Pino Corrias, la Repubblica 31/1/2008, pagina 17., 31 gennaio 2008
Erba di Corrias. la Repubblica, giovedì 31 gennaio Como - Il delitto brucia. E bruciando illumina
Erba di Corrias. la Repubblica, giovedì 31 gennaio Como - Il delitto brucia. E bruciando illumina. Il lampo generato da Rosa e Olindo ci riguarda. Occhi, taccuini, telecamere, da due giorni registrano, nel tribunale di Como, quella scia rovente di luce e di furore che ancora ci irradia. Il mistero che li avvolge dentro la gabbia e che li tiene perfettamente isolati dal rumore di fondo dell´aula - lei in maglioncino azzurro, lui con la sua faccia di lana grossa - viene dalla lontananza di quella strage rivendicata con un certo orgoglio: «Li abbiamo uccisi come conigli. Se lo meritavano. Nessun rimorso». A spaventarci (e a confonderci) non è solo il sangue di quello sterminio all´arma bianca e casalinga: una spranga, un coltello da cucina, i guanti per lavare i piatti. Né lo spettacolo che se n´è allestito davanti agli occhi finalmente spaesati di Azouz Marzouk, il vedovo, e ai molti familiari delle vittime, arrivati dal silenzio di questi mesi e sempre composti in aula, sempre attenti, qualche volta commossi. Ma anche e specialmente la leggerezza con cui adesso, Olindo e Rosa, da imputati rei confessi, interpretano il loro colpo di scena narrativo: «Abbiamo mentito, non siamo stati noi. Siamo stati fraintesi. Siamo innocenti» con un ribaltamento da playstation, quando è finita la partita e si riprova con un´altra: game over. Allo stesso modo ci spaventa non solo il movente da nulla che li ha mossi, quella goccia quotidiana di rumori, dispetti, insofferenza che li ha imprigionati fino al panico. Ma anche e specialmente la velocità con cui quel panico è dileguato e che oggi li lascia completamente vuoti, indifferenti agli sguardi del mondo, alle raffiche dei fotografi, alle parole dell´accusa e della difesa, alla testimonianze di quel mondo di prima, gli altri vicini di casa, chiamati a rievocare le fiammate di quella contesa e dell´incendio, i litigi, le denunce contro Raffaella, «la ragazza viziata», «quella ricca e prepotente, che era tutta sbagliata». Il loro spazio perimetrato e chiuso funziona ancora. Pregasi non disturbare. Contenti di come hanno saputo arredare il loro isolamento. Come raccontano i loro verbali di ieri. Per esempio Rosa ai magistrati, parlando del loro divano bianco e del muro in pietra in camera da letto: « proprio bella la nostra casa, signor giudice, non so se l´ha vista… No? Be´ peccato». Con il camper che li aspettava in cortile, succursale su ruote del loro appartamento, per certe gite domenicali verso Bormio e la Svizzera, «a guardare un po´ il mondo», ma sempre dietro a un vetro e a una serratura, per difendersi dal mondo. Salvare tutto, perdendo tutto. «Così abbiamo capito che avevamo solo due alternative, o andarcene, o farli fuori» dirà Olindo, occhi fissi alla telecamera che lo registra, durante la perizia in carcere del professor Massimo Picozzi. «Se Raffaella lasciava la sua casa e se ne andava, non succedeva niente. Ma no. Lei era abituata che l´aveva sempre vinta». Vincere, perdere. Uccidere. Ancora Olindo nella sua ultima confessione: «Siamo arrivati al punto che non ce ne fregava niente delle conseguenze. In macchina io avevo un grosso ferro. Lo tenevo lì, sotto il sedile perché in giro non si sa mai. Prendo quello. Mia moglie il coltello. Ma il coltello era per difendersi, così almeno avevamo in testa… Poi dopo ci siano scatenati e abbiamo fatto la strage». Odio, dicevano i latini è ira invecchiata. Che mai si acquieta se non con il disfacimento del nemico. Il disfacimento del nemico. In una guerra domestica che all´apparenza assomiglia a migliaia di altre contese, sparse come i pixel di Google Earth quando si allargano a voragine. Imperfezioni della convivenza, prossimità elettrica dei caratteri e delle prepotenze, delle incompatibilità, che stavolta arriva al corto circuito, a quel lampo di energia che mette in moto la vendetta, la arma, le fa imboccare quelle due rampe di scale che conducono al primo piano. «Così appena entrato nella casa gli ho dato una stangata. Madre idem. Mia moglie è andata di là e ha sgozzato il bambino. Poi il fuoco». Il delitto brucia. E bruciando illumina solitudini troppo segrete. Ossessioni. Fili sociali che si perdono in paesaggi di immensa provincia e benestante. Vite serializzate dentro a paesi senza più identità. Paesaggi e strade provinciali replicate all´infinito allineando scatole multipiano, capannoni, centri commerciali. Paesaggi di massima indifferenza che adesso ricompaiono come fondale di questa storia da Nord Italia anche se non la spiegano, non del tutto, almeno. Molto diceva un titolo della Padania, all´epoca dell´arresto: «Du´ di nos», due dei nostri. Mentre intorno il processo ha già imboccato un suo rito quotidiano, altro che show, dove i fatti rimpiazzeranno i fantasmi, le domande avranno risposte, e tra uno spavento e l´altro gli avvocati faranno ressa nella pausa caffè. Pino Corrias