Il Manifesto 30/01/2008, Ivan Della Mea, 30 gennaio 2008
Il Sessantotto resta nell’aria. Il Manifesto 30 gennaio 2008. Il mio Sessantotto comincia nel Sessantasette: di anni ne facevo ventisette
Il Sessantotto resta nell’aria. Il Manifesto 30 gennaio 2008. Il mio Sessantotto comincia nel Sessantasette: di anni ne facevo ventisette... titoli di studio men d’un ette... ma un vento nuovo già soffiava allora... il bum che sbumma e che va in malora... 600 una meglio due per tutti... ma siamo agli ossi e non c’è prosciutti... creare due tre molti vietnam... la cina non è qui è solo là... dov’è la lotta e dov’è la classe?... chi cazzo ha nascosto anche le masse?... qualcosa c’è che valga una messa... la lettera a una professoressa... e un morgan matto matto da legare... pci a culo è ora di lottare... gramsci togliatti longo berlinguer... che cazzo c’entra il primo con gli altri tre... bob dylan beatles stones chi se li perde?... un mondo beat cavalca un’onda verde... con donovan bee gees mogol battisti... per un dio morto millanta i morti cristi... e io duro che rimango lì... a mao al "che" a giap a ho chi minh... vi parlo dell’america contessa... cantare rosso forse è cosa fessa... i radicali chic americani... mi fanno uggia come i beat nostrani... perché io dentro ho questa cosa qua... creare due tre molti vietnam... e non mi vanno no le dylaniate... stupende ben suonate ben cantate... e tanto meno quelle baezzate... viva la vita tiè pagata a rate... con la 600 con la lavatrice... viva il sistema che rende uguale e fa felice... chi ha il potere e chi non ce l’ha... crear dos tres muchos vietnam... Gennaio 1967. Occupata l’Università di Torino: ci vado e ci canto. Giugno 1967. Occupata la Statale di Milano per 24 ore. Ci vado ma non ci canto. Luglio 1967. Invitato a Cuba all’Encuentro de la cancion comprometida iniziativa a latere della Conferencia de Organisacion Latino Americana de Solidariedad (Olas). Con Giovanna Marini, Elena Morandi e Leoncarlo Settimelli. Il 26 luglio, a Santiago, grandissima manifestazione per l’anniversario del Moncada. Sotto un sole ardente Fidel Castro parla e parla e parla e io mi esalto con centinaia di migliaia di altri esaltati. E più ancora mi esalto ascoltanto Fidel all’Isola dei Pini. E più ancora nella notte del suo compleanno sempre lì all’isola, e poi sulla Sierra e poi a L’Avana: comizio di chiusura della Confererencia etc. etc. Bon, tornato da Cuba fui invitato all’Isolotto fiorentino da don Enzo Mazzi, allora don essente e praticante, per un racconto della mia esperienza cubana che in buonissima misura a parer mio poneva siccome prioritaria l’urgenza della rivoluzione: crear dos tres muchos Vietnam... Questo sarà il messaggio finale dello spettacolo Il mio nome è Abele al Teatro Gerolamo di Milano (settembre 1967) nell’àmbito di una rassegna dell’Altra Italia del Nuovo Canzoniere Italiano (Nci). 9 o 10 ottobre 1967. Ernesto «Che» Guevara muore assassinato in Bolivia. 2 dicembre 1967. Milano, riunione plenaria presso le Edizioni del Gallo: personalmente rivendico una gestione collettiva e democratica dell’Nci e delle Edizioni del Gallo stesse e dei Dischi del Sole e dell’Istituto Ernesto de Martino. Dico anche che, a mio avviso, è giunto il momento di lasciar perdere le «menate» culturali (cultura altra, alternativa, popolare eccetera) poiché il tempo è quello della politica al primo posto per la rivoluzione. A questa mia richiesta si sovrapposero altre richieste tendenti a un controllo anche economico di tutte le attività. Si arrivò alla rottura, con l’uscita del gruppo che aveva messo in scena Il mio nome è Abele. Pochi giorni dopo questo gruppo fonderà il Teatro d’Ottobre... che mi stette stretto da subito poiché sempre di cultura si trattava e non di rivoluzione. Al tempo militavo nel Potere Operaio pisano pur essendo ancora nel Pci con tanto di tessera (iscritto dal 1956 a Milano, dal ’66 a Torino). Molti tra i poteroperaisti pisani non sapevano giocare a pallone, non leggevano fumetti e disdegnavano i film western in genere: questo avrebbe dovuto farmi