Corriere della Sera 24/01/2008, pag.50 Stefania Ulivi, 24 gennaio 2008
Ontani Il potere della maschera. Corriere della Sera 24 gennaio 2008. BOLOGNA. Le mani sulla gigantesca ragnatela su cui si arrampicano i 69 «grilli» di legno dipinto possono metterle solo due artigiani balinesi
Ontani Il potere della maschera. Corriere della Sera 24 gennaio 2008. BOLOGNA. Le mani sulla gigantesca ragnatela su cui si arrampicano i 69 «grilli» di legno dipinto possono metterle solo due artigiani balinesi. A montare la fontana CignoLedoDIOscuri, ispirata al mito di Leda e il Cigno, ci pensano i marmisti di Pietrasanta; a collocare il trumeau che può essere letto come una summa di tutta la sua opera è chiamato il ceramista Davide Servadio, della bottega faentina Gatti. Seguire Luigi Ontani negli ultimi tocchi all’allestimento della mostra Gigante3RazzEt7ArtiCentAuro è come entrare in una bottega d’artista fuori dal tempo. Lui, Luigi Ontani, classe 1943 («L’infanzia e la senilità sono le sole età che condivido»), riesce ad essere contemporaneamente protagonista, regista e spettatore. «Il percorso della mostra è una passeggiata nella mia avventura, in cui mi illudo di ritrovare un senso di circolarità o di infinito, come se tutto avesse memoria e prestanza del presente». La faccia che le pareti rimandano all’infinito (in legno, in ceramica, nelle erme, nelle fotografie lenticolari, nei video, nelle maschere) si fa divertita: «Non ho mai datato le mie opere, mi ritrovo poi a correggerle nel tempo». tempo di consacrazioni per questo artista, pittore, performer, sperimentatore, difficile da circoscrivere, a lungo fuori sincrono rispetto al panorama artistico, salvo ritrovarsi oggi riconosciuto come apripista. Ieri e oggi per lui pari sono e le definizioni non l’appassionano. «In me c’è stata sempre la consapevolezza di sviluppare il desiderio della mia avventura, in bilico tra arte e vita, riconsiderando la mitologia, l’allegoria, il folclore, la maschera, come necessità di respiro della fantasia con una noncuranza dei linguaggi dominanti del tempo. I miei anni ’70 sono stati un momento meraviglioso, di conoscenza del mondo attraverso le mostre». Maestro di contraddizioni e metamorfosi, gran giocatore degli opposti (le celebri maschere a doppio: Adamo e Eva, DevilAngel, Cinicomico, CipollAglio), mescolatore di generi, Ontani si è trovato ad essere un’icona, spesso involontaria, della provocazione. «Nel mio percorso mi sono trovato all’interno di scandali non cercati». Il corpo nudo, spiega, è non altro che un altrove. «Quelli che ho chiamato tableaux-vivants sono quadri che fermano il tempo nella posa. Il quadro ri-posa il tempo in quanto lo estende a un’atemporalità che ho espresso anche mettendomi nudo. La convinzione era che il nudo mi avrebbe portato fuori dal tempo, come è successo con l’India». I suoi luoghi si rincorrono nella retrospettiva bolognese. La stanza Magenta è dedicata alla Thailandia con l’albero «AlnusThaiAurea». «Tutto partì da un invito che ebbi dalla Silpakorn University di Bangkok, creata dall’italiano Cesare Feroci. In omaggio a lui ho messo animali feroci e le mitologie tailandesi si sono trasformate nelle mie: il guardiano diventa san Sebastiano, la maschera allegorica delle uova allude al mio villaggio, Montovolo». La stanza arancione è l’India, dominata da «Ganeshamusa ». «L’India fino a poco tempo fa rappresentava una possibilità di diversa civiltà nella contemporaneità, ora velocemente si sta aggiornando su dei luoghi comuni del mondo della globalità. Per cui io l’India attuale non la condivido, è un’India crudele». Ancora prima di vivere nei posti Ontani vive i posti: l’Oriente, l’amato Rocchetta Mattei («dove sono mecenate di me stesso»), Roma («C’è la voglia di considerare il tempo come un presente, di ridare vita e senso all’archeologia, all’arte del passato»), New York, spuntano come realtà fisiche, mescolate ai temi della sua personalissima cosmogonia. Reale, inventata, plausibile. Come nelle «Ventiquattr’ore ». «C’è un’iconologia che poi è diventata anche una specie di mio dizionario di consultazione, un gioco di simboli. A volte sono rimandi ovvi: l’alba e il gallo, il tramonto il gabbiano. Un’ora enigmatica è questa della notte con la farfalla che riposa in bocca, che poi molti anni dopo è diventato il riferimento narrativo del romanzo e del film in America». Parla de «Il silenzio degli innocenti »? «Non esiste la simbologia della farfalla. curioso, la mia opera è del ’75». Potenza delle date. Stefania Ulivi