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 2008  gennaio 30 Mercoledì calendario

Una legge per la pizza napoletana

E la burocrazia entra in cucina: una legge per la «vera pizza». Corriere della Sera 30 gennaio 2008. ROMA – In piena crisi politica, il governo Prodi riesce a chiudere una pagina burocratico- culinaria essenziale per la futura tutela della «vera» pizza napoletana. Laura La Torre, direttore generale per la qualità dei prodotti alimentari del ministero per le Politiche agricole e forestali, ha consegnato alla Gazzetta ufficiale europea la proposta di riconoscimento del marchio di S.T.G. (specialità tradizionale garantita) della pizza napoletana. Entro sei mesi l’Unione europea dovrà presentare le sue osservazioni. E alla fine del 2008 chi vorrà esporre il marchio S.T.G. per la sua pizza napoletana «protetta » dovrà rispettare scrupolosamente pesi, ingredienti, tempi di cottura, dimensioni. Le regole del «disciplinare» (otto corposi articoli) sono contenute nel testo della proposta di riconoscimento apparsa sulla Gazzetta ufficiale del 24 maggio 2004. Nulla di affidato al caso. Visto che siamo in un’Italia capace di spaccarsi su tutto, il regolamento fu a suo tempo il frutto di un accordo tra le due principali associazioni di categoria: «Verace pizza », presieduta da Antonio Pace ( www.pizzanapoletana.org) e l’Associazione pizzaiuoli napoletani ( www.pizzaiuolinapoletani. it) guidati da Sergio Miccù. I comandamenti sono rigidi. Venti minuti per l’impasto, due ore di lievitazione. Realizzazione di panetti per le singole pizze «tra i 180 e i 250 grammi», il disco di pasta steso dovrà avere «al centro lo spessore non superiore a 0.3 centimetri e al bordo non superiore di 1-2 centimetri formando così il "cornicione"». Attenzione: «Con un cucchiaio si depongono al centro del disco di pasta 80 grammi di pomodori pelati frantumati, con movimento a spirale il pomodoro viene sparso su tutta la superficie centrale». Cottura solo «in forni a legno dove si raggiunge una temperatura di 485 gradi». In quanto all’aspetto finale: «Cornicione rialzato, colore dorato, morbida al tatto e alla degustazione da un centro con la farcitura dove spicca il rosso del pomodoro cui si è perfettamente amalgamato l’olio». Non si citano le alici, e questo sarà un problema per molti palati. Ma c’è un divieto: «La pizza va consumata immediatamente appena sfornata. L’eventuale asporto verso abitazioni o locali differenti dalla pizzeria determina la perdita del marchio». Come faranno i tifosi che si godono la partita organizzando una pizza con amici? Una banale pizza qualsiasi. Niente marchio. Molto soddisfatto Rosario Lopa, presidente del Comitato per la tutela della pizza napoletana, esponente napoletano di An, protagonista di un mini- caso politico. Lunedì circolava una sua nota stampa con tanto di carta intestata «Ministero delle politiche agricole alimentari e fores tali». Ma ieri ha corretto il tiro, parlando di un banale equivoco della sua segreteria. La carica presidenziale gli deriva dalla faticosa intesa tra pizzettari area Antonio Pace e pizzaiuoli fedeli a Sergio Miccù nel 2004, quando il ministero era retto da Gianni Alemanno. E il suo incarico ha resistito all’arrivo del governo di centrosinistra e all’insediamento del ministro ulivista Paolo De Castro. La pizza è evidentemente bipartisan. Dice Lopa: «Sono stati nominato perché i due comitati erano "litigarelli", tutto qui. E finché non c’è il marchio, non si può costituire un consorzio. A cosa serve il marchio? A tutelare una tradizione e un’identità. Ma anche ad aprire prospettive di mercato in Campania: quando il marchio sarà una realtà, molti prodotti verranno dalla nostra terra». Ma perché sono passati quattro anni dal testo del 2004 alla consegna alla Gazzetta ufficiale europea? La risposta di Lopa svela un quadriennio di lunghi confronti burocratici: «Da Bruxelles sono arrivate mille obiezioni e altrettante richieste di chiarimento sul disciplinare. Una tra tante: "A Milano, in un articolo di giornale, si sostiene che la pizza si può fare anche col ragù. vero?". E noi, ogni volta, abbiamo dovuto rispiegare che la vera pizza napoletana... ». Paolo Conti