Corriere della Sera, 31/1/2008., 31 gennaio 2008
Per favore chiunque faccia il governo ci risparmi la rituale esposizione di programmi, di pacchetti d’intervento, di agende degli impegni urgenti, di decaloghi o dodecaloghi su cui stabilire intese e convergenze
Per favore chiunque faccia il governo ci risparmi la rituale esposizione di programmi, di pacchetti d’intervento, di agende degli impegni urgenti, di decaloghi o dodecaloghi su cui stabilire intese e convergenze. Capisco bene che un tapino che si presenti in Parlamento per chiederne la fiducia debba scrivere e leggere qualche pagina su quel che intende fare; ma la tentazione programmatoria non ha portato quasi mai bene. E non per motivi di pura iella, ma più semplicemente perché ogni elenco di intenzioni, anche il più conciso, è destinato ad essere tirato da tutte le parti; annulla di conseguenza ogni capacità di sintesi e di leadership; finisce per diventare la prova documentata del non governo. Mi ha molto colpito che Silvio Berlusconi si sia avviato all’ultimo weekend con l’annuncio che avrebbe letto i 300 punti del Rapporto Attali, e che il lunedì successivo abbia dichiarato con calma che non era proprio aria di tentare analoghi esercizi. L’uomo è più furbo e lucido di molti opinionisti di professione. Chiunque faccia il governo esprima quindi non più di due, al massimo tre intenzioni. Le scelga bene, magari rischiando (ci metto o non ci metto la soluzione del problema rifiuti in Campania?), e le blocchi come i soli punti su cui si chiede prima la fiducia e poi il giudizio successivo; altrimenti tutto diventa elenco incontrollabile ed ingiudicabile. Oserei dire addirittura qualcosa di più concentrato: ai due-tre punti di impegno operativo accompagnerei un messaggio "compatto". La gente ha bisogno oggi di non sentirsi vuota nel vuoto della politica, ha bisogno che qualcuno le dia un messaggio "di pieno": non è detto che si debba scendere sempre verso il peggio; non abbiate paura; ce la possiamo fare; abbiamo sempre dato il meglio nelle situazioni di crisi; non facciamoci prendere dalla depressa tristezza di cui ci accusano i giornali stranieri; dimostriamo ancora una volta che "ci vuole vita per amare la vita"; attingiamo ancora al barile della nostra vitalità primordiale. Uno di questi messaggi (o un altro trovato altrove) deve essere la lunghezza d’onda con cui il nuovo Presidente del Consiglio può tentare di stabilire un rapporto emotivo con la gente. Certo sarà preso ed oppresso dai rapporti di forza parlamentari, forse dovrà accedere a qualche non commendevole transazione, ma si prenda la libertà di presentarsi solo e soltanto con tre intenzioni e un messaggio collettivo. Del resto è forse questo il contributo vero che noi "settantenni" possiamo dare in questo momento: parlare con semplicità alla gente, oltre ogni politichese condizionamento di agende non rispettabili. Se non ora quando, stimati coetanei? Giuseppe De Rita