Il Manifesto 30/01/2008 Luca Cardinalini, 30 gennaio 2008
Una morte di terza categoria. Il Manifesto 30 gennaio 2008. Sette minuti. Tutto è racchiuso e tutto si consuma in quei sette minuti
Una morte di terza categoria. Il Manifesto 30 gennaio 2008. Sette minuti. Tutto è racchiuso e tutto si consuma in quei sette minuti. Alle 16,33 l’arbitro fischia la fine della partita, alle 16,40 Ermanno Licursi è già morto, steso sulle fredde piastrelle blu degli spogliatoi dello stadio di Luzzi. E’ un dirigente accompagnatore della Sammartinese, squadra del piccolo comune di San Martino di Finita (Cosenza), quasi 3000 abitanti nel 1960, quasi 300 oggi. Il club esiste e resiste grazie agli sforzi e ai sacrifici di alcuni, per tigna e per dare un’occasione di svago ai ragazzi del posto. Volontariato puro. Sempre militato in terza categoria, l’ultima sopra il nulla. I tempi d’oro, a volerli trovare, risalgono a una decina di anni fa, quando «lottammo per andare in seconda», racconta il dottor Fedele Guzzo, medico condotto e storico presidente, per assoluta assenza di rivali. Questo per dire: zero aspirazioni e nessun progetto da realizzare, all’infuori di quello di mettersi in mutande e correr dietro a un pallone. E vada come vada. Licursi ha 41 anni, una moglie - Marcella - e due figli adolescenti, Ilary e Goffredo. Animatore di tutte le feste civili e religiose - che nei piccoli paesi spesso coincidono - dell’Estate sammartinese, autore di murales e di presepi artistici, pittore, illustratore e vignettista del giornalino locale Il fulmine, uomo tranquillo, proprietario del piccolo e unico negozio di alimentari, la bottega dove trovi un po’ di tutto, compresa qualche chiacchiera da scambiare. E la passione per il calcio, prima da calciatore e poi da dirigente, ogni anno pensa di smettere e il minuto dopo ricomincia, sacrificando tempo, energie, affetti. Quel sabato la Sammartinese è impegnata in trasferta contro la Cancellese, squadra di Rende. Nella classifica del girone D, sono distanziate da un paio di punti, entrambe lontano dal vertice. Si gioca a Luzzi, trenta chilometri più in là, in campo neutro, visto che la Cancellese ha il suo squalificato chissà per quali intemperanze. Terreno in pozzolana, il gesso delle linee che se ne va per il vento o una mischia, una ventina di spettatori, tra parenti, fidanzate e amici. Nessuna forza dell’ordine, «non essendo stata richiesta la presenza». Scenario molto all’italiana, in un rosario di stranezze e piccole irregolarità, di cui si saprà solo dopo. Come ad esempio il fatto che sulla panchina della Sammartinese sedeva tal Gaetano Intorno, senza averne titolo, essendo un tesserato di un’altra società, il Lattarico. Sull’altra panchina sedeva, in qualità di dirigente accompagnatore, tal Antonio Capone, anch’egli senza averne titolo, essendo tesserato con una società di calcio a 5 di Cosenza, e sotto falso nome: Sergio Urso, rimasto a casa. E non aveva titolo nemmeno l’allenatore della Cancellese, Francesco Scardamaglia, che dirigeva dalla tribuna, pur essendo anche lui tesserato per il Cosentia calcio a 5, eppure iscritto nella distinta ogni domenica, squalificato più volte per questo, ma nessun arbitro aveva mai verificato l’irregolarità. Durante la partita c’è qualche ruggine, insulti, entrate dure, qualche spinta, alla fine vince la Sammartinese per 2-1. Al triplice fischio, Luca Saullo calciatore della Sammartinese e Gianmichele Leone, portiere avversario, iniziano a prendersi a pugni. Un’offesa ai defunti, con bestemmia, sembra sia stata la scintilla che ha dato il via alla tragedia. Di versioni sui fatti, ce n’è una decina. Un processo - previsto per gli inizi