Giornali Vari, 28 gennaio 2008
Anno V - Duecentoquattresima settimanaDal 21 al 28 gennaio 2008Anche questa settimana, essendo caduto il governo, ci spiegheremo forse meglio raccontando la storia giorno per giorno
Anno V - Duecentoquattresima settimana
Dal 21 al 28 gennaio 2008
Anche questa settimana, essendo caduto il governo, ci spiegheremo forse meglio raccontando la storia giorno per giorno.
Lunedì 21 Clemente Mastella annuncia che il partito di cui è capo - l’Udeur - non appoggerà più Prodi. Si ricorderà che Mastella era il ministro della Giustizia. La procura di Santa Maria Capua Vetere gli aveva arrestato la moglie, mettendola ai domiciliari, e aveva fatto sapere che lui stesso era indagato per sette reati. Di conseguenza, lui s’era dimesso. Adesso Mastella vorrebbe dal governo una solidarietà totale, comprendente cioè la condanna della magistratura. Questo tipo di solidarietà, però, non può dargliela nessuno. E così lui decide: noi dell’Udeur il governo Prodi non lo sosteniamo più.
Martedì 22-Mercoledì 23 Prodi parla alla Camera, esalta l’azione del suo governo e chiede il voto di fiducia. Lo ottiene facilmente (326 sì, 275 no). L’Udeur ha misteriosamente disertato la votazione, cosa che fa pensare a ripensamenti o mercanteggiamenti di Mastella. Girano in effetti voci di tutti i tipi: ItaliaOggi scrive che Prodi, per recuperare Mastella, ha promesso trenta cariche pubbliche di peso al suo partito. Il Sole 24 Ore sostiene che per passare con Berlusconi (o per restare col centro-sinistra) Mastella pretende la garanzia di 20 deputati e 10 senatori (adesso sono 10 e 3). Smentite furibonde da tutte le parti. Mastella giura che al Senato, se Prodi si ripresenta, voterà ”no”. Napolitano, ancora mercoledì sera, cerca di convincere Prodi a dimettersi subito, accontentandosi della fiducia dei deputati: una bocciatura certificata a Palazzo Madama renderebbe più difficile un reincarico e in ogni caso sancirebbe una rottura tra l’Udeur e il centro-sinistra, rottura che sarebbe poi assai difficile ricucire durante la crisi. Prodi non ne vuole sapere. I due litigano, questo fa capire a tutti che un reincarico non ci sarà.
Giovedì 24 Alle 20.43, come previsto, Prodi va sotto al Senato (161 no, 156 sì) e sale al Quirinale per dimettersi. Seduta parecchio buffa. I tre diniani votano in tre modi diversi: Dini no, D’Amico sì, Scalera astenuto. Il senatore Cusumano, dell’Udeur - il partito di Mastella - annuncia all’aula che, nonostante tutto, voterà sì. Il suo compagno di partito, senatore Barbato, gli si scaglia allora contro: «Traditore, venduto, pezzo di merda». La parte destra dell’assemblea, in coro: «Cesso, troia, frocio, checca». Invano il presidente Marini scampanella. Cusumano sviene, e lo portano via in barella. I cronisti, i cameramen assediano il senatore Barbato. Barbato: «Ma figuriamoci, quello sviene tutti i giorni». Cossiga rilascia una dichiarazione alle agenzie in cui si compiace della rissa dicendo che finalmente è tornata la prima Repubblica. Passa un’altra mezz’ora e arriva la notizia dell’espulsione di Cusumano dal partito. Alle 19 e 03, la nota di protesta dell’Arcigay, indignata «per l’inqualificabile teatrino omofobico». Alle 20.43, quando Marini legge i risultati, la parte destra dell’assemblea stappa bottiglie di champagne e le rovescia sui banchi e sulle giacche degli onorevoli. Il senatore Strano, di An, si fa fotografare mentre per la gioia divora e mastica a bocca aperta, con gran gusto, fette su fette di mortadella.
Venerdì 25 Mentre Napolitano comincia le consultazioni, la crisi appare di esito molto incerto, anche se le posizioni di tutti sono stranamente chiarissime:
Prodi: dice che non vuole reincarichi, se ne torna a Bologna, sostiene di voler fare solo il nonno. In una riunione del Pd, tenuta subito dopo la crisi, pronuncia un discorso cauto, in cui ammette che andare alle elezioni sarebbe un guaio (quando era ancora in sella aveva sostenuto il contrario, minacciando che avrebbe persino fatto lista a sé).
