Ventiquattro 1 gennaio 2008, Livia Manera, 1 gennaio 2008
Vite Sconvenienti. Ventiquattro 1 gennaio 2008. LA STORIA DI GREY GARDENS, il musical di maggior successo degli ultimi tempi, comincia all’inizio degli anni Settanta, quando Lee Radziwill, sorella minore di Jacqueline Kennedy, chiede ai registi Albert e David Maysles di girare un documentario sulla sua infanzia
Vite Sconvenienti. Ventiquattro 1 gennaio 2008. LA STORIA DI GREY GARDENS, il musical di maggior successo degli ultimi tempi, comincia all’inizio degli anni Settanta, quando Lee Radziwill, sorella minore di Jacqueline Kennedy, chiede ai registi Albert e David Maysles di girare un documentario sulla sua infanzia. Ai Maysles viene fornita una lista di argomenti, luoghi e persone che dovrebbero far parte del filmato: una quarantina di spunti in tutto, tra cui, al posto dei numero trentaquattro, compaiono la zia e la cugina di Lee, due eccentriche signore che vivono in una mansion in rovina a East Hampton, nel ghetto vacanziero dei ricchi di New York. Ovvero a un isolato da Lasata, la casa dove sono cresciute le sorelle Jackie e Lee. Le lega una parentela strettissima. Edith Bouvier Beale è la sorella di John "Black jack" Bouvier, il padre di Jackie, e ha sposato l’avvocato newyorkese Phelan Beale da cui è stata lasciata. La loro unica figlia è Little Edie, che, a dispetto dei soprannome, è una stangona dal fisico atletico, ha debuttato all’hotel Pierre ed è stata fidanzata ufficialmente con Joseph Kennedy Jr. Entrambe sono di una bellezza da lasciare allibiti. Hanno i lineamenti perfetti, i capelli chiari ondulati, gli occhi trasparenti e un’eleganza incantevole su fisico da mannequin. Da quell’epoca, in cui animavano i balli della buona società di New York, sono molto cambiate. ora vivono tutto l’anno a East Hampton, occupando solo due stanze di una grande casa le cui rimanenti ventisei sono abitate da cinquantaquattro gatti e un numero imprecisato di procioni. Qualche tempo prima di aprire la casa alla cinepresa dei Maysles hanno ricevuto l’ordine di evacuazione dal locale Ufficio di igiene, motivato dalle spaventose condizioni igieniche in cui si erano ridotte. La cosa è finita sui giornali, e Jackie e Lee sono venute in loro soccorso, dando una mano a ripulire la proprietà. «Sapete - avrebbe commentato più tardi Little Edie - qui a East Hampton sono capaci di metterti in galera solo perché porti le scarpe rosse di giovedì». Ma la faccenda era seria, e avrebbe avuto un lungo, celebre seguito. L’intervista a Edith e Little Edie Beale è diventata un documentario, e il documentario un musical che ha vinto tre Tony Awards nel 2007, ha furoreggiato per due anni a Broadway, e si appresta ora a venire in Europa, dove è atteso a Londra. Ma la parola documentario è riduttiva, perché Grey Gardens, dal nome della fatiscente proprietà delle Beale che in seguito è stata acquistata dall’ex direttore del «Washington Post» Bill Bradley, è diventato dal 1976 un film di culto che ha dato luogo a fenomeni di isteria collettiva, un po’ come il fantasma dell’opera, ha ispirato le pagine di moda di riviste quali «Harper’s Bazaar», le collezioni di un celebre designer americano come Perry Ellis, parecchi carri delle parate del Gay Pride e una quantità di feste a tema soprattutto a New York. Dopodiché è stato portato in teatro da un genio della ribalta come Doug Wright, il playwright americano che nel 2004 ha vinto il Pulitzer con I am my own Wife, e dal regista Michael Greif, che hanno affidato alla voce della formidabile Christine Ebersole diciotto delle ventiquattro canzoni dei musical. Ed è così che Grey Gardens è rinato a nuova vita e Christine Ebersole, Edith e Little Edie Beale, pure. Perché tutte e tre, in modi diversi, erano state date per spacciate. Christine Ebersole, una bellissima cinquantaquattrenne dalle gambe lunghe e gli occhi intelligenti, per avere superato i limiti di età consentiti a Hollywood. E le due Beale per avere superato i limiti della decenza, nonché quelli della tolleranza di una