riflettere. Autunno-inverno ’67. Canto all’Università di Trento occupata e con grande gioia ritrovo Mauro Rostagno compagno mio picista nei primissimi anni ’60 allorquando a Milano organizzammo iniziative per alcuni compagni spagnoli condannati a morte, garrotati, dai tribunali fascisti di Franco. Per Julian Garcia Grimau noi due si fece uno sciopero della fame a oltranza davanti al consolato spagnolo: mai mangiato così tanto in vita mia; s’era secchini Mauro e io e dalle case nei dipressi sortivano «schiere di mamme compatte / pronte se occorre a nutrir...». Occupata a dicembre l’Università di Torino, ci ribordano los estudiantes; disoccupata; rioccupata: alé. 31 dicembre 1967. Veglia nella chiesa dell’Isolotto a Firenze. Paolo Ciarchi e io durante la messa, di fianco all’altare, si canta con grande passione Hasta siempre comandante e altre canzoni sinistre. In fondo alla chiesa strapiena gli avversari di don Mazzi prendono nota del detto e del cantato. Fine 1967 primi ’68. Fioriscono le occupazioni universitarie. Milano è in ritardo. La Statale viene occupata vado di memoria il primo marzo: a oltranza, assemblea permanente, casino costante, io tra gli occupanti unico non studente; la leadership dell’assemblea è cosa di Michelangelo Spada in primis, Mario Capanna e Luciano Pero a seguire. L’elemento generazionale è assolutamente predominante e si esprime col rifiuto di qualsiasi forma di autoritarismo e di paternità: familiare, scolastica, partitica, governativa. I lavori assembleari procedono in modo caotico; nelle aule e in tutti gli angoli gruppi più o meno consistenti si riuniscono e discutono e scrivono mozioni da proporre in assemblea: ci sono i falcemartellisti poi unionisti-brandilaristi, si va costituendo un vero proprio «movimento studentesco della Statale», ci sono i lottacontinuisti pisani, i poteroperaisti veneti, ci sono i situazionisti marcusiani, i rosaluxemburghiani, i terzomondisti, i marxisti lisci e i marxisti-leninisti linea rossa e linea nera, i leninisti e morta lì, gli stalinisti, i trozkisti, i maoisti, i fidelguevaristi, i lottacomunisti, ma la rivoluzione è più nell’aria e nelle arie che nelle volontà. In realtà si vanno creando e consolidando nuovi leaderismi, nuove gerarchie dalla A fino alla Z e questo con buona pace della critica serrata fatta alle gerarchie partitiche, a quelle del Pci in particolare e, per vero dire, l’anticomunismo nel senso di anti-pci è forse l’unico terreno comune a tutti: ma la rivoluzione resta nell’aria. Avevo lasciato Bosio, il Nuovo Canzoniere Italiano, i Dischi del Sole, l’Istituto Ernesto de Martino; avevo lasciato il Teatro d’Ottobre; avevo lasciato il Pci; avevo deciso basta spettacoli basta canzoni, tutto questo avevo lasciato per la politica full time in vista della rivoluzione; ed ero stato lasciato dalla morosa; ero senza lira, senza casa; pencolavo tra Pisa e Milano, dormivo dove capitava mangiavo se capitava, sopravvivevo con qualche revisione mondadoriana: gialli, segretissimo, urania. Tempo prima, a Roma, avevo conosciuto Franco Solinas che mi teneva in qualche stima per i miei trascorsi cantautorali e sinistri. Non ricordo come ma mi fece sapere di raggiungerlo a Fregene perché aveva un lavoro da propormi. Raggiunsi Solinas a Fregene. Si doveva scrivere soggetto e sceneggiatura di un film western Tepepa e lui Franco già stava scrivendo Queimada. Compagno vero Franco Solinas, mi propose la cosa come se si trattasse di dare una mano a lui mentre era lui che dava una mano a me. Ospite a casa di Franco conobbi Pier Paolo Pasolini e Gillo Pontecorvo e Giorgio Arlorio e Gian Maria Volontè: fu un bel conoscere. Bon, ora avevo un po’ di soldi, una casa in affitto al Villaggio dei Pescatori lì a Fregene e un amore nuovo di pacca bello e disposto ad ascoltare le mie farneticazioni rivoluzionarie: perché la rivoluzione sempre nell’aria era ma qualche volta scendeva e andava a posarsi sulle pagine di Tepepa e di Queimada: più in qua o in là non si andava. A lavoro finito mi trasferii a Roma. «Lotta lotta di lunga durata / lotta di popolo armata / Lotta