Berlusconi: vuole le elezioni immediatamente e, almeno per quanto se ne sa fino a questo momento, non sente ragioni. I sondaggi dànno al centro-destra un vantaggio minimo di dieci punti, una maggioranza sicura alla Camera, una maggioranza al Senato che può arrivare a 30 seggi. In una dichiarazione dice anche che, una volta riconquistato Palazzo Chigi, sarà disponibile anche a un governo di «responsabilità nazionale», cioè è pronto a chiamare a farne parte anche qualcuno della sinistra (qui c’è l’esempio di Sarkozy, che in Francia ha insediato una commissione allargata a personalità dell’opposizione per studiare le riforme necessarie all’ammodernamento dello Stato: questa commissione, che ha finito il suo lavoro in 90 giorni, è presieduta da Jacques Attali).
Veltroni: vuole un governo istituzionale che cambi la legge elettorale prima del referendum e modifichi almeno certi punti del regolamento della Camera. Pur di evitare le elezioni, ha fatto sapere che accetterebbe anche un governo Letta, cioè un governo diretto da Gianni Letta, il braccio destro di Berlusconi, mediatore instancabile e già sottosegretario alla presidenza del Consiglio nella scorsa legislatura. Avendo Berlusconi risposto: «Non se ne parla nemmeno», il segretario del partito ha preparato un piano B, da far scattare se si andrà alle elezioni anticipate. Qui le opzioni sono due: o rifare la grande ammucchiata cementata dall’antiberlusconismo che portò alla stentata vittoria del 2006 (linea di Prodi prima della crisi); oppure correr da soli, secondo l’annuncio di sabato 19. I cavalli di razza del partito, all’inizio assai perplessi, stanno convergendo su quest’ultima posizione, con questa sola correzione, proposta da Fassino-D’Alema e accettata da Veltroni: noi facciamo il programma e se qualcuno ci sta venga con noi. Quello che deve finire - dicono - è la straziante mediazione tra decine di formazioni che poi produce programmi da 280 pagine impossibili da applicare.
Casini: vuole un governo di ”responsabilità nazionale” che faccia le riforme eccetera. Il vero scopo è guadagnare tempo per mettere insieme la famosa Cosa Bianca, il partito di centro con Pezzotta, Mastella, forse Montezemolo, partito che potrebbe evitargli di risalire (mestamente) sulla barca del Cavaliere. Berlusconi non ha nessuna intenzione di concedergli questo tempo, e Veltroni nemmeno. Con Veltroni si sono sentiti di continuo e quando il segretario del Partito democratico gli ha chiesto se avrebbe appoggiato un governo di transizione, Casini ha risposto: «Se Berlusconi non ci sta, no. Non posso spingermi fino a questo punto». Gli elettori dell’Udc, infatti, sono comunque italiani di destra.
Bertinotti: vuole un ”governo di scopo” (ognuno indica con un’espressione diversa la stessa cosa) che faccia la riforma elettorale eccetera. Obiettivo n. 1: evitare il referendum. Obiettivo n. 2: riunire gli altri tre partiti della sinistra (Verdi, Diliberto, Mussi). Le elezioni quindi gli vanno benissimo, anche se ancora non lo dice. Con lo scioglimento delle Camere, infatti, il referendum sarà rinviato di un anno e, vigendo l’attuale legge elettorale, le quattro formazioni rosse saranno costrette a far lista comune, per non disperdere voti (tranne separarsi subito dopo, se nel frattempo non sarà riuscito a far cambiare il regolamento della Camera). Anche Bertinotti esclude di far causa comune con Veltroni. Vuole - è l’obiettivo n. 3 - recuperare tutta la sua capacità di manovra nel sociale.
Sabato 26-lunedì 28. Napolitano continua le consultazioni. Intanto Prodi fa sapere che, nell’ambito dei poteri che gli restano per la gestione dell’ordinaria amministrazione, ha pronto un decreto per destituire il governatore della Sicilia, Cuffaro, condannato a cinque anni in primo grado per concorso esterno in associazione di stampo mafioso. Cuffaro, contro il quale è in corso anche una forte campagna di stampa, si dimette. un uomo dell’Udc, cioè un altro guaio per Casini. Sarà costretto a candidarlo alle prossime elezioni, probabilmente per il Senato.