscar è per natura conservatore, ma non è ostile alla ricezione graduale delle novità: la rivoluzione stilistica di Pulp Fiction arrivò nell´anno di Forrest Gump, ma il film di Tarantino (che pure ottenne sette candidature) perse contro quello di Zemeckis. Questo approccio conservatore si riflette anche nell´organizzazione della serata, sostanzialmente identica da quando è stata trasmessa in televisione, ma anche in questo caso dominano le motivazioni commerciali: il premio, che tradizionalmente era consegnato di lunedì, da una decina di anni è stato spostato alla domenica per garantire una migliore audience televisiva, mentre la data, che coincideva con l´ultima settimana di marzo, è stata anticipata di un mese per allungare lo sfruttamento economico dei film premiati prima delle uscite estive. Non si deve mai dimenticare che stiamo parlando dell´unico luogo al mondo in cui l´espressione "fabbrica dei sogni" non è un ossimoro ma una realtà autentica e vincolata al profitto. E neanche il più esperto dei produttori è esente da fiaschi inaspettati e clamorosi. questo il motivo per cui si assiste a decisioni produttive rivoluzionarie, che hanno portato a premiare - almeno nelle nomination - film importanti e per nulla mainstream quali Il petroliere, o, nel recente passato, Magnolia, I Tenenbaum, Fargo, Mulholland Drive, e Blue Velvet. Gli Oscar sono anche questo, ed è difficile resistere all´idea che la grande notte con i suoi film ci continui a regalare un´idea tangibile e seducente di cosa sia la materia di cui sono fatti i sogni. Antonio Monda