Ventiquattro 1 febbraio 2008, Flavia Foradini, 1 febbraio 2008
Prezzemolo Blues. Ventiquattro 1 febbraio 2008. «Quelli del supermercato non vanno bene per niente
Prezzemolo Blues. Ventiquattro 1 febbraio 2008. «Quelli del supermercato non vanno bene per niente. Non sono croccanti, sono inaffidabili, si spaccano nel bel mezzo della costruzione o del concerto. È al mercato che bisogna andare», dice deciso Ernst Reitermaier - studi di filosofia, musica e management culturale alle spalle -, spiegandomi l’abc dell’arte di cavare musica dagli ortaggi. E aggiunge: «Devono avere la forma giusta, essere sodi, resistere al trapano». Al trapano? «Certo, come lo ricavi altrimenti un flauto da una carota? O un tamburo da una zucca? O una maraca da un sedano rapa?». È spiazzante l’inizio del colloquio sul primo decennale della Vienna Vegetable Orchestra, l’unico gruppo al mondo che suona strumenti ricavati solo da ortaggi e poi se li mangia assieme al pubblico dopo il concerto. Solo ortaggi? Frutta no? «Non abbiamo esaurito tutte le possibilità offerte dagli ortaggi, è un campo vastissimo, c’è ancora tanto da scoprire, per ora ci interessa quello, perciò verdura e basta», ribatte compunto Reitermaier. Gli undici giovani che compongono l’orchestra vengono da svariate esperienze professionali - musica, soprattutto, e arti applicate, architettura, pittura, informatica, pedagogia - ma sono tutti fondamentalisti della ricerca come lui. Ogni settimana si ritrovano nel quarto distretto viennese in un ufficio-sala prova che ha l’aspetto di un dimesso rifugio per hippy post litteram: salottino sgangherato, mobiletti di risulta, scaffaloni stipati di scatole, un frigo che se lo apri deborda di verdura, computer, microfoni e impianto fonico, matasse di cavi, il fornello da campo che serve per preparare la zuppa di verdura a ogni concerto. In un angolo è sempre pronta la valigia rigida con i trapani a batteria e gli altri strumenti di lavoro - scalpelli, coltellini, grattugie: «Abbiamo già avuto problemi in aeroporto: di questi tempi non è facile far capire perché ci portiamo appresso quegli attrezzi». La prima tappa dei rito settimanale del manipolo di trentenni - «Siamo un collettivo, discutiamo molto e ci piace», dicono -, è il Naschmarkt, il mercato storico e il più bello di Vienna, dove effettuano acquisti mirati talvolta al tipo di musica che è in programma, talvolta all’approfondimento delle possibilità di uno strumento in tutte le sue varianti costruttive: dal Gurkophone (carota+cetriolo+ peperone) al Paprikatröte (carota+peperone), al Lauchgeige (violino ricavato da un porro), alla Melanzaniklappe (nacchera ritagliata da una melanzana). Una volta posata la borsa della spesa, un concentrato ronzio e picchiettio dà forma agli strumenti, cui segue la prova vera e propria, con i musicisti muniti di cuffie da ascolto, per non perdere le sonorità trasmesse dai piccoli microfoni a contatto, applicati agli strumenti: «I fili dei sedano, ad esempio, hanno un suono stupendo, ma sono fragili. Per ricavarli si possono usare solo le foglie esterne e comunque si spezzano facilmente», dice Jürgen Berlakovich, filosofo e musicista. E se succede che si fa? «Si improvvisa. lì il bello: un concerto è anche una corsa senza rete contro la morte. Quando uno strumento si disfa produce aroma e l’esperienza del pubblico si arricchisce, diventando anche olfattiva. Ed è a questo punto che la platea comincia a pregustare la zuppa finale», spiega Reitermaier. Per le loro incursioni nella sofisticata arte dei suoni gli undici autodidatti hanno guardato ai futuristi, in particolare a Russolo, ma anche a John Cage e al gruppo dei Kraftwerk, e hanno sviluppato un metodo di notazione, fatto di piccoli segni per iniziati, volti a permettere di ricostruire con precisione ritmi, durate, cadenze, pause, clangori, strombettii, ciangottamenti, sibili, ciottolii, frascheggi, fruscii. «Ha