di febbraio - cercherà di avvicinarsi il più possibile alla verità. Uno solo degli indagati per omicidio preterintenzionale e rissa aggravata, ha già patteggiato la pena (4 anni e mezzo) ed è fuori, ammettendo di fatto la ricostruzione. Si chiama Ivan Beltrano, è un calciatore della Cancellese, il primo sospettato e arrestato in questa storia. Quel giorno era in tribuna, in quanto squalificato. Ai primi accenni della rissa si precipita in campo, passando per il cancello rimasto colpevolmente aperto. E’ il più riconoscibile, vestito in borghese, pantaloni arancio, giacca beige, orecchino al lobo. Leone e Beltrano infieriscono su Saullo. Quando Licursi accorre dalla panchina, tentando di fermare in qualche modo, la rissa è oramai estesa a macchia d’olio. Prende dei pugni, cade a terra. Nel cerchio di centrocampo, come un pallone sgonfio, viene preso a calci: al volto, al torace, ovunque. Secondo la testimonianza di un calciatore, Antonio Bova, Licursi sarebbe stato prima schiaffeggiato dal presidente della Cancellese, Francesco Starface, riconoscibile per i baffi, un giubbotto con pelliccia sul bavero e i capelli brizzolati, poi avrebbe ricevuto i calci violenti e mortali di Beltrano e dello stesso Starface. Un altro calciatore della Sammartinese, Gianluca Albanito, per cercare di sottrarre Licursi da quella follia, colpisce Beltrano che inizia a inseguirlo, con una pietra in mano, fin fuori lo stadio, urlando «ti ammazzo». Il dottor Guzzo: «E’ successo in pochi secondi. Avevo la borsa da medico in disordine e stavo mettendo in ordine il tutto, ho sentito le urla, mi sono girato ed era un campo di battaglia. Botte, botte, botte». Poi la furia si placa, da sola. Licursi si rialza in piedi, sporco, il naso che sanguina. Raccoglie gli occhiali, ormai rotti e dice a chi gli è vicino di andare a prendere Saullo e gli altri ragazzi. Si spazzola i vestiti, si tocca il volto, poi si avvia verso gli spogliatoi, e pronuncia quelle che saranno le sue ultime parole: «Non ci posso credere, guarda quante botte ho preso per mettere pace». Arriva nello spogliatoio, si sentono ancora urla, porte che sbattono, minacce, insulti. Licursi ha un malore e si accascia al suolo. Ancora Guzzo: «Ha fatto due grossi respiri, poi il nulla». Il dottore prova con la respirazione bocca a bocca, con tutto quello che può. Quando l’ambulanza arriva, circa dieci minuti dopo, Licursi è già morto. L’autopsia stabilirà che le lesioni prodotte traumaticamente non hanno avuto un ruolo di causa diretta per il decesso, ma di concausa, considerata una patologia cardiaca preesistente, che ha provocato una fatale aritmia. La difesa ha chiesto anche un esame tossicologico, ipotizzando una possibile alterazione dovuta ad alcool o quant’altro: negativo. Appena Ermanno chiude gli occhi, lo stadio si svuota, un fuggi fuggi generale, i carabinieri dovranno andare a casa dei giocatori coinvolti per ascoltarli, ottenendo scarsa collaborazione. Che poi sarà anche la linea guida della difesa: sì, c’è stata una zuffa generale, ma nessuno di noi ha ucciso Licursi. La giustizia sportiva ha squalificato per 5 anni - l’equivalente dell’ergastolo - Starface, Leone e Beltrano. La settimana seguente il mondo del pallone si fermò un minuto per ricordare Ermanno, alla memoria. Corta, se è vero che a Catania, quella stessa sera, a morire toccò all’ispettore Filippo Raciti. Per Ermanno Licursi nessun funerale in diretta, nessuna sottoscrizione dei tg nazionali, nessuna misura drastica decisa dal governo del calcio, nessun tornello obbligatorio e stadi da mettere a norma, nessun dibattito sul calcio da salvare. Una morte di terza categoria, appunto. Luca Cardinalini