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 2008  gennaio 26 Sabato calendario

”Il provino dell’arrosto in casa Armani”. La Stampa 26 Gennaio 2008. TORINO. Leviamoci subito il pensiero: io le chiedo se il cibo è cultura e lei mi risponde: o sì, o no

”Il provino dell’arrosto in casa Armani”. La Stampa 26 Gennaio 2008. TORINO. Leviamoci subito il pensiero: io le chiedo se il cibo è cultura e lei mi risponde: o sì, o no. «Sì, se le lenticchie di Castelluccio tornano a Castelluccio e i peperoni di Carmagnola restano a Carmagnola». Quindi, no. «Diciamo che s’è un po’ superata la soglia del sapere. Ma sono ottimista. Osho diceva che la strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza. Lei conosce Osho?». Toni Vitiello, napoletano trapiantato a Torino con la mamma vedova e operaia, un’adolescenza in bilico tra la suggestione dello stivaletto a punta e la malìa della torta di mele, una carriera lavorativa sempre in bilico tra moda e cucina portata fino al punto di massimo impatto (cuoco personale di Giorgio Armani per tre anni) è ottimista come Osho, ma più pragmatico. Nell’attesa che la lenticchia interrompa la sua traiettoria impazzita, lui opera un po’ al di qua e un po’ al di là della «soglia del sapere». Il suo è un ristorante di sushi, in cui la specialità della casa sono le melanzane alla parmigiana «fatte come devono essere, ossia fritte». La sua, semplice e curatissima, è la cucina di uno che ha constatato di persona una certa eccedenza di materie prime pregiate («ormai, al mercato o in boutique, è tutto cachemire, è tutto lardo di Colonnata...»), perciò cerca di non tirarsela, «mica vendo perle»; ma sempre di persona constata quanto il cibo sia diventato «un fashion concept»: «Le persone parlano continuamente di piatti e di vini. Non c’è più nessuno che non abbia almeno un’intolleranza alimentare, ci ha fatto caso? E in tv, sei trasmissioni su sette hanno un cuoco nel cast. Ma poi c’è confusione. Quando vedo certi carciofi smorti, che un tempo erano appassiti, e oggi sono biologici...». Parlarne molto, consumarne poco, questa è la fashion-regola. Quando Toni fece il «provino» per Armani, l’unica osservazione fu sulla quantità: «Mi fece poi sapere che avevo preparato troppa roba. L’occasione era un pranzo per il suo compleanno. Aveva riunito tutta la famiglia, ramo Moratti compreso. Sapevo bene che da tutti loro sarei stato giudicato. Volevano capire, mi spiegò un collaboratore, come facevo l’arrosto». Toni ci aggiunse flan di verdure con fonduta e tiramisù. Il coraggio paga quasi sempre: una settimana dopo era in partenza per Pantelleria. Dove avrebbe scoperto che le anoressiche regine della moda apprezzano una frittura più di quanto si creda, «avevo fritto un po’ di fiori di zucca per l’aperitivo, ma stavo in ansia; invece, dopo pochi minuti il cameriere tornò col vassoio vuoto». Cuoco promosso sul campo. Cuoco per caso, però. «Io, veramente, avevo contattato lo staff del signor Armani per sottoporgli un progetto imprenditoriale abbastanza ambizioso. Quando arrivò la telefonata, ero convinto mi cercassero per quello. Invece mi proposero di cucinare. Ero abbastanza demoralizzato. E poi, un conto è preparare a casa propria per gli amici, un conto trovarsi a tavola Carlo d’Inghilterra». Ce lo trovò? «No, ma in quei tre anni tra Milano e Pantelleria, o ai Caraibi in barca, ho cucinato un po’ per tutti, da Russell Crowe ai Duran Duran, da De Niro che impazzì per la mia tarte-tatin, a Julia Roberts: mi presi cura di lei per una settimana. Carinissima». Carinissima, sì: ma mangia? «Mangiano tutti. Mangiavano anche i modelli che frequentavano casa: certo, sai che quei ragazzi non andranno a combattere, ma a sfilare. E ti regoli con le porzioni. La signora Roberts, prima di partire, venne in cucina a chiedermi di prepararle due teglie di lasagne per il viaggio... Volava privato, naturalmente». Invece Sofia, quando ha voglia di qualcosa di buono, non chiede rigatoni, ma spaghetti. «Rimasi tre ore con l’acqua sul fuoco: metti che dopo la sfilata la signora Loren chiede gli spaghetti? Mica puoi farglieli aspettare venti minuti». Li chiese? «Sì, e mi disse: ”perfetti”. Allora li volle anche il signor Sottsass. E tutti gli altri. Passai la serata a cucinare spaghetti». E l’arrosto? «L’arrosto era una prova, in casa Armani di carne se ne mangia pochissima, e quasi sempre pollo». Alimenti messi all’indice? «Si fidava. logico: niente panna, niente maiale, preferenza a sapori mediterranei, a piatti poco complicati». Minimalismo gastronomico, è logico. «Sì, abbastanza coerente con lo stile dei suoi abiti». Tornato a casa («tre anni bellissimi, ma il ruolo mi stava un po’ stretto»), accantonato il vecchio progetto abbastanza ambizioso - «simile a quel che oggi è Eataly» - e preso atto che la moda, oggi come oggi, è ancora più omologata della cucina, «ma molto meno creativa», Toni ha aperto il suo «Kuoki». Dove non ci sono le foto con Bob e Donna Sofia (sono cose che succedono a Torino), ma il Sushi e la Parmigiana, i peperoni di Carmagnola alla giusta latitudine e i banconi da pizzeria al taglio (però fighi), il prima o il dopo «la soglia del sapere». Slow o Fast Food? «Fast Good. Anche chi ha buon gusto va di fretta, non contiamoci balle». STEFANIA MIRETTI