presente il bisbiglio del prezzemolo?», dice Berlakovich con aria vagamente inquisitoria. E al mio sguardo in cerca di salvezza spiega paziente: « semplicemente sensuale. Va amplificato come si deve, ma è una meraviglia, delicato, vibrante». «Le cipolle producono una sorta di stropiccìo molto simile a quello delle foglie più robuste della verza, che vanno sfregate contro la palla compatta dell’ortaggio per produrre un lieve sfrìgolio», gli fa eco Susanna Gartmayer, clarinettista e sassofonista. Il flusso di informazioni è surreale: «L’ortaggio più veloce da preparare sono i pomodori, che però devono essere rigorosamente olandesi - specifica Reitermaier -. I San Marzano sono perfetti in padella, ma per i nostri scopi non vanno bene, troppo asciutti». L’umidità, come del resto la temperatura, sono fattori importanti nella creazione dei paesaggi acustici della Vegetable orchestra: «Un cetriolo, o un pomodoro appunto, sono tutt’altra fonte sonora rispetto a una carota o una melanzana». «A proposito di melanzana - racconta Jürgen Berlakovich - la settimana scorsa mi è successa una cosa magnifica: me ne è scoppiata una nel forno». «Ti devo regalare un ricettario?», gli chiede Susanna con un sorriso ironico. «Ma no - ribatte Jürgen -, è stato affascinante. Ha fatto un botto. Dopo aveva la buccia di una consistenza particolare, dura ma elastica, penso che dovremmo ripetere l’esperienza e provare a usare le melanzane anche come tamburi». Sono proprio le percussioni, assieme ai fiati, gli strumenti più riusciti dell’orchestra viennese, di casa indifferentemente al Konzerthaus di Vienna, al Festival di Pasqua di Salisburgo, allo Shanghai Art Center, alla Royal Festival Hall di Londra, alla Philharmonie del Lussemburgo e nei festival di musica contemporanea o nelle cantine jazz. «Facciamo musica ritmata dalle percussioni, usiamo molto i fiati, giustapponiamo piani acustici diversi, ma ci apriamo anche alle improvvisazioni, spaziando dal melodico al jazz. Abbiamo in repertorio pure la Marcia di Radetzky, ma è un’eccezione, cose così non ne faremo più, anche se la gente si diverte». Allora nessun concerto vegetale di Capodanno in futuro? «Per l’amor di Dio, no! Preferiamo musica originale, creata da noi. E badi bene: ho detto musica», chiarisce Reitermaier. Allora approfondiamo: di Mozart che pensa la Vegetable Orchestra? «Niente - replicano laconici -, Per noi Vienna è Schönberg e Berg». Votati alla sperimentazione, concreti e per nulla gigioni nonostante la loro indiscussa originalità, con modestia gli undici giovani mostrano i due cd prodotti finora - Gemise (1999) e Automate (2003) - e i tre dischi della compilation tedesca per discoteca Remix, che quattro anni fa ha utilizzato come base la loro musica, trasformandola in sonorità techno: «Quando i ragazzi ballano in discoteca neanche sanno che è musica vegetale, ma fa niente», dicono senza biasimo. Sono puristi, i musicisti della Vegetable Orchestra, pur con qualche concessione. Gli ortaggi, per esempio, devono essere di stagione e ignari di esotismi: «Però non siamo nazionalisti», precisano, anzi danno spazio a esperimenti con verdure dei Paesi in cui tengono concerti o workshop. Sulla scelta degli strumenti qualche volta fanno strappi alla regola: «Abbiamo un brano in cui compaiono i trapani, e qualche volta abbiamo usato cucchiai di legno, ma sono casi isolati», puntualizza Berlakovich. Non transigono invece sui colori. Nelle loro performance si vestono rigorosamente di nero «per far risaltare gli ortaggi», e il Gurkophone lo costruiscono solo con peperone rosso o giallo innestato sul verde del cetriolo. Anche le proiezioni che fanno da sfondo ai concerti sono calibrate in modo tale da richiamare le forme della natura: ortaggi, ortaggi e ancora ortaggi. E dire che nessuno di loro si professa vegetariano. Flavia Foradini