La Repubblica 26/01/2008, FRANCESCO MERLO, 26 gennaio 2008
Romano, ultimo atto un vitalizio a Trincale. La Repubblica 26 gennaio 2008. Il merito è tanto grande quanto è piccolo il suo costo, mille euro al mese, che al vecchio cantastorie di strada Franco Trincale servono per restare in scena con un po´ di serenità, e al governo Prodi per uscire di scena con un po´ di dignità
Romano, ultimo atto un vitalizio a Trincale. La Repubblica 26 gennaio 2008. Il merito è tanto grande quanto è piccolo il suo costo, mille euro al mese, che al vecchio cantastorie di strada Franco Trincale servono per restare in scena con un po´ di serenità, e al governo Prodi per uscire di scena con un po´ di dignità. Muore dunque il governo non nel modo nevrotico e frastornato in cui è vissuto, ma in quello ingenuo e fragile in cui era nato, a conferma che la fine è la perfezione dell´inizio o, se preferite, che solo la morte chiarisce le ragioni della nascita. Dunque ieri mattina il Consiglio dei ministri si è dato tempo, prima di morire, di assegnare il vitalizio previsto dalla legge Bacchelli a Franco Trincale, 74 anni, una barba da profeta, siciliano di Militello, lo stesso paese di Baudo. il cantastorie o contastorie - il solo rimasto - che dal 1958 annusa e perlustra i fatti di cronaca e li illustra pure con i famosi retablo per guadagnarsi la giornata e divertire la gente. Trincale si esisbisce in piazza del Duomo ai piedi del Sagrato, di tutto cantando e su ogni cosa moraleggiando, in mezzo a un popolo che gesticola e grida con lui e più forte di lui, una piccola folla che si accende e si accapiglia sotto lo sguardo solitamente benevolo dei vigili urbani e qualche volta della Digos. Ebbene, da ieri Trincale è "specie protetta" di una Repubblica fondata sì sulla ferocia, ma temperata dalla canzone con funzione terapeutica, senza sofisticatezze e senza presunzioni di letteratura, canzoni che passano come i passanti alle quali sono destinate. Ovviamante la "nomina" di Trincale ad eccellenza della vera Bohème italiana non porta voti e non è in dote a nessuna moglie di Stato, ma è un valore che irradia altri valori, e, come dicevamo, ricongiunge il governo in punto di morte all´umore che lo aveva fatto nascere sulle ali di una rivolta estetica del Paese che non ne poteva più di scoprire che ogni legge nascondeva l´interesse privato; che tutta la classe dirigente era al servizio di una sola arricchitissima bottega; che non c´erano cinema, teatro, università, ospedali..., ma solo il pronta-cassa. Anche Trincale in quel periodo cantava «il cavaliere Berlusconi / che è padrone dei padroni» e che «al primo vagito di neonato / già assoldava un avvocato». Tredici ballate gli costarono addirittura un lunga e suntuosa citazione dello stesso Berlusconi, allora presidente del Consiglio, in coda alla richiesta, che fu respinta, di trasferire il processo Sme lontano dall´ostile Milano dove «in stretta e diretta correlazione con le esternazioni della magistratura, tal Trincale Francesco mette in atto in piazza del Duomo fatti estremamenti gravi per l´ordine pubblico». Trincale gli rispose con un´altra ballata: «Lei può farmi non cantare alla Tivù / al Costanzo show o al Marabubù / ma signor presidente padrone / la mia piazza non è la sua televisione». Ricordate? Proprio in reazione al dilagare del conflitto di interessi ingenuamente l´Italia affidò al governo Prodi il bisogno di gentilezza come filosofia di governo. Ebbene, al di là dei demeriti e delle inadeguatezze sotto le quali è caduto, ora, nel suo atto di morte, il governo si è ricordato di quella gentilezza e forse ha mandato un saluto di risarcimento ai suoi elettori. Eppure, nella promozione a "bene nazionale" di un fuorigioco, di un emarginato, di un animale di strada, non c´è solo la certezza che da qualche parte, nell´Italia selvaggia, si coltiva ancora la solidarietà, ma c´è anche l´idea che la cultura non è saper scrivere in italiano; che la cultura non sta solo nei musei vaticani, né tanto meno nelle mostre di blasfemia, di falli e di vagine, o peggio ancora nell´arrossamento dell´acqua di Trevi. C´è molta più cultura nel modo di vita di Trincale, nel proteggere chi è stato sfortunato, ma è un pezzo di storia popolare, di quella storia che non entra nei documenti e negli archivi, che forma umori senza lasciare traccia. E però i cantastorie come Franco Trincale non sono da confondersi con gli artisti di strada inventati dal turismo pittoresco e neppure con i cantanti impegnati e la loro sempre più irritante e vuota retorica. Trincale ha cantato le lotte dei lavoratori e l´arrivo della primavera, la vita dei ciechi e quella delle fabbriche, i pittori e i clown, i traditori e le prostitute, sempre adeguando il proprio repertorio al pubblico indaffarato, fermandone per un momento l´agitazione insensata: «Attenzione! Il gioco di prestigiazione / che poco fa avanti a lei ci ho fatto / non è per scopo di speculazione / a uso di arricogliere col piatto». ovvio che ci sia molta politica: «D´Alema lo stanco navigatore / che alla sinistra ha devastato il cuore». Ha cantato pure Andreotti e Craxi..., ma anche le Twin Towers, il vescovo Milingo e Maria Grazia Cutuli «la picciotta catanisa che mandava storia vera / al Corriere della Sera...». C´è anche «Benedetto non ne devi approffittare / neppure al Papa, Dio permette di strafare». E guardando scorrere la sua vita nello specchietto retrovisore si arriva alla canzone più famosa e maledetta, quella che Trincale non canta più, la «Ballata del Pinelli» che gli costò pure un processo. Difeso da Umberto Terracini, Trincale fu assolto e non perché la sua canzone raccontasse la verità sulla morte di Pinelli: figuriamoci. «Le canzoni - spiegò Terracini - non devono raccontare la verità». Forse anche in quegli anni, come sempre, le canzoni temperavano la ferocia italiana, trasformandola in ritmo, in ballo e non in colpi di pistola. Ecco: in clima di rievocazioni del sessantotto, se si vuole riassumere tutta una generazione in una sola frase si può forse ricordare l´inizio di quella ballata: «C´era caldo». Questo è Trincale: la semplicità primitiva degli stati d´animo intensi, sempre pronti a traslocare, quella speciale gravità senza peso che è seduzione rapida e che nessun Sanremo, nessun palco, nessuna Scala, nessuna tecnica di scenografia possono ospitare: solo la strada. Una volta, l´allora sindaco di Milano Gabriele Albertini gli negò il permesso di cantare in piazza Duomo perché - diceva - gli altoparlanti disturbavano. Assediato e rintronato dalle proteste, il malcapitato sindaco fu costretto a fare marcia indietro. Si era reso conto che zittendo Trincale il rumore aumentava. Dice Trincale: «Se fossi un potente, io pagherei uno come me per farmi sbeffeggiare in piazza». Poi si commuove e tace. Devono averlo capito: la sola maniera di zittire Trincale è farlo cantare. FRANCESCO MERLO