La Repubblica 27 gennaio 2008, SANDRO VIOLA, 27 gennaio 2008
La sfrenata e cupa agonia sovietica. La Repubblica 27 gennaio 2008. Quando Leonid Breznev muore, il 10 novembre 1982, anche l´Urss è ormai un cadavere
La sfrenata e cupa agonia sovietica. La Repubblica 27 gennaio 2008. Quando Leonid Breznev muore, il 10 novembre 1982, anche l´Urss è ormai un cadavere. L´esercito russo è impantanato nelle montagne afgane, incapace di tener testa alla guerriglia anticomunista. L´economia è in ginocchio: non c´è innovazione, la produttività del lavoro cala a picco, la spesa militare ha strangolato il po´ d´industria leggera che s´era vista tra l´inizio e la metà dei Settanta. Aumenta la mortalità infantile, mentre la durata della vita dei russi s´accorcia paurosamente. All´ultimo congresso del partito viene annunciato, come ai tempi della Grande Fame nei primi anni Venti, l´ennesimo «piano alimentare». I negozi sono infatti vuoti, le penurie che la popolazione sopportava da sempre sono adesso divenute miseria. Miseria dell´abitare, del vestire, del mangiare, del vivere. Quando a Mosca si va in casa d´un amico, in uno di quegli appartamenti angusti, soffocanti, dove vive l´intellighenzia, l´amico ci accoglie con una frase che stringe il cuore: «Scusa la nostra miseria sovietica». La rivolta polacca, nonostante i capi di Solidarnosc siano in galera, ha aperto nell´impalcatura dell´Impero sovietico una breccia irreparabile, che ne determinerà più tardi il crollo. La corsa agli armamenti con gli Stati Uniti è ormai perduta. Nell´82, al suo diciottesimo anno come Segretario generale del partito e capo dello Stato, Breznev è un malato terminale. Ha sì e no un´ora di lucidità al giorno, e quando è costretto a camminare deve essere sostenuto da ambedue i lati. Poche settimane prima della sua morte, a Varsavia, lo vediamo entrare in un teatro. Gli tolgono prima il cappotto, poi il colbacco, quindi un agente della sicurezza tira fuori un piccolo pettine e gli aggiusta i capelli. Lui è inerte, lo sguardo perduto nel vuoto. Le briglie con cui il partito e la polizia politica avevano tenuto il paese, si sono intanto allentate. L´epoca del terrore di massa s´era conclusa con la morte di Stalin e di Beria, ma per i successivi vent´anni la persecuzione dei dissidenti era proseguita durissima. Un gesto, qualche parola in contrasto col conformismo imperante potevano ancora costare il posto di lavoro. La censura sui libri, il cinema, i giornali e la televisione restava arcigna, implacabile. Ma dalla metà dei Settanta l´atmosfera cambia. Il Kgb fa sempre meno paura (davanti agli alberghi per stranieri le pattuglie di polizia riscuotono una taglia dalle prostitute), la corruzione dilaga a tutti i livelli del partito. Si vendono le direzioni dei kolkoz e sovkoz, le cariche di primo segretario distrettuale del partito e di rettore dell´università, l´assoluzione degli imputati e i letti negli ospedali, mentre nelle repubbliche periferiche si vendono sinanche i posti di ministro. Chi paga grosse cifre per ottenere un incarico politico, o un posto di dirigente nella struttura agricolo-industriale, o una nomina nell´apparato giudiziario sa che in poco tempo - imponendo a sua volta una taglia per ogni pratica giunta sulla propria scrivania - potrà moltiplicare da venti a cento volte la cifra che ha sborsato. E in certi casi molto di più. In seguito ad una delle rare inchieste contro la corruzione che non viene bloccata dai vertici del partito, si scopre per esempio che il segretario d´un comitato distrettuale di Baku nell´Azerbajan, tale Mamedov, ha depositato su una banca di Mosca 195mila rubli, equivalenti a centosessanta anni di paga per un operaio non specializzato. Negli ultimi anni di Breznev la gente sa bene che la nomenklatura ha perso ogni ritegno, e che sullo sfondo dello sfascio generale sta ora pensando soltanto ad accumulare danaro in combutta con gli speculatori o addirittura i criminali. Non si tratta d´una normale "fin de regne": è qualcosa di più sfrenato e cupo. Le bande prevalentemente caucasiche, che dieci anni più tardi renderanno la Mosca di Eltsin molto simile alla Chicago di Al Capone, sono già attive attorno alla salma della «patria del socialismo». Alle loro feste partecipano i figli e le amanti di altissimi esponenti della nomenklatura. Ed è in questo contesto che viene a galla lo scandalo della figlia di Breznev, Galina. Galina aveva avuto tre mariti: un acrobata e poi un prestigiatore del Circo di Mosca, e un tenente colonnello della polizia, Yurij Ciurbanov, tutti molto più giovani di lei (la differenza d´età con Ciurbanov, che dopo il matrimonio diventa vice-ministro degli Interni, era di sedici anni). Avida, alcolizzata, ribelle, la figlia del terzo successore di Lenin s´innamora agli inizi dell´82 di Boris Burjata detto lo Zingaro, un bel ragazzo di ventun anni più giovane. Così come Galina, anche lo Zingaro ha la passione dei diamanti. Incuranti dei controlli cui sono sottoposti, i due inscenano sera dopo sera le feste più costose e memorabili di tutta la storia dell´Urss. Sinché una sera la polizia perquisisce la casa di Burjata, e vi trova un sacchetto di diamanti rubati qualche tempo prima a un´ex domatrice di leoni. Lo Zingaro viene arrestato, e la stessa notte muore, misteriosamente, in prigione. Qualche settimana dopo si suicida il cognato di Breznev e vice-capo del Kgb, Alexandr Cvigun. E tre anni più tardi, con Gorbaciov al potere, finisce in galera il marito di Galina, Ciurbanov. Il tanfo che emana da questa vicenda serve a cogliere il degrado morale e insieme il sentimento d´impunità cui era giunta la nomenklatura. Il tramonto dell´epoca di Breznev aveva infatti chiarito tutto quello che c´era ancora da chiarire: il fallimento dell´Idea, la dissoluzione del Sistema, e la catastrofe che la Russia aveva conosciuto dall´ottobre 1917 in poi. Sandro Viola