Continua sarà». Militanza mattutina sull’asse Roma sud lungo la Via Pontina: riunioni su riunioni con gli operai della Pfizer, della Lanerossi Sud, della Fulgorcavi: s’era tutti pari, era bellissimo e si poteva credere e si credeva in un modo nuovo del fare politico; poi, lotta dura senza paura con gli edili di un megacantiere a Spinaceto: ma finirono le case e i muratori cambiarono cantiere... succede, successe... e una mattina appena alzati bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao ci si trovò lì con tanti volantini per nessuno e si fece una profonda analisi tra militanti e si decise che il lavoratore edile era troppo instabile e dunque non attendibile né tampoco edificabile come soggetto rivoluzionabile. Morta lì. 2 gennaio 1969. Angela e io ci si sposa in Campidoglio: lavoro aleatorio, partite all’oratorio, momento transitorio mica tanto rivoluzionario. Tiro la lira facendo l’assistente alla regia per un film di Monicelli Toh! è morta la nonna: l’ho ancora da vedere ma questo non importa, importante per me è la memoria che ho di Mario Monicelli come di una delle persone più belle che ho incontrato nella mia vita. Tiremm innanz: rifiutai per massimalismo politico di fare l’aiuto-regista in un film di Luigi Magni sulla «contestazione generale»; non mi fu possibile, con gran dispiacere, entrare nel cast di un film di Sergio Leone perché digiuno di spagnolo e di inglese e soprattutto perché non sapevo cavalcare. Scrissi un tot di soggetti sempre pagati per Cristaldi e uno o due per Monicelli. E però, giorno dopo giorno, perfino in un gruppo spontaneista e casinaro come Lotta Continua le gerarchie si andavano stratificando: Sofri su tutti e a seguire Viale e Pietrostefani. Non ne potevo più. Mi ero rotto, rotto dentro. In camera da letto campeggiava una gigantografia di Mao con divisa classica e racchetta da ping-pong in mano (impugnatura europea, bah!). Una notte mi svegliai tutto sudore per via di un incubo: avevo sognato di marciare vestito alla cinese, look guardie rosse, con migliaia e migliaia e migliaia tutti in tutto uguali cantando L’Oriente è rosso. Mi alzai, presi un pennarello rosso e colorai il naso del Grande Timoniere: ne sortì un Mao a mezzo tra un clown e un ubriacone: mi tornava meglio, ripresi sonno. Le divise tutte mi prendevano male: avevo un eskimo nuovo di pacca mai messo, lo regalai a mio fratello. Scivolavo verso l’anarcoindividualismo. Rimasi in Lotta Continua in modo del tutto marginale. Con moglie e figlia appena nata, tornai a Milano in Via Laghetto dietro la Statale: comodo per le manifestazioni, scendevo, tiravo quel che avevo da tirare e mi fiondavo in casa: non rivoluzionarissimo ma comodo confermo. Incido un Lp per la Vedette: Il rosso è diventato giallo esempio non rarissimo di estremismo daltonico. Mi tuffai nell’autunno caldo. 12 dicembre: la bomba alla Banca dell’Agricoltura. Poi, Valpreda carcerato e Pinelli suicidato. Torino 1970. Congresso nazionale di Lotta Continua. Un contadino di Melissa dice «io il potere lo vedo abolito». Io pure. Esco da ellecì. Bilancio a consuntivo: molto amore, zero rivoluzione. Giugno 1971. Milano a casa di Gianni Bosio. Ci si spiega a muso duro ma ci si ritrova. Rientro nel Nuovo Canzoniere Italiano: progetti condivisi. 21 agosto 1971. Muore Gianni Bosio. Giuan l’è sira / magg l’è finì / e ’l sul se quata rent’a’i muntaign per andàa a durmì // e alura ti / col fià strasciàa / del gran cantàa te dit "incoeu on quaicoss hemm fa // E a Costabona / incoeu gh’è’l Magg / e gh’è anca ’l sul ma per quei che canten che canten Magg // quaicoss hemm fa / sì per capì / che ’stoo cantàa culur de tèra vor dì creàa. // E anca viv. «Gianni è sera / maggio è finito / e il sole si nasconde dietro i monti per andare a dormire // e allora tu / col fiato rotto / dal gran cantare hai detto "oggi qualcosa abbiamo fatto" // A Costabona / oggi c’è il Maggio / e c’è anche il sole per quelli che cantano che cantano il Maggio // qualcosa abbiamo fatto / sì per capire / che questo cantare color di terra vuol dire creare. // E anche vivere». Ivan Della Mea