famiglia imparentata con i Kennedy. Ma per descrivere il musical bisogna fare un passo indietro e tornare ai novanta minuti girati dai Maysles a Grey Gardens, che negli anni Settanta costarono ai registi il lavoro. Lee Radziwill rimase infatti così sconcertata da ciò che vide quando le mostrarono i giornalieri, da decidere di revocare l’incarico ai registi. Sul perché non c’erano dubbi: la scena che si presentava allo spettatore era quella di due donne legate da un rapporto patologico, pronte a mettere a nudo il proprio corpo e i propri sentimenti davanti alla macchina da presa, in barba alle cicatrici del tempo e delle sconfitte. Ma anche ansiose di cantare, ballare, improvvisare sfilate di moda, sussurrare pettegolezzi («La mamma non voleva che uscissi in kimono e abbiamo litigato ... ») e ricordare i bei tempi andati, senza che lo squallore dell’ambiente intaccasse il loro senso dell’umorismo. Per spiegare come mai la figlia di cinquantasei anni non si sia mai sposata e da vent’anni abbia rinunciato a una vita sua per accudire la madre, Edith Bouvier Beale, semisvestita in un letto sfatto, una coperta lurida buttata sulla pancia e un cappello di paglia a tesa larga sui capelli bianchi arruffati, dice: «La Francia è caduta. Edie non è caduta mai». Littie Edie è il cuore di questa storia, la splendida ragazza promessa a Joseph Kennedy jr che viene abbandonata poco prima delle nozze come la Miss Havisham di Grandi speranze di Dickens, e che esattamente come lei diventa un’eccentrica ossessiva. «Non mi piacciono le donne con la sottana», dice Little Edie mostrandosi alla macchina da presa con la testa avvolta in un pullover fermato da una spilla d’oro, e una sottana infilata al contrario, sopra un paio di calzoncini aderenti. «Mettete delle calze o dei calzoncini sotto una gonna corta. Così potete tirare le calze sopra i calzoncini, togliere la gonna e usarla come mantella. Penso che sia il costume migliore per il giorno». Christine Ebersole canta questa scena nella seconda parte del musical vestita esattamente come Little Edie nel film, e come lei riesce ad apparire buffa, attraente, folle e spiritosa. Il primo atto di Grey Gardens si apre nel 1941, quando Edith Bouvier Beale (Christine Ebersole) dà una festa per annunciare il fidanzamento della figlia Little Edie (Erin Davie) con joseph Kennedy Jr (Matt Cavenaugh). Ma è nel secondo atto, quando Christine Ebersole diventa Little Edie, che il musical prende veramente slancio. E, anche se i balli solitari e le canzoni della protagonista sembrano una performance per le truppe americane di un’attrice un po’ ubriaca, Little Edie, sul palcoscenico come nel film, non è mai ridicola, e anzi muove lo spettatore alla più sincera compassione. Little Edie avrebbe voluto diventare una ballerina. La sua troppo amata madre Big Edie una cantante (e infatti canta con una voce deliziosamente acuta e impostata Tea for two). Ed è difficile dire se il Tony Award assegnato a Christine Ebersole per la sua interpretazione di queste due donne impazzite di frustrazione sia più una rivincita o uno scherzo del destino. Edith Bouvier Beale morì nel 1977, un anno dopo l’uscita del documentario dei Maysles, e Little Edie vendette la casa a Bill Bradley, all’epoca all’apice del successo per avere fatto esplodere sul «Washington Post» il caso Watergate. Poi se ne andò a vivere a Miami Beach dove morì nel 2002, più o meno quando il regista Michael Greif, il compositore Scott Frankel e il librettista Dough Wright cominciarono a lavorare al progetto del musical negli spazi del Sundance Institute. Di tutti gli attori di questa stravagante storia, l’unica sopravvissuta è dunque Lee Radziwill, la quale, dopo due matrimoni falliti e prima di convolare a terze nozze con il regista Herbert Ross, nel’1974 si è fidanzata con il magnate degli alberghi Newton Cope. E come la dickensiana Miss Havisham, o se preferite come la sfortunata e incantevole cugina Little Edie, è stata lasciata dal promesso sposo cinque minuti prima delle nozze. Livia Manera